Moody's: "Conseguenze a catena per economia globale". Mercati europei in profondo rosso dopo che le bombe hanno sfiorato una centrale nucleare. La Borsa di Mosca chiusa fino all'8 marzo. Il default sul debito si avvicina: per i mercati ha una probabilità del 67%. Usa e Ue spingono sui partner del Fondo monetario internazionale per bloccare il ricorso della Russia ai diritti speciali di prelievo, congelando altri 17 miliardi di dollari. Continua la forte volatilità dei prezzi dei combustibili fossili, dal gas al petrolio al carbone acquistato in Australia per tentare di diversificare
L’invasione russa dell’Ucraina causerà in tutto il resto del mondo “choc dei prezzi delle materie prime in un momento in cui l’inflazione è già alta, ripercussioni finanziarie delle sanzioni contro la Russia e volatilità dei mercati”. Mentre l’esercito russo avanza e le bombe sfiorano le centrali nucleari, le conseguenze si fanno sentire pesantemente sui mercati. Quelli europei hanno chiuso in profondo rosso, con Piazza Affari maglia nera a -6,2%, Parigi a -4,9%, Francoforte a -4,3% e Londra a -3%. L’agenzia di rating Moody’s avverte del rischio di “conseguenze a catena per l’economia globale”. Per ora ad andare a picco è di sicuro quella russa, che secondo Jp Morgan va verso un collasso che potrebbe superare, per gravità, quello visto dopo il default del debito nel 1998, con un crollo del Pil di almeno il 7% quest’anno (-9% secondo il consenso degli economisti sentiti da Bloomberg). Un nuovo default sembra vicinissimo: dopo i declassamenti di Moody’s e Fitch, l’agenzia S&P ha tagliato nuovamente il rating e i credit-default swap (Cds) in dollari sul debito russo a cinque anni – “assicurazioni” contro il fallimento del Paese – sono volati a 1.584, valore che implica una probabilità implicita di default del 67%.
Putin aveva accumulato 630 miliardi di dollari riserve in valuta estera per difendere il rublo, la metà delle quali sono ora state congelate dai Paesi occidentali oltre all’esclusione di molte banche dal circuito dei pagamenti Swift. Per togliere ulteriormente ossigeno alle finanze di Mosca, ora Usa e Ue stanno spingendo sui partner del Fondo monetario internazionale per bloccare il ricorso della Russia ai diritti speciali di prelievo, di fatto congelando 17 miliardi di dollari. La Borsa di Mosca è rimasta chiusa per il quinto giorno consecutivo e lo resterà fino all’8 marzo: un record nella storia del Paese. Dall’ultima volta che la piazza russa è stata aperta, i 27 titoli russi quotati a Londra – da Gazprom a Sberbank – hanno comunque azzerato il proprio valore, prima di essere sospesi. Ftse Russell, Stoxx e Msci, tra i maggiori fornitori mondiali di indici, hanno annunciato per i prossimi giorni la rimozione di tutte le azioni russe.
In parallelo con l’offensiva militare continua la forte volatilità dei prezzi dei combustibili fossili. Il gas, dopo un avvio sotto i 150 euro, ha segnato un nuovo record in chiusura di contrattazioni sulla piazza di Amsterdam. Per un MWh di metano il prezzo finale è stato di 204,15 euro, in rialzo del 26,94% rispetto alla seduta precedente. Toccato in corso di seduta il record di 208 euro, con un rialzo del 29,5%. Cresce anche il petrolio con i future sul wti a 110 dollari al barile (+2,2%) e sul brent a oltre i 112 dollari (+2%). Mentre ieri il gasdotto Yamal che porta il gas di Gazprom in Germania via Polonia ha smesso di funzionare, oggi il gruppo russo ha fatto sapere che “sta inviando gas naturale in Europa via Ucraina in linea con le richieste, con flussi che raggiungono 109,5 milioni di metri cubi”. In Italia però si è già registrato uno spostamento degli equilibri, con gli acquisti dall’Algeria che in febbraio hanno superato quelli dalla Russia.
Con gli acquirenti in Europa e in Asia che si affannano per ridurre la dipendenza dalla Russia e cercano forniture alternative, intanto, si impennano i prezzi di esportazione di carbone termico e gas dall’Australia. Come riporta il Sydney Morning Herald, il prezzo di riferimento del carbone di alta qualità è balzato del 42% questa settimana a 446 dollari Usa a tonnellata, mentre i carichi one-off di gas LNG, per effetto delle sanzioni imposte alla Russia, sono saliti del 40% fino a un livello massimo in sei mesi. Gli shock sui prezzi delle materie prime, osserva Moody’s, aumenteranno le pressioni inflazionistiche, in particolare nelle economie che sono forti importatori di materie prime russe. Dall’invasione, i prezzi del petrolio sono saliti oltre i 100 dollari al barile. La Russia è un grande produttore di metalli tra cui alluminio, platino, rame e palladio e anche i loro prezzi sono aumentati a causa della crisi. Mentre altri paesi che producono questi metalli beneficeranno di prezzi più elevati, i consumatori dovranno affrontare costi più elevati man mano che gli aumenti verranno trasferiti su di loro.
Alle stelle anche materie prime critiche come il palladio – sopra i 3.000 dollari l’oncia per la per la prima volta da maggio, avvicinandosi ai massimi di tutti i tempi – e quelle alimentari: secondo Coldiretti il prezzo del grano è balzato del 38,6% in una settimana dall’inizio della guerra in Ucraina ma ad aumentare sono stati anche il mais (+17%) e la soia (+6) destinati all’alimentazione degli animali negli allevamenti. A pesare è la chiusura dei porti sul Mar Nero che impediscono le spedizioni e creano carenza sul mercato mondiale dove Russia e Ucraina insieme rappresentano il 29% dell’export di grano e il 19% di quello di mais. “Una emergenza mondiale – secondo la confederazione – che riguarda direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame. L’organizzazione conclude sostenendo che “l’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che sono stati costretti a ridurre di quasi un terzo la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati”.