Fra i primi marchi occidentali – statunitensi – ad aprire nell’allora Unione Sovietica: era il gennaio del 1990 e il primo McDonald’s veniva inaugurato in Piazza Pushkin. Ora, a causa di quanto sta avvenendo in Ucraina, l’azienda ha deciso di chiudere in via temporanea 850 dei suoi punti vendita in Russia. La scelta è il riflesso di un pressing sui social che ha quasi indotto i clienti al boicottaggio. L’hashtag #BoycottMcDonalds era infatti finito in tendenza su Twitter durante lo scorso week end. Mosca e Ucraina hanno contribuito per il 9% alle entrate annuali del colosso americano: circa 2 miliardi di dollari. A differenza di altri fast food in Russia che sono di proprietà di franchisee – tra cui KFC, Pizza Hut e Burger King -, McDonald’s possiede l’84% delle sue sedi russe. Il gigante degli hamburger ha detto che continuerà a pagare i suoi 62.000 dipendenti in Russia “che hanno messo il loro cuore e la loro anima nel nostro marchio McDonald’s”, ma in una lettera aperta ai dipendenti il presidente e ceo di McDonald’s Chris Kempckinski ha affermato che la chiusura per ora è la cosa giusta da fare. “I nostri valori significano che non possiamo ignorare l’inutile sofferenza umana in Ucraina”, ha affermato Kempczinski, spiegando che è impossibile sapere quando l’azienda sarà in grado di riaprire. McDonald’s ha anche temporaneamente chiuso 100 fast food in Ucraina e continua a pagare i dipendenti.

Su Twitter la scorsa settimana spopolava anche #BoycottCocaCola e oggi anche l’azienda della famosa bevanda ha deciso di interrompere tutte le proprie attività nel Paese. Mentre altri brand, prevalentemente attivi nel settore del cibo e delle bevande, non si sono ancora tirati indietro. La Bbc aveva chiesto un commento a molti fra questi colossi, senza ricevere risposta. L’impresa Yum Brands ha fatto sapere di aver bloccato gli investimenti di una delle catene in suo possesso, Kfc: in Russia aveva circa 1000 punti vendita. L’azienda, che possiede anche Pizza hut, è la seconda catena di ristorazione più grande del mondo. Non si è ritirata totalmente dal territorio russo, ma ha dichiarato di “aver reindirizzato tutti i profitti delle operazioni in Russia agli sforzi umanitari” e di star donando l’equivalente di 1 milione di dollari alla Croce Rossa.

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