In altri tempi Roma-Vitesse di Conference League avrebbe proposto spunti di approfondimento diversi, magari legati all’enorme divario dei salari complessivi (staff tecnico e personale amministrativo inclusi) pagati dai due club: 158 milioni (18esimo posto a livello europeo) contro 13.5, per un gap che rende obbligatorio il passaggio del turno dei giallorossi, nonostante nell’attuale stagione gli uomini di Josè Mourinho non abbiano mancato di sorprendere negativamente tifosi e addetti ai lavori. La cifra che la Roma spende in uno solo anno in costo del personale equivale all’investimento complessivo effettuato dai proprietari russi che nelle ultime stagioni si sono susseguiti al comando della squadra olandese. 155 milioni di euro è stata la somma investita per salvare dalla bancarotta il secondo club professionistico più antico di Olanda (il Vitesse è stato fondato nel 1892) e garantirgli una dignitosa sopravvivenza.

Dopo il passo indietro di Roman Abramovich, che ha messo in vendita il Chelsea, sono rimaste quattro le società calcistiche nell’Europa occidentale di proprietà russa: il Bournemouth di Maxim Demin, il Monaco e la sua squadra satellite, il Cercle Brugge, di Dmitry Rybolovlev e, appunto, il Vitesse di Valeri Oyf. Quest’ultimo è il personaggio più enigmatico. Rispetto a Rybolovlev, collezionista di opere d’arte tra i più facoltosi al mondo, si è sempre tenuto lontano dalle luci della ribalta, mentre con Denim condivide l’approccio di basso profilo ma non il giro di amicizie, che nel caso di Oyf conduce direttamente al circolo magico di Abramovich. Oyf è stato direttore di alcune tra le più note società russe, dalla Gazprom alla Sibneft, dalla Rosneft alla Highland Gold Mining Company (quest’ultima una compagnia russo-britannica), ha gestito il patrimonio di Abramovich attraverso la società Millhouse Capital (ora MHC Services) e si è concesso anche un’esperienza politica sedendo per quattro anni sui banchi del senato dell’oblast di Omsk in Siberia.

Oyf è un oligarca che ha costruito la propria fortuna commerciando gas, oro, alluminio e petrolio, eppure è praticamente sconosciuto. Nessuno conosce l’ammontare del proprio patrimonio, e il suo nome non appare in nessuna black list. Sembra il compagno di classe che nelle foto di gruppo si posizionava in fondo, dietro tutti gli altri. Era presente, ma nessuno se ne accorgeva. La classe in questione si era formata a Mosca ai tempi della Perestrojka e della Glasnost. Oyf e Abramovich si conoscevano già dai primi anni ’80. Erano amici di infanzia, hanno condiviso studi, divertimenti e il primo approccio al mondo degli affari, dove assieme vendevano giocattoli per bambini e gioielli da donna. Nella capitale russa il loro gruppo era soprannominato “la confraternita” e includeva uomini d’affari quali Eugene Shvidler, oggi cittadino americano, Andrei Bloch, Eugene Tenenbaum (ucraino con passaporto canadese, autista del Chelsea), David Davidovich, Irina Panchenko, Andrey Gorodilov e Marina Granovskaia, attuale direttrice del Chelsea. Oyf possiede un doppio passaporto russo-ucraino, essendo nato a Odessa, sul Mar Nero.

La bolla di silenzio che ha avvolto il Vitesse, al di là di uno scarno comunicato nel quale si afferma che non c’è nulla di cui preoccuparsi, è perfettamente in linea con la gestione societaria della proprietà russa. Tutti restano in attesa, anche se non si sa bene di cosa. Oyf non ha mai rilasciato interviste, non possiede profili social, protegge gelosamente tanto i suoi affari (il quotidiano AD ipotizza una partnership commerciale con il gruppo bancario olandese ING, ma resta d’obbligo l’uso del condizionale) quanto la sua vita privata, ad Arnhem come a Nizza, l’altra città dove risiede. Va allo stadio, si interfaccia con il board e, soprattutto, paga regolarmente stipendi e conti del Vitesse attraverso la Performance Management Holding. Qualcuno ipotizza che sia bravo a non lasciare tracce, altri ritengono che riservatezza non implichi necessariamente volontà di nascondere qualcosa. Nessuno conosce né la provenienza del denaro, né le motivazioni che lo hanno spinto a gestire un club di provincia dalle ambizioni nettamente limitate.

