Nel pezzo su "Repubblica" in cui enumera i presunti "collusi col nemico" l'ex direttore del Tg1 poggia la sua tesi su quello che definisce uno "studio della Columbia university". Ma non è uno studio, non è della Columbia University e metà dei nominativi che cita con compaiono mai in quel testo. Al contrario lascia fuori dal suo articolo quelli che invece esistono, comprese (per coincidenza) Luiss e Repubblica
Il professore di diritto civile Ugo Mattei, il deputato di Liberi e Uguali Stefano Fassina, l’ex presidente della Camera e parlamentare del Pd Laura Boldrini e perfino Barbara Spinelli, figlia di Altiero padre fondatore dell’Unione europea e compagna di Tommaso Padoa Schioppa, padrino dell’euro. Eccoli, i putiniani d’Italia: li ha messi tutti in fila su Repubblica di venerdì Gianni Riotta in un articolo in cui ha raccontato chi sono i cosiddetti “Putinversteher“, quelli che “capiscono Putin”, che lo giustificano. Una lista di “cattivi”, di presunti “collusi col nemico“, che Riotta addita rivestendo il suo articolo con la patina di autorevolezza per mezzo di una pubblicazione (che lui chiama “studio”) uscita un po’ di mesi fa, nel 2021, negli Stati Uniti (titolo: Russian Active Measures: Yesterday, Today, Tomorrow). In realtà quello di Riotta per una buona parte si rivela un elenco di nomi del tutto personale: Mattei, Fassina, Boldrini, Spinelli, infatti, in quel testo “americano” non esistono. Eppure, nonostante la lunga esperienza da ex direttore e corrispondente, nello sviluppo del pezzo riesce a non dire mai agli ignari lettori di Repubblica che circa metà dei nomi che elenca non sono frutto di quello “studio” su cui si regge la sua tesi. Viceversa in quel testo si trovano molte altre citazioni che nell’articolo di Riotta non compaiono: per esempio c’è un lungo passaggio dedicato alla Luiss, università della quale Riotta dirige la scuola di giornalismo.
Riotta sostiene il suo pezzo appoggiandosi su un testo che chiama “studio della Columbia university curato dai docenti Olga Bertelsen e Jan Goldman“. Ma non è uno studio e men che meno è “della Columbia university”, come già avevano sottolineato alcuni giornalisti sui social nei giorni scorsi (Simone Fontana tra questi).
Ciò basta per definire il testo “uno studio della Columbia University”? No, almeno secondo l’ufficio stampa della stessa Columbia University, che dopo aver sentito l’Harriman Institute (centro accademico della Columbia che si occupa di Russia e Unione Sovietica) mi ha scritto:
— Simone Fontana (@simofons) March 3, 2022
Si tratta a dire il vero di un documento di ricerca che fa parte di una raccolta di saggi (totale di oltre 400 pagine) pubblicata dalla casa editrice tedesca Ibidem che negli Usa è distribuita dalla Columbia university press, cioè la casa editrice dell’università newyorkese. I curatori non sono docenti della Columbia: Bertelsen lavora alla Embry-Riddle Aeronautical University di Prescott, Arizona, Goldman alla Citadel di Charleston, South Carolina. Gli autori italiani dello “studio” (che studio non è) non lavorano alla Columbia e, anzi, non hanno alcun incarico accademico: Massimiliano Di Pasquale si presenta come “fotogiornalista e saggista”, Luigi Sergio Germani è “direttore scientifico dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici”.
Gli autori del documento di ricerca si propongono di “discutere l’influenza russa sulla cultura e sull’accademia italiana”. E distinguono “due diversi tipi di intellettuali filorussi in Italia”: i neo-eurasianisti, con “posizioni radicali pro-Mosca e anti-occidente”, e i “Russlandversteher” con “una posizione pro-russa pragmatica e moderata, basata su considerazioni di realpolitik“. Nel trasferimento dal testo di Di Pasquale e Germani all’articolo di Riotta, però, per effetto di un colpo di bacchetta magica, diventano “Putinversteher”, espressione mai usata nel cosiddetto “studio”.
Ne viene una visione un po’ ossessiva, nella quale si inserisce nello stesso fenomeno sia chi fa l’ultrà di Putin sia chi sbaglia un pronostico, sia chi è accusato di fare affari coi russi sia chi firma accordi negli scambi culturali. Ad ogni modo tra i primi, cioè tra i “radicali pro-Mosca”, vengono citati esponenti del Movimento sociale italiano come l’editore Claudio Mutti e il leader del Fronte della gioventù Carlo Terracciano, ma anche Gianluca Savoini – noto per le vicende legate ai presunti fondi russi alla Lega -, il filosofo Diego Fusaro e il corrispondente storico della Stampa – oggi scomparso – Giulietto Chiesa. Tra i “Russlandversteher”, invece, compaiono Sergio Romano, ex ambasciatore italiano a Mosca e storica firma del Corriere della Sera – secondo cui, scrivono gli autori, “gli interessi geopolitici russi non dovrebbero essere minati dai movimenti democratici in Ucraina” – e il filosofo Massimo Cacciari, “condannato” per una previsione sbagliata ai tempi dell’invasione della Crimea nel 2014 quando “affermò che i russi si sarebbero fermati” e che “i timori per il resto dell’Ucraina erano infondati”. Tra gli altri nomi inseriti nell’analisi ci sono quelli dell’ex presidente della Rai Marcello Foa e dell’ex direttore di Rai2 Carlo Freccero perché, nel 2019, secondo gli autori si schierarono a favore della messa in onda sulla tv pubblica di un programma di ispirazione sovranista L’ottavo blog.
