Il consiglio dei ministri ha appena sbloccato sei parchi eolici per 418 megawatt complessivi: metà della potenza media da rinnovabili installata ogni anno negli ultimi sette anni. Dallo scorso autunno "disincagliati" progetti 1,4 gigawatt. Colpo di reni che resta però insufficiente per raggiungere gli obiettivi al 2030. Gli iter autorizzativi ordinari sono molto lunghi e spesso le Sovrintendenze frenano. Legambiente ha calcolato che per ottenere il via libera per realizzare un impianto eolico finora ci sono voluti in media 5 anni contro i 6 mesi previsti dalla normativa
Ci sono voluti i fortissimi rincari del gas registrati a partire dallo scorso autunno e poi la guerra in Ucraina, che costringe tutta la Ue a cercare di ridurre la dipendenza da Mosca, perché il governo Draghi iniziasse a spingere l’acceleratore sulle fonti di energia verdi. Giovedì 10 marzo il consiglio dei ministri ha sbloccato la realizzazione di sei parchi eolici in Puglia, Basilicata e Sardegna per 418 megawatt complessivi: metà della potenza media da rinnovabili installata ogni anno negli ultimi sette anni. Altri sette parchi per quasi 350 mw totali avevano ricevuto luce verde all’inizio di dicembre, seguiti da alcune decine di impianti fotovoltaici. In tutto, fa sapere Palazzo Chigi, sono stati “disincagliati” progetti per 1,4 gigawatt. Un colpo di reni che resta però insufficiente per raggiungere gli almeno 8 gw all’anno necessari all’Italia per sommare alla capacità “green” attuale altri 70 gw di potenza entro il 2030. Condizione necessaria non solo per abbassare il costo delle bollette e sganciarsi dagli idrocarburi russi, ma anche per ridurre le emissioni del 55% entro la fine del decennio rispetto ai livelli del 1990. Raggiungere l’obiettivo continua a sembrare molto complicato, nonostante le semplificazioni amministrative approvate lo scorso anno e il recente decreto Bollette che sfronda le procedure burocratiche per i pannelli solari sui tetti delle case e per gli impianti fino 200 kW. Intanto il governo va avanti sulla strada dell‘aumento delle estrazioni di gas nazionale e dell’aumento degli acquisti da altri fornitori.
Gli obiettivi ancora lontani – L’Italia negli ultimi sette anni ha installato una media di 800 megawatt (0,8 gigawatt) all’anno. Nel report ‘Scacco alle rinnovabili’, Legambiente ha calcolato che per ottenere il via libera per realizzare un impianto eolico finora ci sono voluti in media 5 anni contro i 6 mesi previsti dalla normativa. “Colpa di burocrazia, stop da parte di amministrazioni locali e regionali, Sovrintendenze, comitati Nimby (non nel mio giardino) e Nimto (non nel mio mandato) ma anche per la mancanza di un quadro normativo unico e certo e linee guida ormai obsolete”, spiega il presidente Stefano Ciafani. Insomma, quando si arriva al momento della realizzazione l’impianto paga lo scotto del tempo che è passato in termini di tecnologia, che corre più veloce delle scartoffie. Nei primi nove mesi del 2021 la capacità aggiunta di rinnovabili in Italia è stata di 809 MW, tra fotovoltaico, eolico e idroelettrico, mentre il dato annuale sul fotovoltaico è di 936,38 megawatt di nuova potenza. A fine 2021 la potenza installata tra fotovoltaico ed eolico è di 34 GW (22,6 dal primo per un totale di oltre un milione di impianti, 11,3 dal secondo).
L’Italia avrebbe già potuto ridurre l’import da Mosca del 70% – Ma quanto costano gli stalli in termini di dipendenza dal gas russo? Incrociando le statistiche di Terna relative allo sviluppo delle fonti rinnovabili nel triennio 2010-2013, l’ingegnere Alex Sorokin, consulente energetico internazionale e membro del comitato scientifico di Legambiente, ha calcolato che se lo sviluppo di solare ed eolico fosse andato avanti con lo stesso incremento annuale medio (5.900 MW l’anno), l’Italia avrebbe potuto ridurre i consumi di gas metano di 20 miliardi di metri cubi l’anno, diminuendo le importazioni di gas dalla Russia del 70%. In otto anni, il nostro Paese avrebbe potuto installare almeno 50mila mw, aggiuntivi rispetto a quelli oggi esistenti, mentre l’energia elettrica aggiuntiva ammonterebbe a +90 TWh (TeraWattora) l’anno. Per produrla servono, appunto, 20 miliardi di metri cubi di gas.
