Il fragile tentativo di negoziato in corso fra ucraini e russi si incrocia con la giornata di digiuno e di preghiera per la pace, che papa Francesco ha indetto per mercoledì. “Chi fa la guerra mette davanti a tutto interessi di parte e di potere – ha esclamato ancora domenica il pontefice – Si distanzia dalla gente comune, che vuole la pace”. Parole durissime. Il Mercoledì delle Ceneri sarà una “giornata per stare vicino alle sofferenze del popolo ucraino… e implorare da Dio la fine della guerra”.
Non è una implorazione generica. Il Vaticano preme per trattative vere. E chiede che Putin si fermi, come il pontefice ha chiesto durante il suo incontro con l’ambasciatore russo Avdeev. L’Avvenire riflette compiutamente la posizione della Santa Sede in questa crisi pericolosissima. “Stiamo con l’Ucraina, per prima, perché se un paese deve essere annientato, quel paese è anche la nostra terra… stiamo con ogni singolo caduto quale che sia la divisa… stiamo con chi dice e fa pace”, ha scritto in un editoriale il direttore Marco Tarquinio. E la frase cruciale suona: “No alla guerra. E non domani ma adesso”. Senza aspettare il susseguirsi delle mosse strategiche, lo svilupparsi delle sanzioni, le perdite umane e materiali.
In una situazione che dopo l’aggressione di Putin rischia di avvitarsi in uno scontro senza fine, dai costi incalcolabili, il Vaticano di papa Francesco preme perché si imbocchi la via della razionalità e della valutazione complessiva degli interessi di tutte le parti. E’ una posizione difficile, mentre i protagonisti del conflitto dipingono l’evento come uno scontro fra angeli e demoni. Ma è l’unica posizione – ritiene la Santa Sede – che permetta una via d’uscita dalla situazione senza procurare infinite sofferenze. Non ha senso restare prigionieri di slogan, che raffigurano una guerra fra democrazie e autocrazie: “una visione ideologica”, ha commentato seccamente Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes.
Preoccupa la Santa Sede la militarizzazione del pensiero quale trend prevalente nei mass media, dove si tende a etichettare ogni diversa valutazione come “filo-Putin”. E invece il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, il collaboratore più stretto di papa Francesco, ha sottolineato da subito in un comunicato ufficiale la necessità di un atteggiamento di “saggezza che tuteli le legittime aspirazioni di ognuno”. Di Kiev, di Mosca e dell’Europa.
Mentre iniziavano i negoziati ucraino-russi, Parolin lo ha ribadito con estrema chiarezza. Si evita una drammatica escalation del conflitto soltanto attraverso una seria comprensione delle ragioni altrui. La sordità reciproca alimenta il conflitto. “Le aspirazioni di ogni paese e la loro legittimità devono essere oggetto di una riflessione comune, in un contesto più ampio”, insiste il cardinale. Già il 23 febbraio sull’Osservatore Romano una nota di Andrea Tornielli ricordava che nel 2008 Francia e Germania si opposero all’inclusione dell’Ucraina nella Nato perché “avrebbe rappresentato un atto ostile verso la Russia”. Si chiedeva l’Osservatore Romano se una soluzione pacifica va ricercata “dentro gli schemi bellici delle alleanze militari”, che si espandono e si restringono, oppure lavorando per una diversa architettura di convivenza.
Sono richiami scomodi per la retorica che sembra imperare attualmente a Roma, Bruxelles e Washington. Il Vaticano pone questioni forti in base all’esperienza passata: quando papa Wojtyla nel 2003 si oppose con ogni mezzo all’invasione dell’Iraq da parte di Bush e Blair (e non fu ascoltato e fu un disastro). E quando papa Bergoglio denunciò nel 2013 l’ipotesi di un intervento diretto americano in Siria (e fu ascoltato da Obama, che più tardi riconobbe di avere evitato un grave errore). Sulle scrivanie dei diplomatici vaticani non sta mai unicamente il menù del giorno. La Santa Sede tende ad avere una visione globale, che si estende anche a come si sono sviluppati gli eventi nel corso dei decenni.
In Vaticano sanno che la Nato da tempo non è più una mera organizzazione difensiva come quando nacque per fronteggiare l’Unione sovietica. La Nato ha attaccato la Serbia nel 1999 al di fuori di qualsiasi compito statutario, ha svolto missioni di supporto alla presenza degli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq, recentemente ha cominciato a dibattere su un suo ruolo nell’area indo-pacifica. Il paper Nato 2030 indica la Russia come oggetto di una “nuova confrontazione” e definisce la Cina come “rivale sistemico”. Insomma la Nato è un blocco militare-politico ben attivo sulla scena mondiale. Sembra persino ridicolo ricordarlo. Ecco perché la Santa Sede ritiene che non ci sia spazio per atteggiamenti fintamente ingenui.
Gli Stati Uniti non hanno mai permesso che ai loro confini venissero collocate basi militari di potenze avverse. La crisi di Cuba del 1962 è lì a testimoniarlo. La controprova si ebbe nel 1983 allorché il presidente Reagan ordinò l’attacco contro la piccola isola caraibica di Grenada (dove aveva preso il potere una fazione ultra-comunista) per il solo fatto che la costruzione di un aeroporto sarebbe potuta servire a forze nemiche degli Stati Uniti. Quando il Vaticano chiede pace “adesso” è anche perché suscita allarme lo scivolamento politico e psicologico di massa verso uno stato di “guerra totale”. Parlare di “mettere in ginocchio la Russia” (Letta, segretario Pd) o annunciare “provocheremo il collasso dell’economia russa” (ministro francese Le Maire) significa lanciarsi in un’avventura cieca senza curarsi dei contraccolpi planetari. A cominciare dalle valutazioni che ne trarrà la Cina.
In questa fase la stampa cattolica resta uno spazio in cui si analizza la situazione con maggiore libertà dagli schemi di propaganda. Su Avvenire è possibile leggere articoli duri contro il disegno espansionistico di Putin e al tempo stesso l’interrogativo se la sua mossa non sia stata dettata dalla sensazione di sentirsi con le spalle al muro. Il sito cattolico Rossoporpora (solitamente critico nei confronti di Francesco, ma ora allineato con la linea geopolitica vaticana) cita un intervento molto chiaro di Henry Kissinger, campione della realpolitik statunitense: “Se l’Ucraina vuole sopravvivere e prosperare, non deve essere l’avamposto di nessuna delle due parti contro l’altra”. Né della Russia né dell’Occidente. E’ un articolo del 2014, ma potrebbe essere stato scritto ieri mattina. Essere una nazione non allineata non è un disvalore.