La criminale guerra scatenata da Putin in Ucraina produce quotidianamente i suoi drammi e la condanna di questa aggressione deve essere netta, senza se e senza ma. La guerra è un atto criminale e barbarico e Putin se ne è reso responsabile. Nella tragedia è però nato un inizio di dialogo tra le parti. Si tratta di un fatto importantissimo perché prima si discute e prima si può trovare un compromesso che permetta di interrompere questo dramma e di affrontare per via pacifica i gravi problemi che l’hanno reso possibile. Siamo quindi nella fase in cui da un lato vi sono le armi che sparano e distruggono, producono morti e odi. Dall’altra vi sono le parole e il dialogo che verificano la possibilità di trovare un compromesso che faccia tacere le armi.
In questa situazione ogni persona che voglia la pace dovrebbe favorire questo dialogo, dovrebbe incentivarlo. Perché l’unico modo per ridurre i danni di questa guerra è quello di terminarla il prima possibile, di far tacere le armi. Noi oggi siamo come nella Prima guerra mondiale: non ci possono essere né vincitori né vinti perché se la guerra va avanti saremo tutti perdenti, in primo luogo gli ucraini. L’unica strada è il dialogo tra coloro che oggi si combattono per trovare quel compromesso che non è stato costruito – con gravissime responsabilità dell’occidente – negli anni scorsi. Che cosa fa il governo italiano in questa situazione?
Dice per bocca del suo presidente del Consiglio che non è il momento della trattativa e decide di trasferire armi all’Ucraina. Il governo italiano invece di sostenere e valorizzare la scelta del dialogo lo delegittima, lo riduce a inutile esercizio e parallelamente decide di inviare armi al fine di rafforzare l’Ucraina nella prosecuzione della guerra. Il governo italiano pensa cioè che di fronte all’aggressione di Putin, questo non sia il momento del dialogo per cercare un compromesso, non sia il momento della ricerca della pace, ma sia il momento della guerra e quindi di fornire armi.
Io penso che questa scelta politica, che depotenzia il dialogo e ritiene necessario proseguire la guerra, sia inqualificabile e gravissima. Non è solo una scelta che delegittima e ostacola la ricerca della pace – i colloqui – è proprio una scelta che favorisce la prosecuzione e l’allargamento della guerra. In primo luogo perché si tratta di una posizione contro il grande buon senso della Costituzione italiana, che recita “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Sia chiaro, la Costituzione italiana non solo prevede che non dobbiamo aggredire altri popoli – come invece abbiamo fatto in Iraq, in Afganistan o in Libia – ma ritiene che la guerra non possa essere un mezzo per risolvere le controversie internazionali. Draghi e il suo governo pensano e fanno l’esatto contrario: dentro un conflitto armato dicono che non è il tempo di trattare e scelgono di intervenire attraverso il sostegno militare.
In secondo luogo perché il tempo non gioca a favore della pace ma a favore della prosecuzione della guerra e di un suo allargamento. Più va avanti la guerra e più vi saranno morti e distruzioni, cresceranno gli odi e le ferite saranno difficili se non impossibili da rimarginare. Il tempo della guerra non è come pensa Draghi, il tempo che prepara la trattativa da posizioni di forza: è il tempo della morte e della barbarie che pone le condizioni per una usa prosecuzione e un suo allargamento che rischia di diventare mondiale e nucleare. Prima che la barbarie del nazionalismo e della logica della guerra diventi egemone e non sia più arrestabile, bisogna fermare questa guerra. Il tempo è ora.