Si è sempre saputo che c’era anche una donna nei commando delle stragi sul ‘continente’: siamo nel 1993, quando una nuova ondata di strategia della tensione portò caos e paura, bombe e sangue. Fino ad ora solo una pista ma non affatto come tante altre, piuttosto in sé stessa molto speciale: la presenza di una donna, infatti, rompe lo schema delle stragi di mafia. E scoprire le entità concorrenti è proprio ciò che può portare alla verità-verità sulle stragi di mafia: cioè che non sono solo di mafia.
Dopo quasi 30 anni si cerca di dare un volto e un nome alla misteriosa ‘biondina’ delle stragi mafiose che secondo i magistrati intervenne nella strage del 27 luglio 1993 in via Palestro a Milano dove un’autobomba danneggiò il Padiglione di Arte Contemporanea e provocò cinque morti: un testimone nell’immediatezza fece un racconto limpido e compatto della scena, inserendo una bionda nel commando. Secondo la Procura fiorentina, la donna potrebbe aver partecipato anche all’attentato di via dei Georgofili a Firenze notte fra il 26 e il 27 maggio 1993. Potrebbe aver fatto da “autista” per conto dei mafiosi, alcuni dei quali già condannati con sentenze definitive, del furgone Fiat Fiorino imbottito con circa 277 chilogrammi di tritolo che provocò l’uccisione di cinque persone.
Come in altre vicende giudiziarie che si trascinando negli anni – in particolare quella che inchioda l’ex Avanguardista Paolo Bellini nella scena criminale della strage di Bologna – anche nell’azione investigativa dei procuratori di Firenze Luca Tescaroli e Luca Turco è stata determinante la tecnologia: l’identikit elaborato dagli investigatori del Ros (non più la Dia, chissà perché) ha trovato conferma, secondo la Procura, in una vecchia fotografia trovata all’interno di un libro nel settembre del 1993 durante una perquisizione effettuata in un villino nel comune di Alcamo (Trapani) nell’ambito delle indagini sulle stragi mafiose che portò al sequestro di numerose armi.
A distanza di 29 anni le nuove tecnologie per la comparazione dei volti avrebbero permesso l’identificazione. Vediamo come procederà l’inchiesta e fin dove si spingerà.
Il pentito Gaspare Spatuzza diede un contributo importante rivelando molto particolari delle stragi sul continente ma disse di essersi fatto una risata quando sentì parlare di una donna a Milano: eppure non c’era niente da ridere perché lui a Milano non c’era nel momento in cui vene piazzata la bomba. Cadrebbe la pista di recente sostenuta in un libro che accusava con nome e cognome un’altra donna vicina all’ex poliziotto Giovanni Aiello.
Vedremo, quel passato non passa, rispunta come un rigurgito dal corpo vivo del Paese a ricordarci che la verità delle stragi di mafia è terribile e rassicurante al tempo stesso, perché c’è dell’altro.