Con un post sul proprio canale - Durov's Channel - l'imprenditore risponde "alle persone che si chiedono se Telegram sia in qualche modo meno sicuro per gli ucraini, dato che un tempo ho vissuto in Russia. Nel 2013", ricorda, "l'agenzia di sicurezza russa, l'Fsb, mi ha chiesto di fornirle i dati personali degli utenti ucraini di Vk che protestavano contro un presidente filorusso. Mi sono rifiutato di obbedire, perché sarebbe stato un tradimento dei nostri utenti ucraini"
Il fondatore di Telegram Pavel Durov rassicura gli utenti ucraini: la loro privacy non verrà violata. E lo fa sulla stessa piattaforma di messaggistica, che si sta scoprendo un mezzo di comunicazione fondamentale per la resistenza ucraina contro l’invasione della Russia. Sul proprio canale – Durov’s Channel – l’imprenditore dalla tripla cittadinanza russa, francese e di Saint Kitts and Nevis risponde “alle persone che si chiedono se Telegram sia in qualche modo meno sicuro per gli ucraini, dato che un tempo ho vissuto in Russia”. “Se seguite i miei post”, esordisce, “sapete che la mia famiglia da parte di madre ha le proprie radici a Kiev. Il suo nome da nubile è ucraino (Ivanenko) e abbiamo ancora molti parenti che vivono in Ucraina. Perciò questo conflitto tragico riguarda personalmente sia me che Telegram”, scrive.
Ma non solo: Durov, che è anche il fondatore di VK (VKontakte), il social network più popolare in Russia e in Ucraina, ricorda come fu costretto ad abbandonare la società e il Paese proprio per aver rifiutato di fornire all’intelligence di Mosca i dati dei propri utenti ucraini. “Fatemi raccontare com’è finita la mia carriera in Russia”, si legge nel post. “Nove anni fa ero il Ceo di Vk. Nel 2013 l’agenzia di sicurezza russa, l’Fsb, mi ha chiesto di fornirle i dati personali degli utenti ucraini di Vk che protestavano contro un presidente filorusso (l’ex capo di Stato Viktor Yanukovich, ndr)”, ricorda l’imprenditore. “Mi sono rifiutato di obbedire, perché sarebbe stato un tradimento dei nostri utenti ucraini. Subito dopo sono stato licenziato dalla società che avevo fondato e costretto a lasciare la Russia”.
“Ho perso la mia azienda e la mia casa, ma lo rifarei ancora, senza esitare”, scrive Durov. “Sorrido con orgoglio a rileggere il mio post su VK dell’aprile 2014, che riporta gli ordini dell’Fsb e la risposta con il mio marchio di fabbrica: un cane in una felpa con cappuccio. Quando mi sono opposto alle loro richieste avevo molto da perdere. Vivevo ancora in Russia, il mio team e la mia vecchia azienda avevano sede lì. Sono passati molti anni. E sono cambiate molte cose: non vivo più in Russia, non ho più aziende o dipendenti nel Paese. Ma una cosa rimane la stessa: io difendo i nostri utenti, non importa il resto. Il diritto alla privacy è sacro, ora più che mai”.