La sveglia di soprassalto per i bombardamenti, la fuga interrotta dagli ingorghi di gente terrorizzata che cercava di mettersi in salvo. Poi il rifugio nell’ambasciata italiana, su e giù dal bunker per effetto delle sirene e infine l’estenuante percorso per arrivare in Italia. La fine dell’incubo per Luciano Luci, 72 anni, ex arbitro di serie A e attuale designatore arbitrale nella massima serie ucraina, è finito alle 13,40, quando è uscito dal terminale degli arrivi dell’aeroporto fiorentino di Peretola, dopo essere sceso da un volo arrivato da Francoforte. Luci era tra gli italiani bloccati a Kiev ed è tra coloro che sono riusciti a scappare. Abbraccia la moglie Gianna, uno dei figli Stefano, sa che a Barberino di Mugello, dove ha casa, lo aspettano con ansia. Piange. E inizia a parlare. “La prima cosa che voglio dire è gloria all’Ucraina, gloria agli eroi ucraini – dice all’agenzia AnsaHo pensato di non farcela, soprattutto i primi due giorni. Ero a Kiev perché lo scorso weekend sarebbe dovuto riprendere il campionato. All’improvviso, l’inferno: l’attacco delle 5.02 di mercoledì mi ha svegliato di soprassalto. Sono andato in terrazza e ho visto le fiamme salire dall’aeroporto di Boryspil, i russi avevano colpito il radar dello scalo. Volevo scappare ma era troppo tardi: sono partito in auto per la Polonia ma dopo dieci chilometri eravamo tutti bloccati per il traffico. Così sono tornato indietro, sono andato all’ambasciata italiana a Kiev”.

È in quel momento che Luci incontra l’ambasciatore Pier Francesco Zazo: “Una persona eccezionale – commenta, emozionato – Mi ha salvato. Ha messo a disposizione la sua residenza, tre piani di abitazione: eravamo 105, compreso bambini molto piccoli, pure uno di soli 15 giorni. Eravamo terrorizzati dai continui allarmi: quando sentivamo la sirena, prendevamo tutte le nostre cose, andavamo nel bunker e speravamo di non morire. Questo è accaduto 3-4 volte per notte“. Difficile resistere a quei boati, difficile però anche scappare. Nessun volo, i collegamenti via terra erano complicati. “Poi però – racconta Luci – abbiamo saputo che l’Osce organizzava dei viaggi verso la Moldavia. Così siamo partiti in 26, con un piccolo pullman del ministero degli Interni dell’Ucraina. Otto ore di viaggio, tanti posti di blocco. Siamo arrivati nella regione di Cernivci, sud-ovest della Ucraina. Lì si è attivato il mondo del calcio: ci hanno messo a disposizione un pullman per poter andare in Moldavia, altrimenti non ce l’avremmo fatta. Ricordo bene il momento in cui sono arrivato in Moldavia, perché sono riuscito a farmi una doccia dopo cinque giorni”.

L’Italia però era ancora lontana: “Dalla Romania – spiega – ci è venuto a prendere un altro bus, siamo andati nella Coverciano romena. Da quel momento tutto è stato più semplice”. Luci non trattiene nuovamente l’emozione quando spiega: “In Ucraina lascio i miei arbitri, il mio interprete, il mio segretario che è barricato in casa. Spero che non succeda niente. Due cose mi hanno sorpreso: l’organizzazione del nostro ministero, dell’ambasciata. E la forza del presidente ucraino Zelensky, una persona veramente brava. Quando ci saranno le condizioni rientrerò a Kiev, per lavorare. E perché voglio aiutare un’altra persona eccezionale, il mio presidente Pavelko, è lui che ha organizzato gli spostamenti. Oggi sono qui grazie a queste persone: sapete, è un trauma stare sotto un Mig che attacca a bassa quota. Spero che questo delirio finisca, ma la situazione è messa male”.

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