La situazione di stallo – Impresa titanica quella di ricostruire un quadro complessivo degli impianti fermi e, soprattutto, capire da chi sono bloccati dato che non tutti gli iter autorizzativi sono di competenza statale e non tutti i progetti rientrano nel Pnrr. Al 31 dicembre 2021, tra richieste per impianti eolici (on-shore e off-shore) e fotovoltaici on-shore si arriva a 168 gigawatt. “Le soluzioni di connessione rilasciate per gli impianti eolici e fotovoltaici on-shore sono per circa 113 GW” spiega Terna a ilfattoquotidiano.it, mentre “per quanto riguarda gli impianti eolici off-shore, per circa 17 GW sono state identificate e condivise con i proponenti le soluzioni di connessione tecnicamente fattibili”. In un’audizione alla Camera il direttore Affari regolatori di Terna Fabio Bulgarelli ha confermato che per raggiungere gli obiettivi al 2030 per la produzione elettrica “è necessario installare almeno 60 Gigawatt di nuova capacità produttiva di fotovoltaico, eolico, onshore e offshore”, sottolineando che “le richieste di connessione alla rete in alta tensione ammontano a un valore che è circa tre volte superiore a questo target”. Il problema, però, è che quando si inoltra la richiesta a Terna non parte solo l’iter per la connessione alla rete, ma anche una procedura parallela per ottenere l’autorizzazione che è molto più complessa. Lo sa bene Elettricità Futura di Confindustria, che ha chiesto di autorizzare entro l’estate nuovi 60 GW di rinnovabili da realizzare nei prossimi 3 anni.
La procedura infinita – Sono tre gli iter autorizzativi per le rinnovabili: comunicazione al Comune per piccoli impianti, Procedura abilitativa semplificata (Pas) di competenza del Comune e, oltre determinate soglie, l’Autorizzazione Unica (Au), rilasciata generalmente dalle Regioni, mentre la competenza è dello Stato per gli impianti a mare (off shore). Alcune Regioni, però, prevedono una competenza combinata con le Province, altre delegano totalmente. La storia si complica se all’Autorizzazione Unica va accompagnata la Valutazione di impatto ambientale per ottenere così il Procedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR) o, se la competenza è statale, il Pua (Provvedimento unico ambientale). Ed anche per la Via le competenze sono in capo a enti diversi. Come spiegato da Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente, “se per gli impianti in mare, per esempio l’eolico off shore, la competenza è tutta statale, per l’eolico on-shore e l’idroelettrico (entrambi sopra i 30 mw) la Via è di competenza statale, ma l’Autorizzazione unica resta competenza delle Regioni”. Un iter infinito, con un sistema intricato di ruoli e deroghe, come la facoltà attribuita alle Regioni di individuare aree non idonee a installare specifiche tipologie di impianto. In questi mesi è in atto un censimento: le Regioni dovranno ora comunicare al governo quali sono le zone off limits per impianti eolici o fotovoltaici e quali, invece, le aree idonee tra zone industriali dismesse e i terreni abbandonati.
Il nodo da sciogliere con Franceschini – Di recente Cingolani ha definito “realistico” il target italiano di 7-8 gigawatt l’anno. Destinato ad alzarsi visto che ciò che non viene fatto ora dovrà essere recuperato nei prossimi anni. A fine 2021 il ministro ha parlato di 40 progetti (per 6 gigawatt) autorizzati dal miTe e bocciati dal ministero della Cultura. Ossia dalle Sovrintendenze. “Con Franceschini (titolare dei Beni culturali ndr) abbiamo deciso che quando non c’è la quadra portiamo la questione in Consiglio dei ministri” dove “c’è un gruppo terzo di analisi”, ha spiegato. Ma così i tempi si allungano. Non a caso a Roma si studia un cambio di rotta cercando di rivedere le regole che le Sovrintendenze devono seguire nelle loro valutazioni.
Le occasioni mancate – Neppure il Decreto bollette ha poi risolto l’annosa questione dei tetti nei centri storici. Nel Pnrr ci sono 2,2 miliardi di euro destinati alle Comunità energetiche nei comuni al di sotto dei 5mila abitanti. “In gran parte – commenta Ciafani – sono borghi antichi e si rischia di far nascere pochissime Comunità energetiche se non si fissano regole chiare sulla semplificazione delle autorizzazioni del fotovoltaico integrato sui tetti nei centri storici, per evitare i ripetuti no delle Soprintendenze”. D’altro canto, come spiega a ilfattoquotidiano.it Michele Governatori, responsabile Energia del think tank Ecco “anche semplificando le procedure per il repowering degli impianti eolici, cosa che in concreto non è ancora avvenuta, si potrebbero recuperare gigawatt, dato che l’efficienza delle vecchie turbine non è paragonabile a quelle che si producono oggi”. Una possibilità è quella di installare meno turbine “ma più grandi in modo che possano catturare maggiori quantità superiori di vento”, aggiunge Governatori, secondo cui occorrono una seria pianificazione, forme di remunerazione per i territori virtuosi e disincentivi per chi, invece, blocca le rinnovabili.