Due dati soprattutto, che vanno in due direzioni opposte. Il primo: il 63% delle ragazze immagina il luogo di lavoro come un ambiente a rischio per quanto riguarda le discriminazioni di genere. Il secondo: il 54% dei giovani vuole intervenire per cambiare le cose. Lo dicono i dati raccolti dall’Osservatorio indifesa, realizzato da Terre des Hommes e OneDay Group, che ha coinvolto oltre 1700 adolescenti – la generazione Z – su una ricerca a tema 8 marzo. Il 68,7% delle ragazze pensa che il proprio futuro e le proprie scelte saranno limitate ‘da retaggi culturali maschilisti e retrogradi, pregiudizi e stereotipi‘. Secondo le intervistate ne sono attraversati tutti gli ambiti della vita quotidiana, dal mondo dell’istruzione ai social. In particolare, secondo il 43,4% di loro, la scuola è il luogo in cui avvengono più episodi di discriminazioni o violenza. Al secondo posto i social network e i mass media, rispettivamente con il 42% e il 35%. Viene ritenuto pericoloso anche il web: il 65% teme di subire Revenge porn quando è in rete. Il 70% delle intervistate ha assistito a violenza verbale – insulti o parolacce – e il 53,6% tra loro è stata testimone di violenza psicologica contro le donne. Soprattutto, 4 ragazze su 10 hanno subito violenza fisica, psicologica, sessuale o verbale e il 53% dice di subire molestie per strada (cat calling).

Oltre la metà dei ragazzi (maschi compresi) chiede la ricerca di soluzioni: il massimo impegno è richiesto agli insegnanti (56%). Seguiti dalla famiglia (49,4%) e dai politici (44,4%). Fra le soluzioni proposte dai giovani l’ipotesi di affrontare il tema sui banchi, più volte nel corso del mese. E, intanto, è proprio alla scuola che si rivolge la petizione “No alla Violenza di genere: insegniamolo tra i banchi” lanciata da Unicef. Chiede al Ministero dell’Istruzione di consolidare la promozione di parità di genere e la prevenzione della violenza di genere nell’ambito dell’insegnamento dell’Educazione Civica nelle scuole, in sinergia con quanto previsto sia nel nuovo Piano Nazionale d’Azione per l’Infanzia e l’Adolescenza sia nel Piano nazionale sulla violenza maschile contro le donne. Secondo l’Istat, nei primi nove mesi del 2021 le richieste di aiuto al 1522 delle vittime tramite chiamata telefonica o via chat sono state 12.305. I dati evidenziano che le misure restrittive alla mobilità, adottate per il contenimento della pandemia, hanno amplificato nelle donne la paura per la propria incolumità. Nei primi nove mesi del 2020 si è osservato, infatti, un aumento delle segnalazioni di violenza in cui la vittima si è sentita in pericolo di vita per sé o per i propri cari (3.583 contro 2.663 nel 2019).

Durante la pandemia le donne hanno pagato un prezzo molto alto anche in termini di occupazione e salari, come rileva la ricerca della Fondazione Di Vittorio Occupazione e salari delle donne in Italia. Con il risultato che dal 2008 al 2021 il tasso di occupazione femminile è cresciuto in Italia soltanto di 2,6 punti percentuali (dal 47,3% al 49,9%) e il tasso di inattività femminile si attesta oggi al 44,2%, superando quello maschile di 18,5 punti percentuali e quello femminile medio dell’Eurozona di 14 punti. Il salario medio lordo annuo delle donne si attesta a 16.300 euro contro i 24mila euro degli uomini, con un differenziale di genere che
penalizza le donne nella misura del -31,7%. “I dati quantitativi sono impietosi”, commentano la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti e la responsabile politiche di genere della Cgil Susanna Camusso. “Ma c’è un altro tema, altrettanto importante anche se trascurato, quello della qualità del lavoro delle donne. La ripresa occupazionale che si registra in questi mesi è sicuramente un dato positivo, ma continuano ad essere penalizzate le donne più giovani, con figli piccoli, e restano significativi il gap tra uomini e donne e, soprattutto, quello con gli altri Paesi dell’eurozona. Inoltre, quando le donne lavorano, lavorano in condizioni peggiori rispetto agli uomini”.

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