La mostra, fino al 16 ottobre 2022, offre accostamenti tra quadri museale e quadro filmici, ma anche gli scatti giocosi e rilassati o tanti trucchi di girato come ad esempio in Accattone
Per una volta meglio non tirare Pier Paolo Pasolini per la giacchetta. Nel centenario della sua nascita – 5 marzo 1922 – il rischio di ascoltare da boccucce non proprio vergini giaculatorie concettuali sulle fulminanti intuizioni pasoliniane (potere, conformismo, lucciole e progresso/sviluppo) risulterebbe un pochino ipocrita. Meglio allora fare, anche perché questo le compete, come la Cineteca di Bologna che dal 1 marzo al 16 ottobre 2022 ha avuto l’idea di mostrare, proprio con una miriade di foto e filmati, un aspetto meno convenzionale di quella icona intellettuale organica, gramscianamente parlando, che è stato Pasolini.
Si intitola Folgorazioni figurative (titolo da sette più) e mette in mostra un aspetto trascurato del nostro come l’influenza della storia dell’arte nel suo cinema. Fermi tutti. Non aprite un’altra scheda di navigazione, perché l’innesto pittorico sulle immagini pasoliniane, come fossero una specie di sudario fisso sull’immagine in movimento, sono qualcosa di e(ste)ticamente sublime. Certo non possiamo che ricordare come il cinema di Pasolini, fino a quando non ha incontrato e sovrapposto la dimensione politica dello scandalo, che è poi l’attimo del fine vita, della morte, non è mai stato amatissimo dalle nouvelle vague critiche dell’epoca e nemmeno da quelle successive. La inseriamo? Sì, la inseriamo. Anno 2015, Gabriele Muccino: “Ho criticato il Pasolini regista che ha di fatto impoverito e sgrammaticato il linguaggio cinematografico dell’epoca”. Aggiungiamone un’altra prima di tornare nella lunga galleria sotterranea di Piazza Re Enzo dove si dipana sinuosamente la mostra bolognese.
Il Decameron del 1971, quindi appunto la visione del primo capitolo della trilogia della vita, quello dove corporeità e sessualità entrano nel linguaggio del cinema del nostro, rimane tutt’oggi il 16esimo incasso più alto nella storia del cinema italiano con oltre 11 milioni di spettatori (9 milioni e 300mila quelli di Quo Vado? di Zalone ndr). E Folgorazioni figurative attraverserà anche il Decameron con un’abbondante serie di scatti dove Pasolini nei panni di Giotto è l’impressionante richiamo ad un dipinto di Velazquez del 1630, Fucina di Vulcano o la Mangano nei panni della Madonna col bambino che invece richiama in maniera pedissequa la Madonna col bambino in trono, angeli e santi del 1302 di Giotto. Se rimaniamo dalle parti del Decameron c’è anche una scena che sembra riprendere con la carta carbone (c’è pure un marchingegno rosso con le ruotine azzurre come nel dipinto) Lotta tra Carnevale e Quaresima di Pieter Bruegel il vecchio del 1559.
Ma prima di ricordare a volo d’uccello altre tracce alquanto clamorose della dualità pittura/cinema, ricordiamo che alla base di questa profonda visionarietà pasoliniana c’è quel Roberto Longhi, il più grande storico dell’arte italiana, le cui lezioni Pasolini seguì all’Università di Bologna nel 1941. Ecco che così alcuni fotogrammi di Accattone messi di fianco a ritratti del Bronzino o del Caravaggio paiono pressoché avere un’identica fonte creativa. Il Gesù interpretato da Enrique Irazoqui ne Il vangelo secondo Matteo richiama un dipinto di El Greco del 1608 o le scene dello stesso film con i Farisei e i loto copricapi provengano da un Piero della Francesca del 1452-66.
Attenzione però non ci sono solo accostamenti tra quadro museale e quadro filmico. Folgorazioni figurative è anche un gioioso ricongiungimento dello spettatore ignaro con l’appena dietro la linea dei 180 gradi formata dalla macchina da presa di Pasolini sui suoi set. Tanti gli scatti giocosi e rilassati (ce n’è uno con Pasolini in costume da bagno di fianco all’austera Maria Callas in Medea), o tanti trucchi di girato come ad esempio in Accattone: un camera car di rara artigianalità e di parecchia efficacia realistica. Tutti dettagli che francamente sembrano spingere a ri-vedere parecchi ragionamenti affrettati su un cinema austero e distante, ma allo stesso tempo espressivamente curato e raffinato, come quello di Pier Paolo Pasolini nato 100 anni fa a Bologna in via Borgonuovo 4. Catalogo a cura di Marco Antonio Bazzocchi e Roberto Chiesi da leccarsi i baffi. Come del resto il volumetto Pasolini e Bologna, edito sempre dalla Cineteca del capoluogo emiliano.