Mentre la pandemia superava i due anni di presenza nelle nostre vite, in Europa è entrato di prepotenza anche lo spauracchio della guerra totale. Questa guerra non è un fallimento delle diplomazie o del dialogo, neanche una questione etnica o in problema dei russi con gli ucraini, ma una scelta, tanto premeditata quanto ingiustificata, da parte di chi rappresenta la Federazione Russa. L’azione dell’aspirante zar è stata studiata nel dettaglio, con tanto di finta negoziazione con i leader europei e Nato durata il tempo utile a garantire la fine delle olimpiadi invernali degli amici cinesi. Una cortesia necessaria verso il potente protettore, visti i tempi che corrono. Gli annunci di Putin al popolo russo, frutto della sua personale megalomania, raccontano un uomo che detta l’agenda in modo solitario, che non vuole essere contradetto e che vede i suoi ministri e servizi segreti sempre più lontani dalle sue decisioni.

La decisione di attaccare l’Ucraina, Paese sovrano e indipendente dal 1991, è una conseguenza della rivoluzione arancione, culminata con la rivoluzione ucraina del 2014, che ha spodestato il fantoccio Victor Yanukovich, espressione della parte russofona e russofila del paese, fra cui il Donbass appunto, essendo lui stesso nato a Donetsk. Uno dei tanti personaggi oscuri che da doversi lustri si annidano e prosperano intorno al potere centrale, un uomo controllato dal Fsb (servizio segreto russo discendente del Kgb) e considerato come estremamente corrotto.

Ma riavvolgiamo il nastro.

Con la caduta dell’Urss, nascono, nelle repubbliche dell’ex impero, le pseudo-monarchie dei Lukashenko (Bielorussia), dei Nazarbayev (Kazakistan) degli Aleev (Azerbaijan), A Kiev si instaura un governo di incapaci attaccato alla tetta russa, che però di latte, all’indomani del crollo sovietico, ne ha ben poco. Il paese si impoverisce, le infrastrutture non reggono, la gente scende finalmente in piazza chiedendo con una certa rabbia un rinnovamento che culmina con la rivoluzione arancione e l’elezione di Viktor Yushchenko, persona onesta ma incapace, che dopo un mandato viene sostituito dal filorusso Yanukovich, che esaspera la già difficile situazione. Questo scatena la rabbia delle generazioni più giovani e della parte del paese ad occidente del Dniepr. Yanukovich viene rimosso con la forza e qui Putin vede la grande opportunità di intervenire. Approfittando di una parte del paese russofona, invia paramilitari e servizi segreti per lanciare la contro-rivoluzione, che culmina con l’occupazione di Lugansk, Donetsk e Sebastopoli.
Un’invasione che ha portato migliaia di morti, una perenne guerriglia e la conquista della Crimea, mai riconosciuta dalla comunità internazionale, da parte della Russia.

Da una strategia diplomatica basata su accordi non scritti, che sancivano l’impossibilità dell’Ucraina di entrare nella Nato a quella probabile della non adesione all’Ue, si è passati alla strategia autoritaria di chi pensa che si possa governare senza alcun processo democratico. Una questione di valori che mettono la Russia sullo stesso piano della Cina.

L’intervento militare di Putin era probabilmente pensato come una guerra lampo, con l’idea di occupare velocemente il Paese, mettere un fantoccio (stile Bielorussia) al governo di Kiev, per poi mettere il mondo dinanzi al fatto compiuto e tornare a Mosca trionfante. Se questa era l’idea le cose non sembrano andare in quella direzione. Una guerra lunga, che potrebbe diventare guerriglia in tutte le città, con tanti civili di mezzo, mette in enorme difficoltà due eserciti legati da rapporti storici e culturali, con l’Ucraina che è grande due volte l’Italia ed è abitata da 40 milioni di persone. La resistenza, inaspettata evidentemente, potrebbe costare cara anche alla Russia in termini di vite e di logoramento dei mezzi economici e militari. Le guerre in Cecenia e la logorante guerriglia di Grozny dovrebbero essere una storia non dimenticata per Putin e i suoi sodali.

