Una prima prova del nove per capire la situazione la vedremo il prossimo 16 marzo quando sono in pagamento cedole per 117 milioni di dollari (103 milioni di euro) su bond russi denominati nella valuta statunitense. I titoli di Mosca valgono nel complesso 49 miliardi di dollari a cui si sommano bond societari per 258 miliardi. Banche italiane le più esposte
I valori dei credit default swaps (cds), prodotti che consentono di assicurare un investimento contro l’eventuale fallimento del debitore, indicano una probabilità dell’80% di un default della Russia. Ieri Mosca ha annunciato che pagherà gli interessi sui suoi titoli in rubli, ad un tasso di cambio fissato dalla banca centrale. Per i titoli denominati in valuta estera significa di fatto una sforbiciata al valore delle cedole, in sostanza un default seppur mascherato. Va detto che sul mercato esistono anche emissioni di titoli di Stato russi che, da contratto, consentono all’emittente di onorare i debiti in altre valute, incluso il rublo.
Una prima prova del nove per capire la situazione la vedremo il prossimo 16 marzo quando sono in pagamento cedole per 117 milioni di dollari (103 milioni di euro) su bond russi denominati nella valuta statunitense. Il 4 aprile arrivano invece a scadenza bond per 2 miliardi di dollari. I pagamenti in programma nei prossimi 3 mesi ammontano a 9 miliardi di dollari. Nel complesso Mosca ha emesso obbligazioni in moneta estera per un valore di 49 miliardi. Oltre ai titoli di Stato sul mercato ci sono però anche u bond emessi da società russe, molte a controllo statale, che ammontano a 258 miliardi di dollari. La metà è denominata in rubli, mentre titoli per 92 miliardi sono in dollari mentre quelli in euro valgono 14 miliardi. Gli investitori più esposti sui titoli russi sono le banche italiane e quelle francesi, entrambe con titoli per circa 25 miliardi di euro. Seguono le austriache, soprattutto Raiffeisen Bank, con 17 miliardi mentre le statunitensi si fermano poco sotto i 14 miliardi.
Le sanzioni per ora varate dai paesi occidentali impongono limitazioni anche sulla compravendita di bond russi. Le società statunitensi non possono comprare titoli sul mercato secondario emessi dopo il primo marzo, i gruppi europei non possono finanziare in nessun modo entità russe se non per l’acquisto di alcuni prodotti compresi l’energia. Sebbene si stia valutando un stop all’acquisto di petrolio russo sinora i flussi di pagamento verso Mosca per greggio e gas non si sono mai fermati. Denaro che serve anche per onorare gli impegni sui debiti. L’opzione rublo sembra per ora più una scelta che una necessità. O dipendere più dalle difficoltà nel muovere e cambiare valuta che dalla sua mancanza. Oggi Gazprom ha rimborsato ai propri obbligazionisti 1,3 miliardi di dollari per i bond in scadenza. I pagamenti sono stati effettuati in dollari nonostante il decreto del presidente Vladimir Putin che consentiva di ripagare i bond in valuta estera in rubli, riporta Bloomberg, che ha avuto conferma del rimborso da alcuni obbligazionisti. L’altro colosso dell’energia Rosneft ha confermato che rimborserà nei prossimi giorni un bond da 2 miliardi di dollari che è maturato domenica, i fondi sarebbero già stati depositati presso la banca incaricata dell’erogazione dei pagamenti.
Le sanzioni impediscono alla banca centrale russa di muovere la quota delle sue riserve detenute all’estero. Nel complesso valgono 630 miliardi di dollari in forma di euro, dollari, yuan etc. Le quote in valuta estera sono però presso le rispettive banche centrali: congelate almeno quelle gestite da Federal Reserve, Banca centrale europea e Bank of England. A Mosca ci sono lingotti d’oro per 132 miliardi di dollari. Per avere soldi in mano però vanno venduti e, in questo momento, non è facile trovare chi compra. Oggi il mercato di Londra, il maggiore a livello mondiale, ha bloccato l’import dalla Russia. La decisione dell’associazione londinese Lbma di sospendere gli esportatori russi dalla sua lista accreditata determina un embargo de facto al metallo prezioso di Mosca. Le gran parte delle banche e degli operatori trattano solo l’oro di operatori inclusi nell’elenco.
Negli ultimi tre giorni le agenzie di rating (tutte a controllo statunitense) hanno ridotto il loro giudizio sulla Russa, segnale che il rischio default si fa più concreto. Ieri l’agenzia Moody’s ha tagliato il rating sul debito sovrano della Russia da B3 a Ca, giudizio che indica un titolo “altamente speculativo e probabile, a breve termine, di finire in default” seppure con qualche possibilità di recupero di capitale e interessi. L’outlook (ossia la previsione sull’evoluzione della situazione debitoria) è negativo. Mosse simili sono state fatte da Standard and Poor’s e Fitch. Nel 1998, dopo una forte perdita di valore del rublo, Mosca dichiarò default su un debito di 40 miliardi di dollari.
“Vediamo un default” dei bond della Russia “come lo scenario più probabile” in quanto le probabilità di rispettare le scadenze sul debito estero stanno diminuendo alla luce del crollo del valore delle obbligazioni, del profilarsi di una recessione e dell’accumularsi di restrizioni dopo l’invasione dell’Ucraina. E’ quanto scrivono in una nota gli analisti di Morgan Stanley, che invitano a segnare sul calendario, come prima data di un possibile default, quella del 15 aprile, quando terminerà il periodo di grazia di 30 giorni sul pagamento delle cedole di due bond denominati in dollari con scadenza al 2023 e al 2043.