Cultura

Lo Scaffale dei Libri, la nostra rubrica settimanale: (torniamo) a dare i voti a Zannoni, Fortier, Losso e Lemaitre

di Davide Turrini e Ilaria Mauri

“Parlava del vero mondo: della sua infinita crudeltà, della morte, dei dolori che ciascuno di noi era costretto a patire”. Come farà Bernardo Zannoni, al suo primo romanzo con I miei stupidi intenti (Sellerio) a scriverne un secondo? Tanto è folgorante, maestoso, trascinante l’esordio, questa epopea angosciante e istintuale della faina Archy: maltrattato e abbandonato dalla schiva e odiosa madre quando è ancora ragazzino; schiavizzato a sangue dalla volpe Solomon l’usuraio e dal cane Gioele che lo acquistano e lo obbligano al lavoro duro tra le angherie; amato, ricambiato e lasciato dall’amorevole Anja che gli darà dei figli; amico, prossimo, vicino dell’istrice Klaus. Zannoni strofina e distilla una primordiale e mai accomodante allegoria metaforica, perimetrando uno spazio naturalistico inquieto, ignoto, insicuro (tane frugali, ruscelli, colline, torrenti, meli, orti e pollai), dove pelo, viscere e caratteri animali fanno come da specchio per lo scrutare senza sentimentalismi o carinerie le profondità ancestrali dell’animo dei viventi. Complice il segreto della conoscenza della parola insegnata – propria degli uomini, dicono le bestie nel racconto – celato in un libro sacro che si ri-scrive ogni volta che passa di testimone, ne I miei stupidi intenti si disseziona e scotenna senza scampo gli strati dell’umano mostrandone le inguardabili amorali debolezze (sopravvivenza, sesso, sopraffazione) che stanno come in un irredimibile basso girone infernale. Non c’è vera redenzione o salvezza per il protagonista e gli altri animali del bosco incontrati lungo la vita terrena, ma solo la (pre)potenza della trascendenza di una sacralità biblica che fa venire i brividi, scortica, commuove solenne. Difficile staccarsene, impossibile non rileggerlo e re-immaginarne di continuo figure e luoghi. Libro italiano dell’anno (per ora). Voto: 10.

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