L'ex pm antimafia ha pronunciato un duro intervento durante il plenum chiamato a dare il via libera al collocamento fuori ruolo del giudice di Cassazione scelto dalla Guardasigilli Marta Cartabia per il vertice del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria: l'ok è arrivato con un voto contrario e tre astenuti. "Sono perfettamente consapevole che non sussistono formali motivi ostativi all’autorizzazione, ma non si realizzerà anche con il mio voto", ha detto
“Non posso in coscienza esprimere voto favorevole all’autorizzazione al collocamento al vertice del Dap di un collega che in occasioni pubbliche ha dimostrato pervicace e manifesta ostilità nei confronti di ambienti e soggetti, anche istituzionali, che avrebbero quantomeno meritato un diverso rispetto“. È la dura conclusione dell’intervento di Nino Di Matteo al plenum del Consiglio superiore della magistratura, chiamato a dare il via libera al collocamento fuori ruolo di Carlo Renoldi, il giudice di Cassazione scelto dalla Guardasigilli Marta Cartabia per succedere a Dino Petralia al vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Una nomina che ha creato malumori all’interno di vari partiti della maggioranza, perché Renoldi – esponente di Magistratura democratica – è stato estensore di sentenze delicate, come quella che apriva ai colloqui via Skype per i mafiosi detenuti al 41bis. E soprattutto perché sono tornate a galla alcune sue passate dichiarazioni pubbliche, come quelle in cui definiva la certezza della pena un “mito reazionario” o criticava “l’antimafia militante arroccata nel culto dei martiri“. Le polemiche avevano costretto Renoldi a rivolgersi per lettera alla ministra, sostenendo che le frasi fossero state “fraintese” ed “estrapolate” assicurando di non aver mai avuto “minimamente intenzione di sottovalutare la gravità del dramma della mafia“.
“Sono perfettamente consapevole che non sussistono formali motivi ostativi all’autorizzazione” dell’assunzione dell’incarico da parte di Renoldi – ha esordito Di Matteo in plenum – “ma ciò non si realizzerà anche con il mio voto. Esprimerò una posizione di astensione e voglio spiegarne le ragioni. Non sono certamente legate al merito, che pur personalmente non condivido, delle opinioni espresse dal dottor Renoldi in tema di applicazione delle norme previste dagli artt. 4 bis (che disciplina l’ergastolo ostativo, ndr) e 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, nè, tantomeno, al merito di provvedimenti adottati dal collega nell’esercizio di funzioni giurisdizionali. Le forti perplessità che impediscono alla mia coscienza di votare a favore”, spiega l’ex pm antimafia, derivano invece proprio “da talune sue esternazioni pubbliche. Per illustrare le sue legittime opinioni, in particolare in esito a ripetuti interventi della Corte Costituzionale in materia di concedibilità di benefici penitenziari anche ai condannati all’ergastolo c.d. “ostativo”, il dottor Renoldi ha utilizzato toni e parole sprezzanti nei confronti di coloro i quali, altrettanto legittimamente, avevano assunto posizioni diverse dalle sue, arrivando a delegittimare gravemente perfino il Dipartimento che ora è chiamato a dirigere e quindi i suoi appartenenti”.
Renoldi, prosegue Di Matteo, “ha parlato (leggo testualmente) di “spinte reattive di segno assolutamente opposto che convergono sinistramente verso l’idea di una chiusura rispetto alle istanze provenienti dal mondo dei detenuti”. Ha poi meglio specificato il concetto individuando l’origine di tali “spinte reattive sinistramente convergenti” nel Dap, indicato genericamente e senza alcun distinguo come “profondamente ostile al cambiamento” e (leggo sempre testualmente) “in alcuni ambienti dell’antimafia militante arroccata nel culto dei martiri che vengono ricordati esclusivamente per il sangue versato e per la necessaria esemplarità della reazione contro un nemico irriducibile”. Nel precisare ulteriormente che con l’espressione antimafia militante aveva inteso riferirsi ad associazioni, movimenti, testate editoriali ed anche ad ambienti e soggetti istituzionali, il dottor Renoldi ha definito almeno alcune parti di tale “antimafia” come esempio di “ottuso giustizialismo” bollando ancora la costante invocazione da più parti del rispetto del principio di certezza della pena come esplicativa di un (cito testualmente) “vecchio retribuzionismo da talk show””. Per queste ragioni Di Matteo ha annunciato la propria astensione: l’autorizzazione è stata approvata dal plenum con tre astenuti (Di Matteo, il consigliere togato Sebastiano Ardita e il laico Fulvio Gigliotti) e un solo contrario.