Gli ucraini dicono 11mila, le cifre riferite da Mosca meno di 500. Ma anche stando a queste, “l’operazione militare speciale” di Putin si sta rivelando un inferno anche per lui. Solo nei primi sei giorni di operazioni – cioè tra il 24 febbraio e il primo marzo – il ministero della Difesa del Cremlino ha dichiarato la morte di 498 uomini, cifra che sembra modesta ma, a una lettura più attenta, non lo è affatto: l’esercito della Russia, nella sua storia recente, non ha mai avuto una media giornaliera di morti sul campo quella che ha oggi in Ucraina. Ne è convito David Rossi, esperto di analisi di strategie militari, responsabile area geopolitica di Difesaonline.it, che dal giorno dell’invasione raccoglie ed elabora confronti usando fonti sul campo, annuari bellici e calcolatrice.
“I soldati russi uccisi sono certamente molto più dei dichiarati, anche perché non contano la Wagner, le milizie cecene etc. Per me sono 10 volte di più, ma anche a prender per buoni quelli ufficiali in media fanno 83 morti al giorno, che è una vera enormità rispetto al passato”. Sempre su base giornaliera, calcola Rossi, erano 9 e 2 durante la prima e la seconda guerra russo-cecena fra il 1994 e il 2009, 4 fra al giorno tra le forze sovietiche in Afghanistan fra 1979 e 1989, meno di 2 fra Russi e forze locali in Donbass fra 2014 e 2022. “Se anche non vogliamo credere alle stime di Kiev, se l’intensità dei combattimenti restasse la stessa dei primissimi giorni come pare, le vittime russe in Ucraina supererebbero quelle della seconda guerra cecena a fine maggio, quelle dell’intera guerra afghana prima del prossimo Ferragosto”.
Perdite che il Cremlino tace per nascondere l’esito catastrofico cui sta andando incontro nel fango attorno a Kiev, Mariupol, Kerson e in tutte le città che dovevano cadere e invece resistono. “Non sempre riescono. Parliamo dei generali? Nella seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica, non la Russia di oggi, ne ha persi 412 con una media di uno ogni tre giorni. Sul campo di questo conflitto sono stati uccisi il comandante generale della settima divisione Andrei Sukhovetsky, poi il primo vice comandante della 41esima Armata interforze russa Vitaly Gerasimov e si ha notizia di altri due. Ebbene, quattro generali significa una media di uno e mezzo al giorno, il doppio: vorrà pur dire qualcosa”.
Buone notizie sul fronte ucraino, ma non meno drammatiche. Mosca in ultimo ha ammesso di ricorrere a soldati di leva, come da giorni denunciano le stesse madri russe, spesso senza neppure sapere che venivano mandati al fronte. Poche o tante che siano, insomma, parliamo di ragazzi. “E’ un altro aspetto terribile di questa guerra”, concorda Rossi. Formalmente, la Russia non potrebbe impiegare personale con addestramento insufficiente. “Dopo aver fatto un anno di leva sono poco più che fucilieri cui non puoi mettere in mano mitragliatore e armi di precisione. I comandanti ucraini, che li aspettano al varco, ripetono ‘ci mandano carne fresca‘. Alla fine, la sconfitta dei russi, è tutta qui”.
Logico chiedersi perché mai lo abbiano fatto. E la ragione, a quanto pare, è cinica come la guerra. “Le operazioni in Afghanistan e Siria – spiega Rossi – venivano condotte da piccoli battaglioni scelti e questo non succedeva. L’Ucraina è diversa, una fat-lady dal territorio largo ed esteso. Ora, la Russia storicamente ha una capacità militare di difesa unica, ma la sua capacità di proiezione esterna è stata ridotta dalla riforma delle Forze Armate di Sergei Shoigu, che ha snellito i contingenti per dargli efficienza. Per operazioni come questa servono dunque ben altri numeri e così si sono reclutate le leve, ragazzi che dovrebbero stare in fureria”. L’esperto spiega che anche questo però non basterà a Putin. “Per prendere una città che resiste in modo organizzato ed equipaggiato serve un rapporto di soldati di 10 a 1”.