In realtà, prima dei russi il Vitesse aveva provato a entrare nell’elite olandese accanto a Ajax, Psv Eindhoven e Feyenoord, ma i progetti da grandeur del megalomane Karel Aalbers avevano lasciato in eredità, a inizio millennio, un bellissimo stadio, il Gelredome, e una voragine nel bilancio. Un club alla canna del gas che nel 2010 è entrato nell’orbita di Abramovich attraverso l’ex chirurgo Alexander Chigrinsky, ennesimo uomo d’affari (petrolio e settore immobiliare, nel suo caso) emerso dal caos post crollo dell’URSS con un patrimonio personale enorme. Per quattro anni Chigrinsky, pochissimo appassionato di calcio, a differenza dell’amico di stanza a Stamford Bridge, ha agito tramite il georgiano Merab Jordania, ex giocatore e dirigente della Dinamo Tbilisi, nonché ex presidente della Federcalcio della Georgia, prima di uscire allo scoperto e assumere direttamente il ruolo di presidente del club. Lo chiamavano Alexander l’Invisibile perché era rarissimo vederlo ad Arnhem, dove arrivava spesso e volentieri invece la lady di ferro Granovskaia. In quel periodo infatti il Vitesse era diventato un’autentica farmhouse del Chelsea, e ogni stagione ospitava in prestito quattro-cinque giocatori dei Blues, da Nemanja Matic a Patrick van Aanholt, da Lucas Piazon a Bertrand Traorè fino al più recente Mason Mount.

La “colonizzazione” russa, dalla quale il club si è tutelato attraverso una golden share che impedisce cambi di nome, logo e colori sociali, ha portato ad Arnhem un nuovo centro di allenamento, inserito all’interno del mega complesso sportivo Papendal, e il primo trofeo nella storia del club, ovvero la Coppa d’Olanda, conquistata nel 2017 proprio in occasione del 125esimo anniversario di fondazione del club. Con l’arrivo di Oyf nel 2018 il legame con il Chelsea si è attenuato fino a estinguersi, tanto che nell’attuale rosa non figura alcun giocatore di proprietà del club londinese. E’ continuata invece la politica dei piccoli passi e del basso profilo: spese contenute (il budget a disposizione si attesta sugli 8 milioni di euro), board quasi interamente olandese (l’unico russo è Andrey Solovyev, membro del consiglio di sorveglianza) e garanzie finanziarie per il breve-medio periodo (una clausola obbligava Chigrinsky, in caso di cessione della proprietà, a pagare gli stipendi per i successivi 18 mesi, mentre Oyf ha firmato un impegno di copertura dei costi fino a luglio 2023). Ma alla luce dei recenti avvenimenti, il cono d’ombra nel quale questo oligarca ha sempre amato stare ha finito con l’inglobare anche il Vitesse. Nessuno sa cosa accadrà, né come, né quando. Boven is het Stil (C’è Silenzio Lassù), per citare uno dei più noti libri olandesi di narrativa contemporanea (autore Gerbrand Bakker).

Il presidente dell’Associazione Calciatori Olandese è l’ex nazionale ucraino Yevhen Levchenko. Interpellato sulla vicenda, ha dichiarato che “nessuna condanna anticipata è giustificata. Indipendentemente da Oyf, tutti coloro che sono associati al regime di Vladimir Putin dovrebbero essere boicottati. Se il denaro viene utilizzato per la macchina da guerra di Putin, i beni devono essere congelati. E, con prove evidenti, il club deve sbarazzarsi del proprietario. Certo, una eventuale presa di posizione pubblica di Oyf contro Putin aiuterebbe a fare chiarezza. Ma il caso del Vitesse, russi o meno, dovrebbe servire da monito alle Federazioni sulla provenienza dei capitali, soprattutto stranieri. L’origine deve essere completamente chiara. Sono consapevole che a volta si tratta di un lavoro più da servizi segreti che da amministratori. Ma è necessario”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Napoli e il “complesso del Maradona”: come trasformare tutti i big-match in un’occasione persa

next