Il tredicesimo giorno di guerra in Ucraina per l’invasione da parte della Russia porta con se ulteriori rialzi per le materie prime. I prezzi del greggio sono nuovamente in netto aumento: il Wti del Texas segna un incremento dell’8% rispetto alla chiusura di ieri sera a New York e passa di mano a 128 dollari al barile; il Brent trattato a Londra guadagna il 6,5% e sfonda quota 131 dollari. A breve gli Stati Uniti e la Gran Bretagna ufficializzeranno il loro stop all’acquisto di petrolio, gas e carbone russi. L’amministratore delegato della compagnia ConocoPhillips Ryan Lance ha affermato che i prezzi sono così alti che la domanda potrebbe presto indiziare a ridursi.
Il Regno Unito si impegna a ridurre a zero le sue forniture energetiche di gas e petrolio dalla Russia già entro la fine del 2022. Lo ha annunciato oggi il governo di Boris Johnson. L’isola, a differenza di diversi Paesi dell’Europa continentale, importa da Mosca un quantitativo residuale di queste materie prime rispetto al suo fabbisogno complessivo. A loro volta gli Usa sono peraltro quasi autosufficienti in termini di produzione di gas e di greggio, esportatori netti in assoluto ma hanno bisogno di importare alcune qualità di petrolio. Diminuisce invece del 7% il prezzo del gas che rimane comunque a 211 euro per megawatt ora.
Annunciando il bando il presidente Joe Biden ha affermato che gli Stati Unti devono diventare completamente autosufficienti da un punto di vista energetico e ha aggiunto che alcuni paesi europei potrebbero non essere in grado di adottare un provvedimento analogo. Il bando sul petrolio russo è stato preso “in stretta consultazione” ha spiegato il presidente rimarcando poi come oggi un rublo valga meno di un centesimo di dollaro. Biden ha sottoposto al Congresso un piano di aiuti all’economia per le conseguenze del conflitto da 12 miliardi di dollari.
Il gruppo britannico Shell, prima compagnia petrolifera privata al mondo, ha annunciato che non acquisterà più barili di petrolio dalla Russia. Lo si legge in una nota in cui viene indicato che il gruppo si ritirerà da tutte le attività nel settore degli idrocarburi nel paese, includendo il petrolio, il gas e il gas naturale liquefatto in “modo graduale” e “in linea con le nuove linee guida del governo” di Londra. Decisa anche la chiusura di tutte le stazioni di servizio e delle operazioni relative al rifornimento di aerei nel Paese che ha invaso l’Ucraina. La scora settimana Shell aveva acquistato un carico da un milione di barili di petrolio russo dal trader Trafigura con un profitto di oltre 20 milioni di euro, la compagnia ha affermato che i soldi saranno donati ad un fondo a sostegno della popolazione ucraina.
L’assicuratore britannico Lloyd’s segnala come i carichi di petrolio nei porti russi stiano rallentando nonostante non sia stato decretato un bando formale all’import del greggio da parte dell’Occidente. La scorsa settimana i carichi sono diminuiti di 1,5 milioni di barili al giorno a seguito di una crescente cautela da parte di armatori, assicuratori, trader e compagnie petrolifere sugli effetti delle sanzioni, anche indiretti. In tempi normali la Russia, terzo produttore di petrolio al mondo, esporta circa 5 milioni di barili al giorno.
Se infatti l’import di prodotti energetici (gas, petrolio e diesel) è ancora permesso, le sanzioni decretate dall’Occidente limitano o bloccano le operazioni finanziarie a corredo degli acquisti mentre i premi per assicurare imbarcazioni operanti nel mar Nero, considerata zona di guerra, sono schizzati verso l’alto. In Gran Bretagna inoltre vige un blocco all’approdo di imbarcazioni, di qualsiasi tipo, con bandiera russa che si estende anche, con effetti ancora poco chiari, a quelle “collegate” a Mosca. Nel dubbio diversi operatori hanno impiegato navi con bandiere di paesi europee per trasportare prodotti petroliferi russi.
Continua a salire il prezzo dell’oro (2.065 dollari/oncia) con un rally interessa quasi tutte le materie prime, in testa il nickel che registra un aumento record del 255% in due giorni. Il mercato londinese Lme ha sospeso le contrattazioni annunciando che non riprenderanno prima dell’11 marzo. A causa del balzo delle quotazioni il miliardario cinese Xiang Guangda che aveva scommesso su un calo del prezzo del nickel vendendo allo scoperto avrebbe incamerato perdite per 2 miliardi di dollari. Dall’ “altra parte” dell’operazione c’è forse il gruppo svizzero Glencore, uno dei principali trader globali di materie prime. Crescono anche argento e ferro. Il nickel usato nella produzione dell’acciaio inox e per le batterie delle auto elettriche ha guadagnato fino al 111% nella seduta asiatica, arrivando a superare quota 100mila dollari la tonnellata. Scende viceversa dell’8% il prezzo del grano dopo i record toccati nei giorni scorsi.
Nel frattempo le agenzie rilanciano la notizia secondo cui la Cina starebbe valutando la possibilità di rafforzare le sue partecipazioni nei gruppi russi di gas e alluminio, compensando l’uscita dei capitali occidentali. Operazioni che riguarderebbero in primo luogo il colosso statale del gas Gazprom e quello dell’alluminio Rusal.