Molti i paesi africani più vicini a Mosca che a Washington o Bruxelles. Il Pakistan sigla nuovi accordi con il Cremlino, l'India non condanna l'invasione. L'Iran mugugna. Argentina e Brasile tiepidi sulle risoluzioni contro la Russia
L’Ucraina è vicina per noi ma è lontana per gli altri. Per una volta le parti si invertono, il conflitto tocca da vicino gli europei provocando comprensibili ondate di emotività. Altrove si guarda agli scontri con molto pragmatismo, lo stesso con cui tante volte noi abbiamo guardato a crisi e guerre in Asia, Africa o Medioriente. Il voto dello scorso 2 marzo sulla risoluzione dell’Onu che condanna l’invasione russa ha riservato alcune sorprese. Non tanto tra i 4 contrari (oltre alla Russia, Eritrea, Bielorussia, Corea del Nord e Siria) quanto nei 35 astenuti. Non voti che in molti casi vanno letti più come un sostegno a Mosca che come una scelta di equidistanza. Nel complesso gli stati che non hanno sottoscritto la mozione contro la Russia ospitano 3 miliardi di persone, poco meno della metà della popolazione mondiale.
Paesi africani fino a ieri “insospettabili” come il Marocco non hanno voluto esplicitamente condannare la mossa di Putin. Non si sono espressi sulla risoluzione neppure il Sud Africa, l’Etiopia, l’Algeria, il Congo, il Sudan o il Senegal. “La condanna dell’aggressione è unanime”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Nicola Pedde, direttore dell’ Institute for Global Studies, “ma in molti paesi hanno prevalso considerazioni di altro genere, legate ad interessi più ampi che vanno al di là della guerra in Ucraina”. Il voto dei paesi africani è particolarmente esemplificativo, “una dimostrazione di come negli ultimi decenni Stati Uniti e soprattutto Europa abbiano persola loro presa sul continente e le ex colonie mentre l’influenza di Cina e Russia si è rafforzata. La prima in forma soprattutto di investimenti economici la seconda di fornitura di armi e servizi di sicurezza.” In alcuni casi come quell0 dell’Etiopia ha inciso anche il risentimento per il comportamento di Ue e Francia nel Sahel (estesa zona dell’Africa subsahariana, ndr), in altri considerazioni di semplice interesse.
L’Iran, a sua volta astenuta, è una storia a parte. In questo momento la guerra disturba molto Teheran vicina ad un accordo con gli Stati Uniti sul nucleare e l’export di greggio. Qualsiasi fattore che possa intralciare il raggiungimento di questo traguardo, e la guerra in Ucraina lo è, è vissuto con fastidio. Detto ciò il paese ha con Mosca un legame significativo tanto che nel 2019 il sistema di messaggistica per le transazioni bancarie è stato agganciato a quello russo. Astenuti anche l’India e il Pakistan, potenze nucleari. Ieri Islamabad ha annunciato un nuovo accordo con la Russia per la fornitura di gas e cereali. Ci sono poi le nazioni che hanno votato la risoluzione ma rimangono molto morbidi verso Mosca. È il caso del Brasile o, in minor misura, dell’Argentina. In Europa della Serbia che non vara sanzioni, consente il traffico di aerei russi e dove si svolgono manifestazioni di piazza a sostegno di Putin. Visto da qui può sembrare che la Russia sia sola ma non lo è, isolata dall’occidente rinsalda i suoi legami con il resto del mondo.
Ad astenersi è stata anche la Cina, sebbene preoccupata per la piega che ha preso la situazione. Pechino è intervenuta quando le dichiarazioni di Putin hanno passato il segno, con allusioni a scenari nucleari, invitando Mosca a perseguire una soluzione diplomatica. Per ora tuttavia la Cina sta soprattutto a guardare. A inizio febbraio Mosca e Pechino hanno firmato una dichiarazione in cui si legge che la loro amicizia “non ha limiti”. Una dichiarazione importante ma la cui portata non va esagerata. Mosca sostiene le mire cinesi su Taiwan ma l’azzardo in Ucraina non giova necessariamente alla causa. Nel 2021 l’interscambio commerciale tra i due paesi è salito a 147 miliardi di dollari. Tanto ma ben al di sotto dei 657 miliardi di quello con gli Stati Uniti o dei 586 miliardi con l’Unione europea. Il rapporto tra i due giganti è complesso e delicato ma inevitabilmente la Russia guarderà sempre più verso Pechino via via che si chiudono le strade verso l’Ovest.
Il Cremlino ha chiesto a Pechino di integrarsi nel suo sistema Spfs, alternativa domestica alla rete interbancaria internazionale Swift da cui alcune banche russe sono state estromesse (la Russia dispone anche di un sistema per l’uso di carte di credito alternativo a quelli di Visa e Mastercard). Spfs è molto più piccola di Swift ma tutte le succursali estere di istituti russi vi hanno accesso consentendo di gestire una certa quantità di operazioni, a cominciare da quelle per i pagamenti di forniture energetiche. I due paesi sono da anni uniti in un arduo tentativo di de-dollarizzazione del sistema finanziario globale. Gli scambi tra Cina e Russia vengono regolati prevalentemente in euro. Il 14% delle riserve valutarie di Mosca è costituita da yuan. Pechino conduce insomma un complicato gioco di equilibrismi ma se possibile ancora più delicato è quello che conduce Ankara.
La Turchia è un paese Nato che controlla lo stretto dei Dardanelli da cui passano anche le navi russe. Ha stretti rapporti commerciali con l’Ucraina ma dipende fortemente da gas e grano che arrivano dalla Russia. “È importante cercare di evitare in ogni modo contatti diretti tra forze Nato e forze russe, per questo soluzioni come no fly zone e chiusura degli stretti sono molto pericolose. Ankara ha una grande responsabilità in questo momento e se ne rende conto, il paese deve essere sostenuto il più possibile”, ragiona Pedde che poi fa alcune considerazioni generali sul conflitto. “Non sta andando come si aspettava la Russia, le forze armate si sono dimostrate molto meno efficienti di quel che si pensasse. Putin ha fatto un grave errore, bisogna sperare che il sistema russo attivi i suoi anticorpi.”