Il vescovo argentino Gustavo Oscar Zanchetta è stato condannato a quattro anni e mezzo di carcere per violenza sessuale su due ex seminaristi. Lo ha deciso il Tribunale di Orano, in Argentina, città della quale il presule è stato vescovo dal 2013 per volontà di Papa Francesco a cui è legato da un’antica amicizia. Monsignor Zanchetta, che ha sempre negato le accuse, nell’estate del 2017 era stato costretto a lasciare la guida della diocesi motivando ufficialmente la sua decisione per “un problema di salute” che non gli permetteva di “svolgere pienamente il ministero pastorale”, tenendo anche conto “della vasta estensione del nostro territorio diocesano e delle enormi sfide che abbiamo come Chiesa nel nord del Paese”. Per questo, aggiungeva in una lettera ai fedeli, “ho posto nelle mani del Santo Padre la decisione che credo sia la migliore, anzitutto pensando a voi prima che a me stesso e perché la cura che devo seguire non può essere intrapresa qui. Dal momento che devo partire prima possibile per iniziare il trattamento, mi congedo con questa lettera, anche se mi piacerebbe stringere la mano a tutti, specialmente ai più poveri, ai più deboli e ai più sofferenti”.
La scelta di monsignor Zanchetta, però, era sembrata subito una fuga dai guai giudiziari. Dimissioni ufficializzate dalla Sala stampa della Santa Sede il 1 agosto 2017. Nel frattempo il presule aveva lasciato l’Argentina per vivere nella residenza di Francesco, Casa Santa Marta. Pochi mesi dopo, il 19 dicembre, il Vaticano comunicava a sorpresa che il Papa lo aveva nominato assessore dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica. Una decisione che Bergoglio spiegò pubblicamente: “C’era stata un’accusa e, prima di chiedergli la rinuncia, l’ho fatto venire subito qui con la persona che lo accusava. Alla fine si è difeso dicendo che gli avevano hackerato il telefonino. Allora di fronte all’evidenza e a una buona difesa resta il dubbio, ma in dubio pro reo. Ed è venuto il cardinale di Buenos Aires per essere testimone di tutto. E l’ho continuato a seguire in modo particolare”.
“Certo, – aggiunse il Papa – aveva un modo di trattare, a detta di alcuni, dispotico, autoritario, una gestione economica delle cose non del tutto chiara, sembra, ma ciò non è stato dimostrato. È indubbio che il clero non si sentiva trattato bene da lui. Si sono lamentati, finché hanno fatto, come clero, una denuncia alla nunziatura. Io ho chiamato la nunziatura e il nunzio mi ha detto: ‘Guardi, la questione della denuncia per maltrattamenti è seria’, abuso di potere, potremmo dire. Non l’hanno chiamata così, ma questo era. L’ho fatto venire qui e gli ho chiesto la rinuncia. Bello e chiaro. L’ho mandato in Spagna a fare un test psichiatrico. Alcuni media hanno detto: ‘Il Papa gli ha regalato una vacanza in Spagna’. Ma è stato lì per fare un test psichiatrico, il risultato del test è stato nella norma, hanno consigliato una terapia una volta al mese. Doveva andare a Madrid e fare ogni mese una terapia di due giorni, per cui non conveniva farlo tornare in Argentina. L’ho tenuto qui perché il test diceva che aveva capacità di diagnosi, di gestione, di consulenza. Alcuni lo hanno interpretato qui in Italia come un ‘parcheggio’”.
Francesco spiegò anche come si era svolta l’indagine canonica su monsignor Zanchetta: “Economicamente era disordinato, ma non ha gestito male economicamente le opere che ha fatto. Era disordinato, ma la visione è buona. Ho iniziato a cercare un successore. Una volta insediato il nuovo vescovo, ho deciso di avviare l’indagine preliminare delle accuse che gli erano state mosse. Ho designato l’arcivescovo di Tucumán. La Congregazione per i vescovi mi ha proposto vari nomi. Allora ho chiamato il presidente della Conferenza episcopale argentina, l’ho fatto scegliere e ha detto che per quell’incarico la scelta migliore era l’arcivescovo di Tucumán”. E aggiunse: “Mi è ufficialmente arrivata l’indagine preliminare. L’ho letta e ho visto che era necessario fare un processo. Allora l’ho passata alla Congregazione per la dottrina della fede, stanno facendo il processo. Perché ho raccontato tutto questo? Per dire alla gente impaziente, che dice ‘non ha fatto nulla’, che il Papa non deve pubblicare ogni giorno quello che sta facendo, ma fin dal primo momento di questo caso non sono rimasto a guardare. Ci sono casi molto lunghi, che hanno bisogno di più tempo, come questo, e ora spiego il perché. Perché, per un motivo o per l’altro, non avevo gli elementi necessari, ma oggi è in corso un processo nella Congregazione per la dottrina della fede. Cioè non mi sono fermato”. Eppure il processo penale in Argentina è stato molto più rapido di quello canonico in Vaticano.