Se la guerra lampo è la prima probabile previsione sbagliata, la seconda cosa imprevedibile è la reazione unitaria dell’Unione Europea e degli Stati europei. Era facile per Putin pensare che, per svariate ragioni, ci sarebbero state le consuete divisioni che caratterizzano il vecchio continente. Invece no, Europa unita e decisa. Viene quasi da pensare che l’aggressione di Putin possa rappresentare una incredibile spinta per il rafforzamento dell’Unione. Unione che oggi rappresenta concretamente l’orizzonte per gli ucraini che vogliono sfuggire dalle grinfie del megalomane presidente russo. Una prospettiva, quella europea, impensabile fino a ieri per l’Ucraina e oggi più che mai attuale.

Oggi, durante la sessione plenaria indetta d’urgenza al Parlamento europeo qui a Bruxelles per votare la risoluzione per l’aggressione russa in Ucraina, abbiamo assistito a toni forti da parte di tutti, da tutte le istituzioni e da tutti i gruppi politici. Con l’alto rappresentante Josep Borrell che ha parlato, per la prima volta convintamente, di geopolitica europea.

La risoluzione è stata sostenuta da tutti i gruppi, dall’estrema sinistra all’estrema destra passando per tutto quelli da sempre scettici verso misure forti. Anche quelli che con Putin hanno avuto una storica relazione di amicizia e di finanziamenti (Lega e Le Pen a destra, ma anche qualcuno ad estrema sinistra) si sono trovati allineatissimi nel contrasto al dittatore. Seppur con parti problematiche (la consegna delle armi ha fatto storcere il naso a molti, me compreso), la risoluzione approvata oggi è una azione politica molto chiara e univoca da parte dell’Ue. Vedere tutti i grandi sostenitori di Putin (da Salvini e Meloni passando per Berlusconi e parte del M5s), che tanto male hanno fatto in termini di disinformazione nel nostro Paese, inginocchiarsi a baciare i vessilli occidentali merita una menzione speciale come emblema del funzionamento (e il livello) della politica italiana.

Putin è riuscito in una mossa a unire tutta l’Europa, consentendo di superare le divisioni storiche interne e le neutralità assodate. Come quella della Svizzera, che ha deciso di congelare gli asset russi nelle sue banche (non una roba da poco) o quella della Svezia, che ha deciso di inviare armi per la prima volta dal 1939. Putin ha fatto aprire i confini alla Polonia per accogliere migliaia di rifugiati, cosa impensabile fino a ieri, così come ha fatto approvare una legge in Lettonia per dare la possibilità ai propri cittadini di partire per l’Ucraina per combattere. La Germania dopo vari decenni ha aumentato la sua spesa militare oltre il 2 % del Pil, aprendo le porte ad un esercito europeo.

Il capolavoro di Putin sarebbe completo se i cittadini russi si ribellassero in fretta, rendendo chiaro al mondo che questa è la guerra di Putin e non del popolo russo. Le proteste in varie piazze russe sono iniziate subito, così come le code ai bancomat e le conseguenze economiche, ma soprattutto qualche oligarca e qualche grande criminale, con i propri interessi sempre protetti da Putin, comincia a storcere il naso vedendo colpiti i propri affari ed interessi.

L’azione di Putin ha reso chiaro anche ai più duri di comprendonio che in tema energetico si è sbagliato tutto e che non si può pensare di dipendere dall’affidabilità dei russi, degli azeri o degli algerini. È giunto il momento che l’Ue sposti i suoi investimenti energetici verso l’autonomia e verso le energie rinnovabili. Se dobbiamo trarre una lezione da quello che sta succedendo è che se avessimo agito in tempo oggi avremmo un mix energetico più sostenibile e variegato, e non staremmo vivendo questo incubo che preannuncia dolorose conseguenze economiche, soprattutto per l’Italia, che importa più del 75% dell’energia che consuma.

Questa immane tragedia che ha colpito l’Europa può tramutarsi in una grande opportunità di rafforzare e portare avanti il processo di integrazione e autonomia decisionale europea, con un focus sul tema economico ed energetico: argomenti su cui le divisioni tra Stati hanno generato un progressivo indebolimento di tutte le nazioni.

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