A scorrere la classifica mondiale della percentuale di popolazione vaccinata contro il Covid, prima di trovare l’Ucraina ce ne vuole. Secondo l’ultimo aggiornamento disponibile sul sito Our World in Data, il paese in guerra non arriva al 35 percento di copertura, appena prima di Lesotho, Guatemala e Mozambico. La vicina Polonia per esempio, primo tra i paesi confinanti per numero di profughi con oltre 600mila arrivi, è al 58%. In Italia siamo oltre l’80 percento e la prospettiva di un flusso di sfollati che secondo le stime della Commissione europea potrebbe superare i 7 milioni di individui, costringe a ricordare che non siamo ancora usciti dalla pandemia. Da qui il coordinamento annunciato dal Ministero della Salute con Protezione Civile e Regioni per vaccinazioni e tamponi immediatamente disponibili per tutte le persone in fuga dal conflitto. Ma in conto va messa anche la possibile reticenza di chi, anche tra i 7mila arrivati fino ad ora, non intende farsi vaccinare per paura o per motivi religiosi. E finora, da quanto riferiscono gli operatori sanitari ai confini di Stato del Friuli Venezia Giulia, al momento del primo screening sanitario all’ingresso in Italia sembra che a rifiutare il vaccino sia la maggioranza.

Appelli all’immediata immunizzazione degli sfollati dal conflitto ucraino sono già arrivati nei giorni scorsi dal commissario per l’emergenza Covid, il generale Francesco Figliuolo e dal consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi. Che ha spiegato: “Già prima dello scoppio della guerra il paese viveva sul fonte pandemico una situazione problematica, come tutto l’est Europa. Abbiamo più dati dalla Russia è lì la situazione è tragica, c’è una copertura vaccinale del 54% della popolazione, e questo ha provocato centinaia di migliaia di morti. Dall’Ucraina abbiamo meno dati e riteniamo che la protezione sia inferiore a quella della Russia, quindi la situazione è ancora più grave”. E conclude: “Le regioni che accolgono i profughi dovranno attrezzarsi per vaccinarli, a partire dalle persone anziane che in patria non hanno ricevuto nemmeno la prima dose”.

Ma proprio dalle regioni arrivano le prime segnalazioni di difficoltà. L’assessore alla Salute della Regione Lazio, Alessio D’Amato, ha spiegato in un intervista a Repubblica che “non si potrà rincorrere gli ucraini con la siringa in mano“. Piuttosto un coordinamento a livello europeo dovrebbe preoccuparsi di fornire i vaccini nei paesi di primo ingresso: “Ci sono otto punti dove i profughi si raccolgono, tra Polonia, Romania, e gli altri paesi limitrofi. Ci sono team di medici del Lazio pronti a partire. Lì potremmo allestire degli ospedali da campo, oppure appoggiarci a quelli già esistenti, e vaccinare e tamponare tutti gli ucraini che vogliono venire in Italia. Possiamo portare farmaci, dare supporto alle famiglie. Ma tutto questo deve fare parte di un’azione coordinata”. Quanto ai presenti in Italia, oggi e in futuro, D’Amato spiega: “La prima ragione del basso tasso di vaccinati in Ucraina è di carattere religioso. Gli ortodossi, lo sappiamo, sono molto cauti verso la vaccinazione. Abbiamo vissuto queste difficoltà anche le Lazio, non solo con gli ortodossi, anche con i Sikh. La differenza l’ha fatta il coinvolgimento delle autorità religiose. Mi appello a loro in questo momento”. Ma non c’è solo il Covid. “Si segnalano notevoli criticità dovute alle basse coperture vaccinali e al recente verificarsi di focolai epidemici, come l’epidemia di morbillo nel 2019 e il focolaio di polio iniziato nel 2021 e tutt’ora in corso nel paese“, scrive oggi il ministero della Salute nella prima circolare alle ASL territoriali in merito alla crisi ucraina. “Tale situazione affonda le radici in anni di difficoltà organizzative e di approvvigionamento di vaccini, oltre che in una lunga storia di esitazione vaccinale nel paese, ampiamente diffusa sia nella popolazione generale che fra gli operatori sanitari. Questo può ulteriormente aumentare il rischio che si sviluppino focolai epidemici nelle strutture deputate all’accoglienza dei migranti, già favorito dalle precarie condizioni igienico-sanitarie associate alla crisi e al fenomeno migratorio stesso”, avverte il ministero.

“Per i cittadini che provengono dall’Ucraina, indipendentemente dalla cittadinanza, privi di digital Passenger Locator Form o di certificazione verde Covid-19, le ASL territorialmente competenti provvederanno all’esecuzione dei test diagnostici nelle 48 ore dall’ingresso, laddove non avvenuta al momento dell’entrata nei confini Nazionali”. Questo prevede la nuova circolare del ministero della Salute ‘Crisi Ucraina – Prime Indicazioni per Aziende Sanitarie Locali‘. E tutti coloro che verranno individuati come casi positivi o contatti di caso andranno gestiti secondo la normativa vigente. Il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, ha aggiunto che “non ci sarà nessun obbligo di super green pass”, ricordando con una provocazione che lo status di rifugiato non lo prevede. Dal Pd Paola Boldrini, già relatrice al decreto sull’emergenza Covid e l’obbligo vaccinale per gli over 50, sottolinea: “Si tratta per lo più di giovani donne e bambini già affranti dalla guerra e dal viaggio per venire in Italia – afferma – e noi dobbiamo fornire oltre all’accoglienza doverosa a un popolo in fuga dalla guerra, anche supporto, assistenza, farmaci e il vaccino anti Covid”. Nel nostro Paese, secondo le stime dell’Associazione Culturale Europea Italia-Ucraina sono attesi centinaia di migliaia di profughi, tenendo conto che in Italia la comunità ucraina conta circa 240mila persone, che molti parenti cercheranno di congiungersi a queste e che ogni famiglia ucraina ha in media due o tre figli.

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