Viceversa né nel saggio di Di Pasquale e Germani né in nessuna del totale delle 402 pagine della raccolta pubblicata in Usa dalla Columbia university press compare mai il nome di Barbara Spinelli, che Riotta su Repubblica ha promosso sul campo “Putinversteher con bollo diplomatico” riferendosi al fatto che il suo intervento sul Fatto alcuni giorni fa è stata rilanciato su Twitter dall’ambasciata russa a Roma. Né lì dentro si trovano i nomi di Ugo Mattei, professore di diritto civile diventato noto nell’ultimo anno per aver guidato le proteste no green pass del mondo universitario, o della presidente della Camera Laura Boldrini – colpevole di essersi astenuta sulla risoluzione del Parlamento sull’invio di armi in Ucraina – o ancora del parlamentare del M5s Vito Petrocelli (che ha votato contro), tutti citati da Riotta nel suo pezzo che così si è trasformato da parvenza di analisi a giudizio personale (o viceversa).
Al contrario dal pezzo di Riotta restano fuori parecchi nomi contenuti in quello “studio” di cui ha raccontato, sì, ma fino a un certo punto, con un largo uso di cherry picking – come direbbe lui -, con il quale l’ex direttore ha scelto di citare alcuni nomi e di scartarne altri. In quel volume vengono per esempio citate personalità di molte università italiane, dalla Sapienza a Ca’ Foscari. E tra queste c’è anche la Luiss, l’università privata intitolata a Guido Carli. Poiché il passaggio del documento dedicato alla Luiss è molto lungo qui ci si limiterà ad alcuni esempi. Il volume ricorda la partnership tra l’ateneo privato, l’Istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali e l’Enel e anche le parole pronunciate da Mariasilvia Ciola, allora capo della delegazione che visitò l’istituto moscovita che parlò di un’operazione “anche politica”: “Malgrado il peggioramento delle relazioni tra Russia e Occidente – rilevano gli autori del testo – ‘gli scambi accademici restano'” (le virgolette interne sono una citazione delle parole di Ciola). E ancora Di Pasquale e Germani parlano di Raffaele Marchetti, allora delegato del rettore all’Internazionalizzazione che “coopera strettamente con il Dialogue of Civilizations Research Institute (che è un think tank con sede a Berlino, ndr), creato e finanziato dall’oligarca russo ed ex generale del Kgb Vladimir Yakunin“. Di questo e di altro che riguarda la Luiss non c’è niente nell’articolo di Gianni Riotta, che per coincidenza è direttore della scuola di giornalismo proprio della Luiss.
Nella squadra di chi avrebbe una posizione “pro-russa moderata” finisce – secondo gli autori del mini-saggio – perfino Lucio Caracciolo, il direttore della storica rivista di geopolitica oggi edita da Gedi. Secondo questo volume Caracciolo, insieme a Germano Dottori (altra firma della rivista), “rappresenta la scuola di pensiero Russlandversteher”. Quanto a Dottori “in un’intervista a Start Magazine, Dottori, che ha pubblicato una serie di analisi geopolitiche su Sputnik Italia, sostiene che la Nato può ancora svolgere un ruolo rilevante, se Washington e i Paesi occidentali si liberano delle loro “ossessioni anti-russe, e la Nato cessa di essere un’alleanza anti-russa e diventa un’alleanza anti-cinese”. Ce n’è persino per il Corriere della Sera e Repubblica, cioè il giornale su cui Riotta scrive: sono accusati di aver pubblicato editoriali che “hanno rinforzato messaggi di propaganda russi” durante le proteste di Euromaidan nel 2013. L’unico quotidiano “salvato” dagli autori è La Stampa, che “ha offerto un’interpretazione bilanciata e un’analisi completa degli eventi”. Eppure Riotta ha lavorato anche lì.
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Nella versione originale di questo articolo veniva indicata la “fine del 2021” come data di pubblicazione del report Russian Active Measures: Yesterday, Today, Tomorrow. In realtà la data corretta di prima uscita della pubblicazione è marzo 2021, stando al sito della Columbia University Press. Il documento dei due analisti italiani è poi stato pubblicato in Italia nel settembre 2021, come recita il sito dell’Istituto Gino Germani.