La guerra è un disastro che fa numerose vittime, non solo umane. Si ripete giustamente che tra le prime vittime della guerra c’è la verità, dato che ad ogni guerra si accompagna la propaganda delle parti in causa, il che ci deve rendere estremamente circospetti di fronte al profluvio di notizie, non tutte veritiere, che inondano i media. Un’altra vittima della guerra è poi l’intelligenza, di cui ci si può agevolmente rendere conto di fronte alle dichiarazioni dei politici con l’elmetto i quali, anziché contribuire a spegnere il fuoco che minaccia di divorarci, versano benzina sul fuoco della guerra.
Purtroppo l’imbecillità dilagante contagia anche settori dell’accademia. Un amico sociologo mi ha inviato un post, poi fortunatamente rimosso, dell’Associazione italiana di sociologia che si apre colla seguente dichiarazione: “La guerra di Putin è guerra contro la Nato”, per poi attaccare il presunto “isolazionismo” di chi vorrebbe tenersi fuori da questa guerra.
L’aggressione di Putin all’Ucraina costituisce senza dubbio un crimine internazionale gravissimo. Così come lo furono le guerre d’aggressione contro la Jugoslavia (1999), l’Iraq (2003) e la Libia (2011) scatenate da Stati Uniti e Nato. Coloro che oggi sembrerebbero disposti a dare fuoco alle micce di una Terza guerra mondiale nucleare per difendere l’indipendenza dell’Ucraina non furono altrettanto solleciti in tali occasioni. Tale atteggiamento scarsamente equilibrato non solo non contribuisce a fermare la guerra ma rischia anzi di aggravarla ed esasperarla, con conseguenze pregiudizievoli per l’Europa e per l’umanità tutta. Del resto il criterio che guida queste prese di posizioni imprudenti non è l’applicazione del diritto internazionale, ma quello del presunto interesse occidentale, identificato con quello della Nato, obsoleta alleanza militare il cui unico scopo politico è oggi quello di continuare a tenere aggiogata l’Europa intera alla dominazione statunitense.
I crimini di Putin hanno avuto, tra le loro varie tragiche conseguenze negative, quella di resuscitare la Nato, della quale poco tempo fa il presidente Macron aveva decretato la morte cerebrale e di snaturare in modo intollerabile l’identità europea, la cui nascita, sul terreno della geopolitica, è stata proclamata pochi giorni fa dall’Alto Rappresentante per le Relazioni Internazionali Borrell, proprio in coincidenza coll’aggressione russa all’Ucraina. In realtà l’identità dell’Unione europea sul piano dei rapporti internazionali è sempre stata caratterizzata, sia pure a volte con qualche mugugno, dalla subordinazione alla Nato che oggi diventa palese proprio in connessione alla guerra in corso.
L’invio di armamenti letali agli ucraini, insieme ad altri episodi come l’apertura di uffici per il reclutamento di volontari per la guerra, costituisce con ogni evidenza una violazione dell’art. 11 della Costituzione e della legislazione, sia nazionale che europea, applicabile all’esportazione di armamenti. Il ripudio della guerra affermato dall’art. 11 è totale, coll’unica eccezione della legittima difesa del territorio nazionale da aggressioni altrui. L’adesione al Trattato Nato, il cui art. 5 prevede un meccanismo di legittima difesa collettiva automatica, è difficilmente conciliabile, come notano i giuristi democratici in un loro recente comunicato, col ripudio della guerra affermato dall’art. 11. Nel caso dell’Ucraina, poi, il problema neanche si pone dato che non si tratta di un membro della Nato. Se lo fosse, saremmo già entrati da oltre una settimana nella Terza Guerra Mondiale.
Questo non implica che dobbiamo restare inerti e indifferenti di fronte alle sofferenze del popolo ucraino. L’unico modo per dare una risposta efficace e solidale a tali sofferenze è però quella di inviare soccorsi umanitari, accogliere i profughi (indipendentemente dal colore della pelle ovviamente) e soprattutto operare sul terreno del negoziato internazionale per salvaguardare la popolazione civile, fermare la guerra e risolvere i nodi di fondo che l’hanno scatenata, non tutti riconducibili alla presunta follia di Putin ma ben ancorata a problemi tuttora aperti quali l’espansione della Nato verso Est e lo status del Donbass e in genere della popolazione russofona dell’Ucraina.
L’esatto opposto, insomma, di quanto affermato dalla stratega delle disgrazie Hillary Clinton che vorrebbe trasformare l’Ucraina in un nuovo Afghanistan e tanti saluti alla popolazione e ai suoi diritti. Importante da questo punto di vista il contributo che sta dando la Cina, che opera nel negoziato mediando fra Russi ed Ucraini e progettando un nuovo meccanismo condiviso di sicurezza in Europa. Solo abbracciando quest’ottica costruttiva saremo in grado di dare un contributo efficace al movimento pacifista che si sta estendendo anche in Russia.
L’obiettivo deve essere quello di un’Europa unita e pacifica, dall’Atlantico agli Urali, e della fine dei blocchi militari e del riarmo, di cui beneficiano solo gli interessi dei mercanti di armi e di chi, sulle rovine fumanti dell’Europa tutta, vorrebbe poter affermare ancora una volta il suo ruolo dominante a livello planetario. Intanto diciamo no alla guerra scendendo in piazza domani sabato 5 marzo a Roma.