Qualche giorno fa il direttore della Stampa Massimo Giannini, che ritengo molto bravo e che fa, a mio parere, un bellissimo giornale, ha promosso come vicedirettrice del giornale la (anche lei) brava Annalisa Cuzzocrea. Una bella cosa, dunque. Peccato che il direttore l’abbia accompagnata con queste parole che hanno prodotto (almeno in me) un effetto surreale. Giannini ha infatti detto: “È prima volta, nella storia di questo giornale, che una collega assume un incarico così significativo, e mi pare valga la pena di sottolinearlo”. Giannini ha detto una cosa vera, eppure non può non suscitare amarezza in noi donne che si definisca un passo epocale che una donna vada alla vice-direzione del giornale. Vice-direzione. E non alla sua direzione.
D’altronde, i direttori dei “grandi”, in senso numerico, giornali, sono tutti uomini. E spesso e volentieri pure tutti i vicedirettori (in genere ce ne sono tre o quattro maschi e una donna). Parlo anzitutto del Corriere della Sera, ma vale quasi per tutti gli altri con rarissime eccezioni (Agnese Pini alla Nazione). Ma fossero solo i direttori. Anche nella pagine degli editoriali le firme maschili fanno da padrone. A volte, può accadere che non ci sia nessuna firma donna (succede spesso a Repubblica, ad esempio). Lo stesso accade per le rubriche, anche podcast: la stragrande maggioranza sono uomini. Un altro esempio che mi ha lasciato amareggiata è stata una paginata del Corriere della Sera in cui il giornale presentava la sua nuova scuola di formazione per giornalisti: su 27 uomini 5 donne. Appunto.
La tv fa meglio? Dipende. Se guardiamo i talk show politici, non pare molto, specie se parliamo di quelli serali, visto che i conduttori di DiMartedì, PiazzaPulita, Propaganda Live, Non è l’Arena, sono tutti uomini. Non si comportano egualmente rispetto agli ospiti, è vero: ad esempio Giovanni Floris invita moltissime donne, Corrado Formigli molto poche. E persino la femminista Lilli Gruber che pure ha sempre donne nel suo talk show serale, ha come ospiti quasi sempre una donne e tre uomini. Skytg24 anche, che pure è un ottimo tg davvero, quando si tratta di discutere di un tema ospita in grande maggioranza uomini. Il problema poi non è solo il genere: è che ad essere invitati a parlare sono davvero sempre gli stessi da anni.
Giornalisti – faccio solo alcuni esempi – come Paolo Mieli, Maurizio Molinari, Federico Rampini sono praticamente onnipresenti in più programmi. Io, personalmente, sono satura delle loro analisi e delle loro opinioni. Vorrei persone che rappresentino la società, donne, certo, ma anche giovani, anche immigrati. E invece: anche nell’informazione, come nella politica i protagonisti sono per lo più maschi, bianchi, sessanta-settantenni.
Certo, qualcosa sta cambiando, ad esempio in Rai due direttori di Tg sono donne e per fortuna, anche perché il maschilismo in Rai sarebbe cosa ben più grave, visto che si tratta di servizio pubblico e non di privati. E tuttavia, se uno vuole farsi un’opinione sui temi dell’attualità deve sorbirsi per forza le stesse facce. E se chi lavora nel mondo dell’informazione sa riconoscere le posizioni di potere, l’autoreferenzialità e magari cambia canale (o giornale) la maggior parte delle persone penserà che possono essere autorevoli solo uomini bianchi anziani.
L’informazione in Italia, rispetto al rappresentare le donne e a raccontarle, che sono due facce della stessa medaglie, è sinceramente ancora medievale. Proprio oggi mi è capitato di intervistare una donna ucraina per l’8 marzo e il quadro che mi faceva delle donne in quel paese non è poi così lontano dal nostro. Ma soprattutto quello che più mi irrita è che spesso giornali e talk show criticano la politica quando questa presenta il suo peggiore volto maschilista senza rendersi conto di essere tanto simile alla politica da rappresentarne spesso l’altra faccia. L’ho scritto tanto volte, ma lo ripeto, in occasione dell’otto marzo: abbiamo bisogno di un’informazione più pluralista, dove il pluralismo non è dato solo da ciò di cui si parla ma anche da chi ne parla: non ci serve il solito ottantenne che parla dei giovani, ci serve anche che i giovani abbiano voce.
L’informazione è importante. È lo specchio del paese. È il racconto del paese stesso. L’informazione è preziosa, può fare moltissimo, specie di questi tempi. Può cambiare le cose, ma può anche, invece, fermare le lancette del cambiamento. Se la società muta, ma non l’informazione, la società non si sentirà rappresentata e in un certo senso non saprà neanche chi è. Una migliore informazione aiuta anche le donne, le fa sentire più sicure di sé: perché se io vedo tante donne che ricoprono ruoli importanti, se le senso parlare in televisione e le vedo scrivere sui giornali, anche io mi sentirò più sicura nel farlo. Se vedo solo uomini anziani, forse penserò invece che mio marito e mio padre sono più autorevoli di me. Non è tanto difficile da capire.
Perché non si comincia, allora, a cambiare sul serio e rappresentare meglio più della metà della popolazione italiana?