La guerra in Ucraina potrebbe compromettere le speranze di una ripresa delle catene di fornitura di chip a livello globale. Essenziali per moltissimi oggetti del nostro vivere quotidiano, dai cellulari alle auto e agli elettrodomestici, i microprocessori sono diventati merce rara negli ultimi anni, a causa dei problemi industriali legati al Covid e della crescita della domanda, mettendo al palo la produzione di diverse imprese specialmente nel settore dell’automotive. Ora l’invasione Russa, che già sta scuotendo i mercati dei settori primari, rischia di dare un colpo notevole anche alle prospettive di stabilizzazione delle filiere di approvvigionamento dei chip che molti analisti e grosse imprese ritenevano potesse concretizzarsi nella seconda metà dell’anno. E’ notizia delle ultime ore l’ impressionante aumento dei prezzi di molte materie prime, con una crescita record del nichel del 66% in un solo giorno a causa delle incertezze belliche.
Ma sono soprattutto palladio e neon che preoccupano produttori e acquirenti di chip. Dato che dalla Russia proviene oltre il 40% delle forniture mondiale di palladio e l’Ucraina produce il 70% di quelle di neon, possiamo aspettarci che la carenza globale di chip peggiorerà se il conflitto militare dovesse persistere, ha scritto Tim Uy, di Moody’s Analytics in un recente rapporto. Alla fine del mese scorso, molte compagnie di chip ritenevano che la crisi ucraina avrebbe avuto un impatto limitato sul ritorno alla normalità del loro settore, grazie alle scorte di materie prime accumulate e al lavoro di diversificazione delle loro linee di approvvigionamento. “Comprendiamo che le segnalazioni di una potenziale interruzione della fornitura di minerali e gas nobili, a causa delle continue tensioni tra Russia e Ucraina, riguardino anche l’industria dei semiconduttori”, aveva affermato lo scorso 24 febbraio il produttore di chip di memoria Micron Technology aggiungendo tuttavia di avere “fonti di approvvigionamento diversificate” per le sue forniture.
Allo stesso tempo a Taiwan, sede di uno dei più grandi produttori di chip del mondo, Tsmc, il governo, a seguito di una riunione presieduta dal vicepremier Shen Jong-chin, aveva affermato che problemi relativi a tre materie prime chiave per la produzione di chip – i gas neon, il C4F6, nonché il palladio – non avrebbero avuto molto impatto sulla produzione nazionale, chiarendo che i produttori taiwanesi usano poco palladio e che né l’Ucraina né la Russia sono tra le principali fonti dell’industria di settore dell’isola. Per il governo taiwanese inoltre le società nazionali hanno anche la capacità di raffinare e “riprodurre” il palladio e, quanto al neon e allo C4F6, c’erano già scorte sull’isola e le catene di approvvigionamento erano state diversificate.
La statunitense Intel Corp aveva affermato, all’epoca, di non prevedere alcun impatto e GlobalFoundries aveva affermato di non aspettarsi un rischio diretto e di avere la flessibilità necessaria per approvvigionarsi anche al di fuori della Russia. Da allora però la situazione ucraina si è aggravata e soprattutto il perdurare del conflitto e l’impossibilità ad ora di prevederne la fine, ha iniziato ad agitare le acque. Il rapporto di Moody’s Analytics, pur riconoscendo gli sforzi fatti dalle compagnie di chip per rendersi meno dipendenti da Russia e Ucraina nelle forniture dall’epoca della crisi in Crimea e la disponibilità di riserve di materie prime, avverte che una crisi prolungata peggiorerà la carenza di microprocessori e i settori fortemente dipendenti da essi subiranno un conseguente impatto. “Ciò significa che ci sono rischi significativi per molte case automobilistiche, produttori di dispositivi elettronici, produttori di telefoni e molti altri settori che dipendono sempre più dai chip per il funzionamento dei loro prodotti”, avverte il rapporto. Questo vorrebbe dire in particolare un duro colpo per il settore automobilistico, che dovrebbe fare i conti anche con l’impatto delle materie prime sul settore delle batterie.
di Gianmarco Pondrano Altavilla