Come è possibile spiegare la guerra ad un bambino? È giusto farlo? Tocca ai genitori o alla scuola? A rispondere a queste domande sono il pedagogista Daniele Novara, sentito da ilfattoquotidiano.it e Save The Children, che ha stilato un elenco di consigli utili stilato dagli esperti dell’associazione. Una regola principe la ricorda Daniele Novara, che ha fondato il Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti: “Prima di tutto bisogna fare una distinzione età per età”. Secondo il pedagogista la questione va trattata in maniera diversa a seconda che si tratti della prima (fino a sette anni) o della seconda infanzia (dagli otto agli undici). Nel primo caso “i bambini – spiega Novara – hanno capacità di estrapolazione mentale impropria. Il loro è un pensiero sensoriale, di carattere magico, animistico; pretendere di entrare con loro nei meandri della guerra è crudele perché non hanno il senso della distanza e delle conseguenze. Parlare loro di guerra può creare ansia, stress, paura, insonnia, aggressività”.

In questi giorni molte mamme e papà cenano con la televisione accesa mentre manda in onda i bombardamenti sulle città ucraine o mostra i combattimenti in corso. Qualcuno pensa di poter spiegare il tutto anche a un bambino che frequenta la prima della scuola primaria? lo scrittore piacentino si domanda: “Qual è il vantaggio di esporre bambini a immagini di guerra, far vedere un Tg? Uno degli scopi della guerra è creare panico. Il genitore, invece, deve rassicurare, creare protezione”. Diverso il discorso se si parla di pace. Anche il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, qualche giorno fa, ha invitato gli insegnanti a parlare dell’articolo 11 della Costituzione: “I bambini – sottolinea Novara – possono fare disegni per la pace o persino partecipare a una manifestazione della pace perché è una festa”.

Altri i consigli per la fase della seconda infanzia. In questo caso il pedagogista suggerisce di non dimenticare che il pensiero resta comunque infantile, nonostante sia più strutturato: “Non si può pretendere una comprensione geopolitica. Inoltre non facciamo confusione: litigare non è la stessa cosa che fare una guerra. I loro conflitti non c’entrano nulla. I bambini hanno bisogno di litigare e persino di eseguire giochi di combattimento per scaricare la loro aggressività”. Solo a partire dalla prima media si può impostare un discorso diverso: “A quell’età hanno un pensiero divergente. L’esempio di Greta Thunberg rende l’idea. Possiamo aspettarci da loro una militanza perché è nella loro possibilità cognitiva. Possono fare ricerche, approfondimenti ma bisogna fare attenzione alle immagini più crude. Non c’è alcun bisogno di alimentare l’angoscia”.

Consigli che si sposano bene con quelli dati da “Save The Children” che fornisce cinque strumenti. Il primo: il tempo di ascoltare il bambino quando vuole parlare. “Potrebbero avere un quadro della situazione completamente diverso da quello degli adulti. Bisogna prendersi il tempo per ascoltare ciò che pensano e ciò che hanno visto o sentito”. Il secondo: adattare la conversazione al bambino. “I bambini più piccoli – dicono gli esperti dell’associazione – potrebbero essere appagati anche soltanto con la spiegazione che a volte i paesi combattono tra loro. È più probabile che i bambini più grandi sappiano cosa significhi la guerra, ma possano comunque trarre sostegno dal parlare con gli adulti della situazione. Generalmente, i bambini più grandi sono più preoccupati dai discorsi sulla guerra perché tendono a comprenderne i pericoli meglio dei bambini più piccoli”.

Il terzo: dare importanza ai loro sentimenti. “È importante – secondo “Save The Children” – che i bambini si sentano supportati nella conversazione. Non dovrebbero sentirsi giudicati e hanno bisogno di sentire che le loro preoccupazioni vengono prese in considerazione”. Il quarto: rassicurali che gli adulti di tutto il mondo stanno lavorando duramente per risolvere questo problema. “Non dovrebbero sentirsi in colpa di continuare a giocare, di incontrare i loro amici o di fare cose che li rendono felici”. Il quinto: offrire qualcosa di pratico. “I bambini – cita l’elenco dell’associazione – che hanno l’opportunità di aiutare le persone colpite dal conflitto possono sentirsi parte della soluzione. I bambini possono creare raccolte fondi, inviare lettere ai decisori locali o creare disegni che chiedono la pace”. Infine, una serie di suggerimenti che valgono, soprattutto per i più grandi: creare dei momenti in cui si analizzano insieme le notizie; suggerire libri da leggere sul tema della guerra e della pace; dare spazio alle testimonianze dei coetanei; utilizzare una storia o un libro illustrato.

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