Da Russia e Ucraina proviene il 30% delle esportazioni globali di grano. Al momento le scorte sono abbondanti ma i mancati raccolti ucraini possono complicare la situazione. In febbraio l'indice sui prezzi alimentari elaborato dalla Fao ha toccato un nuovo massimo storico spinto dai rincari dei cerali, a favorire la corsa delle quotazioni anche lo stop a un centinaio di navi che trasportano commodities bloccate nel mar Nero
Ieri l’Ungheria ha deciso di vietare le esportazioni di grano nel timore che l’invasione russa in Ucraina possa causare carenze “significative” nell’approvvigionamento nazionale e un’impennata dei prezzi su scala mondiale. “Il 15% delle nostre importazioni è colpito dalla guerra, anche i prezzi dell’energia stanno aumentando, gli agricoltori potrebbero risentirne”, ha avvertito il presidente ungherese Viktor Orban. La mossa di Budapest dà il senso dell’altra grande emergenza che discende dal conflitto in corso, non solo energia e gas ma anche materie prime alimentari e in questi casi i paesi più esposti non sono tanto le ricche economie occidentali quanto i paesi più poveri del mondo.
Solo nell’ultima settimana il prezzo del grano è salito del 38% a Parigi toccando i 400 euro a tonnellata, il valore più alto da 14 anni. Dinamiche non molto diverse a Chicago, mercato di riferimento per le commodities alimentari a livello globale, dove, solo nella giornata di venerdì il prezzo del grano è salito del 6,6%. Spinto dai prezzi dei cereali l’indice sui prezzi alimentari elaborato dalla Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di alimentazione), è salito sui valori più alti di sempre. C’è, come sempre, della speculazione che soffia sul fuoco, ma alla base di qualsiasi speculazione c’è sempre un elemento di realtà.
Al momento una carenza di grano non c’è ma se la crisi non si risolve potrebbe esserci ed è su questo che si formano le spinte al rialzo sui prezzi. La Fao ha rimarcato come, in assenza delle ricadute conflitto, la produzione mondiale di grano e mais sarebbe quest’anno attesa in crescita a 790 milioni di tonnellate, con rese abbondanti e un ampliamento dell’estensione delle superfici coltivabili nell’America settentrionale e in Asia, che andrebbero a controbilanciare un presunto lieve calo della produzione nell’Unione europea e l’impatto delle condizioni di siccità sulle coltivazioni in alcuni paesi dell’Africa settentrionale. Le scorte mondiali di cereali, al termine del 2022, dovrebbero aumentare leggermente nel corso dell’anno, fino a 836 milioni di tonnellate. Ma tutti queste cifre rischiano di perdere concretezza se la
Terzo e nono produttore mondiale, Russia e Ucraina pesano per circa il 30% del commercio globale di grano. Questo grano finisce soprattutto in Turchia, che importa oltre il 70% del suo fabbisogno e in Egitto (67%). Ad essere fortemente dipendenti dal grano di questa provenienza sono però anche Sudan, Repubblica del Congo, Ruanda e Nicaragua. Il problema, in prospettiva, riguarda soprattutto i paesi che si affidano al grano ucraino. Il 90% del grano consumato in Libano, paese già in gravissima difficoltà economica, proviene da qui. E alle importazioni da Kiev si affidano molto anche paesi come Tunisia, Somalia, Yemen (dove da anni infuria una guerra tra fazioni sostenute da Arabia Saudite e da Iran), Siria e Libia. Mentre le forniture russe ai paesi africani sono parte del soft power (e a volte anche hard) che Mosca sta sviluppando nel continente. Di ieri la notizia che, in Asia, il Pakistan ha firmato un importante accordo con la Russia per l’importazione di gas naturale e grano.
Molti carichi in questo momento sono fermi, circa 140 navi di diversi paesi (fra cui petroliere, cargo e navi da trasporto di grano) sono bloccate nei porti e nelle coste dell’Ucraina dall’inizio del conflitto. Le navi non possono lasciare i porti per mancanza di piloti, hanno spiegato all’agenzia, vari armatori e compagnie di navigazione mentre parte del Mar Nero è infestato dalle mine come dimostra l’affondamento del cargo panamense (di proprietà estone) Helt. Nei giorni scorsi il Mar Nero settentrionale e il Mar d’Azov sono state classificati come “zone di guerra” dalle compagnie di assicurazioni marittime inducendo de facto il blocco o la forte limitazione degli spostamenti.
Se i coltivatori ucraini non iniziano a piantare in tempi brevi la situazione inizierebbe a farsi più complicata, spiegano alcuni esperti. Il grano peraltro è una coltivazione pregna di significati nei rapporti tra Russia ed Ucraina. Nel 1930 Joseph Stalin ordinò la requisizione di tonnellate di grano dei coltivatori ucraini innescando una carestia che causò più di 4 milioni di morti. “I prezzi avranno un impatto mondiale specie sulle famiglie più povere”, ha scritto ieri il Fondo monetario internazionale ricordando come un allargamento del conflitto in Ucraina “avrebbe conseguenze ancora più devastanti” per l’economia mondiale che già sconta “serie conseguenze” dal conflitto. Per l’organismo basato a Washington si vedono effetti su “prezzi di energia e materie prime come il grano e altri beni alimentari, aggiungendo una pressione inflazionaria” già elevata.
Quello dell’inflazione è il tema derivato dalla corsa dei prezzi alimentari. L’ultimo dato relativa a febbraio ha mostrato un’accelerazione dei prezzi nell’area euro con un incremento su base annua del 5,7%. Sinora la spinta è arrivata dai costi dell’energia, a questi potrebbe sommarsi ora quella dei prodotti alimentari. Più che altrove, nei paesi più poveri il prezzo del grano è questione, oltre che economica, anche politica. Dai rincari alimentari sorsero le proteste del 2007-2008 che coinvolsero alla fine 40 stati in quella che venne definita “primavera araba”.