In giorni di guerra come questi per l’Europa, infuriano anche polemiche che potremmo definire ‘secondarie’ come quella che da giorni si protrae sul destino e il lavoro di un direttore d’orchestra come Valery Gergiev che oramai i teatri ‘occidentali’, che si stanno schierando contro Putin, stanno iniziando a considerare come parte del conflitto.
Inutile ma doverosa premessa rimane che la guerra in Ucraina è una enorme tragedia, con una lunga preparazione storica alle spalle e un presente di devastante impatto sia europeo che mondiale, dati i soggetti che vi stanno prendendo parte con diverse modalità e con diversi titoli. Detto questo, è davvero giusto che un artista, che non ha nessun ‘titolo bellico’, venga giudicato solo in base alla sua amicizia personale con il capo di stato russo? E’ giusto che venga considerato come parte in causa e che venga letteralmente fatto fuori dal circuito musicale internazionale solo perché non ha voluto prendere una posizione di condanna nei confronti della guerra che il suo Paese sta affrontando e soprattutto non vuole distanziarsi dal suo presidente, Vladimir Putin?
Si è letto in questi giorni che sembrerebbe del tutto normale che ad un artista facente parte chiaramente di una parte delle due in lotta venga interdetto l’accesso ai teatri dell’avversario. Bisogna però dire che per ora le parti in lotta, formalmente, sono Ucraina e Russia. Non mi risulta ci siano dichiarazioni di guerra di altri paesi. Tanto è vero che il sindaco di Milano, Sala, il primo a fare ‘gran rifiuto’ nei confronti di Gergiev per la Dama di picche di Ciaikovskij alla Scala, lo ha poi rimpiazzato (con mossa che a lui sarà sembrata piena di tatto) con un direttore altrettanto russo ma non compromesso come Gergiev con la presidenza Putin.
La guerra ovviamente si è sempre fatta con ogni mezzo e l’arte non sfugge all’ideologizzazione e allo schieramento propagandistico, certamente, ma prima dell’invasione dell’Ucraina la ‘mostrificazione’ di Putin, la sua ‘hitlerizzazione’ non erano appannaggio che di una frangia estremamente ridotta di oppositori, infatti quando la Russia si impegnò nelle guerre caucasiche tipo la seconda guerra in Cecenia, o nella guerra in Siria a nessuno venne in mente di rivangare l’amicizia di Gergiev con il presidente russo e il direttore non ebbe alcuna ripercussione sulla sua brillantissima carriera. Ma il maestro da giorni si ostina a non prendere una posizione.
Sono arrivati diversi attestati di solidarietà, primo fra tutti quello di Anna Netrebko, una delle grandi scoperte di Gergiev, che come russa ha chiesto di non doversi mettere contro il proprio Paese. Nelle guerre del passato, per esempio nella Seconda Guerra Mondiale, molti artisti tedeschi hanno aderito al nazismo o ne sono stati semplici ‘fiancheggiatori’: Mengelberg, Jochum, Furtwaengler, Karajan, Gieseking, Krauss, Richard Strauss, tutti a diverso titolo scelsero di non lasciare la Germania (o l’Olanda occupata nel caso di Mengelberg) o di partecipare attivamente alle attività musicali del Terzo Reich, eppure alla fine delle ostilità nessuno di questi ebbe grosse difficoltà a riavere la grande carriera che gli competeva.
Quello che stupisce però è la reductio ad hitlerum per Vladimir Putin. La Russia in Ucraina sta conducendo una guerra, orribile ed esecranda come tutte le guerre, ma che non è in nessun modo riconducibile ad una guerra di sterminio. Perché chiedere allora patenti di purezza antiputiniana agli artisti russi quando di regimi non democratici con cui il democratico occidente si relaziona tranquillamente e senza imbarazzi è pieno il nostro quotidiano e aggiungerei anche la nostra scena musicale? A Lang Lang è stato chiesto di distaccarsi dal regime cinese? A Dudamel è stato chiesto di prendere le distanze dal regime venezuelano? Mai chiesto e mai avvenuto, mi pare che siano ancora beniamini delle nostre sale da concerto.
Furtwaengler si dice che rimase in Germania pur non amando il regime nazista, di cui non accettò mai nessuna carica ufficiale, per non lasciare in mano a Hitler e i suoi il destino della cultura tedesca. Far risuonare Beethoven, Brahms, Bruckner significava salvare dalla barbarie la parte migliore del suo retaggio.
Quando, nello sfacelo dell’Unione Sovietica putrefacentesi le istituzioni musicali russe andarono in rovina, Gergiev, che già aveva un nome nella musica occidentale, salvò da solo il teatro Kirov (poi tornato Marinskij) dalla rovina usando la sua popolarità mondiale. Salvò un pezzo fondamentale della tradizione esecutiva della musica russa. Ecco, Gergiev poteva essere l’occasione e il vaccino contro certe punte ridicole di russofobia che stiamo vedendo in queste ore.
La cultura russa fa parte dell’Occidente in maniera integrale, la sua grande tradizione non può non far parte del bagaglio minimo dell’essere umano colto almeno del nostro continente. Un artista come Valery Gergiev doveva essere lasciato forse al di sopra del conflitto, a costruire ponti piuttosto che a scavare trincee, ma pare che la guerra mediatica sia più importante delle conseguenze profonde che questa lacerazione, ennesima lacerazione europea, lascerà nel futuro del nostro continente, tanto vecchio e tanto ipocrita.