Scoppia la pandemia e i miliardari russi trovano rifugio a Gstaad, l’eremo felice. Scoppia la guerra e vorrebbero invece dissolversi come neve al sole. La Svizzera ha voluto rendersi più trasparente per evitare di finire nei Paesi da black list e ha deciso di congelare i conti dei paperoni russi. Rimpiangono l’ultimo glam/cafonal party per l’ultimo dell'anno dove hanno ingaggiato David Guetta, 250 mila euro per una sola serata
La prima delegazione di oligarchi russi in quel di Gstaad si vide appena cominciarono le privatizzazioni. Tanti soldi e non sapere come spenderli. Sbarcarono qui e il metro quadrato schizzò alle stelle. L’Alpina, ultimo cinquestelle de luxury, inaugurato da Alberto di Monaco 9 anni fa, costruì nello stesso comprensorio per assecondare i loro capricci due mega chalet, boiserie pregiata, sala cinema e spa privata, il metro quadrato che costava 50mila franchi, oggi ne vale 80mila e il franco è ai suoi massimi storici. Li comprarono senza batter ciglio e senza neanche chiedere sconto due oligarchi russi. Arrivavano con jet privato insieme a un borioso e festaiolo caravanserraglio e si pensò subito di ingrandire l’aeroporto e di allungare la pista d’atterraggio. Gagosian, il gallerista numero uno al mondo, fece dentro il terminal il suo spazio espositivo per uno shopping last minute di un Damien Hirst o di un Basquiat.
Seguirono altri billionaires russi che occupavano suite da 28 mila franchi in su al giorno con buttler privato 24 ore su 24 fuori la porta per esaudire ogni loro desiderio come quello di infiocchettare una Porche Cayenne davanti l’albergo per un cadeau alla bellona di turno, come ricorda Gianni Bigi, ex direttore generale del Gran Hotel Park, che fa capo a Dona Bertarelli, the queen of the Big Pharma. E “Mamma li russi ” sostituirono nell’immaginario collettivo le smargiassate degli arabi ( in confronto adesso i saudi sembrano dei chierichetti) tavoli nel super privé del Greengo, la disco del Hotel Palace, altro cinquestelle amatissimo dai russi, con tusnami di bollicine millesimate da spruzzarsi addosso a mo di’ doccia, sempre guardati a vista da bodyguard dimensioni armadio,
Ma i Putin boys volevano dare anche un’educazione internazionale ai pargoli e li iscrissero al collegio esclusivo Le Rosey, rette da 120mila euro a fanciullo, esclusi gli extra. L’ondata d’iscrizioni fu tale che l’head master Gudin dovette mettere una quota che non superasse il 4% di alunni di nazionalità russa. Nello status del college fu inserita la clausola: vietato atterrare con l’elicottero nel campus e la prole russa può solo farsi accompagnare dallo chauffeur in Bentley. Tanta riccanza spalmata come caviale beluga sui binis. E la Promenade di Gstaad perdeva il suo sapore genuino da villaggio montanaro per adeguarsi alla nuova clientela sempre affamata di oggetti del desiderio. Una Promenade, lunga poco più di un chilometro, ospitava la più alta concentrazione di griffe: Louis Vuitton, Prada, Moncler, LoroPiana, Graff, il diamantologo più famoso al mondo, che nel suo chalet ha una galleria di Andy Warhol da fare invidia al Moma Museum.
Scoppia la pandemia e i miliardari russi trovano rifugio a Gstaad, l’eremo felice. Scoppia la guerra e vorrebbero invece dissolversi come neve al sole. La Svizzera ha voluto rendersi più trasparente per evitare di finire nei Paesi da black list e ha deciso di congelare i conti dei paperoni russi. Rimpiangono l’ultimo glam/cafonal party per l’ultimo dell’anno dove hanno ingaggiato David Guetta, 250 mila euro per una sola serata. E da un giorno all’altro gli ex spocchiosi russi si ritrovano poveri, messi in un angolo. Non possono criticare e ricoprire i’insulti Putin, (come magari vorrebbero) perché altrimenti l’omino forte gli confisca le ricchezze rimaste in patria. E non possono neanche mostrarsi dalla sua parte altrimenti la buona società di Gstaad li prende a palle di neve in faccia.
Si sentono “Pigs in shorts”, la mostra dal titolo provocatorio dell’artista molto apprezzata dal jet set Harriet Clark Sutin, appena inaugurata a Gstaad.
Poveri ricchi russi, quasi quasi, da compatire. Costretti a rimanere neutrali, a tenere la bocca cucita, a non esprimere opinioni, mentre nel resto d’Europa persevera la logica dello schieramento. Perfino Stefania Abramovic, la figlia del super magnate, è contro Putin. Il padre non può. E mentre una fila di 40 chilometri di mezzi corazzati marcia sull’indifesa Kiev, l’Europa compatta è pronta ad armare la difesa dell’Ucraina. Per il momento appelli per la pace se ne sentono pochi. Solo Alessandra Calise, habitué di Gstaad, domani digiuna. E’ suo appello che sta diventando virale per la pace.