La Superlega è morta, viva la Superlega. Nemmeno un anno dopo l’annuncio e il naufragio, l’assalto francese e la ritirata spagnola dell’assurdo progetto di un campionato dei ricchi, i soliti noti cioè Florentino Perez e Andrea Agnelli ci riprovano. Sembrano non aver imparato la lezione, ma in realtà stanno solo preparando il terreno per tornare alla carica. Non adesso: aspettano la sentenza della Corte di giustizia europea.
Da giorni in tutto il mondo del pallone si è tornato a parlare con insistenza di Superlega: pareva fosse addirittura imminente un nuovo annuncio, invece ci si è limitati ad alcune dichiarazioni al Business of football summit organizzato dal Financial Times. L’offensiva, anche mediatica (la cricca di Agnelli e Florentino ha scatenato tra Italia e Spagna il coro di giornalisti compiacenti e bot sui social), è chiara, e non può essere casuale. Fa parte di una ben precisa strategia che attende la pronuncia dei giudici, in cui i fondatori della Superlega hanno riposto le loro speranze. E su cui evidentemente hanno buone sensazioni, come lasciano intendere anche le indiscrezioni che arrivano dalla Spagna, secondo cui anche la Corte di giustizia Ue dichiarerebbe illegittime le sanzioni prese dalla Uefa contro i club, anticipando quello che sarà il verdetto complessivo sul tema.
Dopo la figuraccia planetaria e la marcia indietro di quasi tutti i 12 club fondatori (che però fanno ancora parte della società, tranne l’Inter che è uscita dall’accordo), i tre irriducibili (Barcellona, soprattutto Real Madrid e Juventus) hanno comunque presentato un ricorso alla Corte di giustizia europea contro la posizione dominante della Uefa. È in vista di questa sentenza che Florentino e Agnelli hanno deciso di riaccendere i fari.
Se i giudici daranno ragione alla Uefa (al cui fianco si sono schierati quasi tutte le Federazioni, governi e pure la Commissione Ue), partita chiusa. Discorso diverso se invece il verdetto dovesse in qualche modo censurare il comportamento dell’associazione di Ceferin: è lì che potrebbe aprirsi uno spiraglio per qualcosa di nuovo rispetto all’attuale ordinamento calcistico. Probabilmente, non la Superlega, almeno non quella che abbiamo conosciuto fino ad oggi, il torneo chiuso con 12 club proprietari a spartirsi tutta la torta e le briciole agli altri: è una formula già superata, tanto che gli stessi fondatori hanno dato mandato a società specializzate di elaborare dei format più inclusivi. Si è parlato di due Leghe da 20, promozioni e retrocessioni, nessun posto acquisito di diritto (almeno non in eterno) e collegamenti con i campionati nazionali.
Lo scenario più probabile, in caso di un intervento della Corte, è che la Uefa debba rinunciare ad essere sia ente regolatore che organizzatore commerciale dei tornei. E che dunque dovrà essere qualcun altro a prendere in mano la coppa internazionale: un ente, un veicolo che ancora non esiste, e magari non sarà nemmeno la SuperLeague Company già creata dai 12 (oggi 11) rivoltosi, che non potrebbero essere proprietari di un torneo aperto. Più che i singoli club, l’iniziativa potrebbe essere presa dalle Leghe. Anche perché qualsiasi nuova competizione, per avere successo e non fare la fine della Superlega, dovrà conquistare il consenso del Regno Unito e della Premier League, un campionato talmente ricco che non ha alcun interesse a farsi fagocitare da tornei sovranazionali. Motivo per cui la Superlega, Superchampions o qualsiasi cosa sia, dovrà preservare alcuni vecchi equilibri e mettere sul tavolo molti più soldi per tutti. Come potrebbe fare, ad esempio, un campionato europeo fra le prime 5 Leghe (Inghilterra, Spagna, Germania, Italia, Francia), e poi le minori a cascata in categorie inferiori. Se non potranno esserne padroni proprio come sognavano, Florentino e Agnelli vogliono intestarsi almeno il merito di aver iniziato la battaglia e prenotare un posto di rilievo. Ed è per questo che ora tornano a parlare di Superlega. In attesa dell’autunno. Quando la sentenza della Corte di giustizia europea affonderà definitivamente il progetto. Oppure darà inizio a una nuova partita, tutta da giocare.
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