L’esempio calzante è Sarajevo. “L’assedio è durato tre anni ed è costato più di 10mila morti. Per prendere una città grande e armata come Kiev devi metterne in conto 100mila. Se poi, come sembra, i soldati e i civili che la difendono sono 50mila, allora hai bisogno di mezzo milione di uomini, ma in tutta l’Ucraina Putin ne ha dispiegati 190mila appena”. E infatti incursori e milizie russe stanno da giorni alle porte delle città. “Certo, Putin le fa bombardare dall’alto pensando di piegarle, ma più butta giù edifici e più diventa impossibile penetrare, tra le macerie ci si difende meglio. Invito a guardare il caso di Konotop, un villaggione nella parte nord orientale vicino al confine con la Russia. E’ grande come Sesto San Giovanni, ma da giorni le truppe occupanti e non riescono a entrare perché rischiano di perdere 5mila uomini in pochi giorni. Ma se hai paura di entrare lì, figurati a Kiev. Da analista non faccio profezie, ma dico che se gli ucraini resistono due-tre settimane, la Russia è sconfitta”.
Perché tanti soldati russi falcidiati? “Mi sembra evidente che Putin abbia sbagliato i suoi conti. Il piano Shoigu-Gerasimov era di una semplicità estrema. Tutto ruotava attorno all’aeroporto di Antonov. Le forze russe si sono concentrate su quello, hanno iniziato a pompare mezzi e uomini verso Kiev pensando che il governo sarebbe scappato, gli oblast li avrebbero seguiti. A tutti i lati sarebbero spuntate le truppe per un conflitto che poteva durare 15 giorni ma si sarebbe risolto nei fatti in quattro”. E invece? “Hanno mandato un contingente di 34 elicotteri e ciascuno portava almeno 20 soldati dei migliori, gli Spetsnaz. Ma Kiev a quel punto ha mobilitato il 24esimo battaglione di reazione rapida che ha chiesto di lanciare missili, così in due giorni di lanci e battaglia a terra più di mille uomini sono rimasti lì. E gli altri non sono andati lontano, ma si rimpallano attorno alle città che resistono. Come la pallina di un flipper”.
Mondo
Guerra Ucraina, la carneficina di soldati russi che Putin nasconde: “Mai tanti morti in un giorno dal ’45. Anche stando ai dati di Mosca”
Il Cremlino dichiara 498 vittime ufficiali nella prima settimana di scontri, ma sarebbero molte di più. Ma anche a dar credito a quelle sono 83 al giorno, vale a dire un'enormità rispetto a quelle della seconda guerra russo-cecena e delle forze sovietiche in Afghanistan. L'analista Rossi: "Putin ha sbagliato tutti i calcoli: solo per prendere Kiev ci vuole il doppio dell'esercito che ha schierato in tutta l'Ucraina. Se la resistenza tiene duro due-tre settimane, l'offensiva crolla sotto il peso dei suoi morti"
Gli ucraini dicono 11mila, le cifre riferite da Mosca meno di 500. Ma anche stando a queste, “l’operazione militare speciale” di Putin si sta rivelando un inferno anche per lui. Solo nei primi sei giorni di operazioni – cioè tra il 24 febbraio e il primo marzo – il ministero della Difesa del Cremlino ha dichiarato la morte di 498 uomini, cifra che sembra modesta ma, a una lettura più attenta, non lo è affatto: l’esercito della Russia, nella sua storia recente, non ha mai avuto una media giornaliera di morti sul campo quella che ha oggi in Ucraina. Ne è convito David Rossi, esperto di analisi di strategie militari, responsabile area geopolitica di Difesaonline.it, che dal giorno dell’invasione raccoglie ed elabora confronti usando fonti sul campo, annuari bellici e calcolatrice.
“I soldati russi uccisi sono certamente molto più dei dichiarati, anche perché non contano la Wagner, le milizie cecene etc. Per me sono 10 volte di più, ma anche a prender per buoni quelli ufficiali in media fanno 83 morti al giorno, che è una vera enormità rispetto al passato”. Sempre su base giornaliera, calcola Rossi, erano 9 e 2 durante la prima e la seconda guerra russo-cecena fra il 1994 e il 2009, 4 fra al giorno tra le forze sovietiche in Afghanistan fra 1979 e 1989, meno di 2 fra Russi e forze locali in Donbass fra 2014 e 2022. “Se anche non vogliamo credere alle stime di Kiev, se l’intensità dei combattimenti restasse la stessa dei primissimi giorni come pare, le vittime russe in Ucraina supererebbero quelle della seconda guerra cecena a fine maggio, quelle dell’intera guerra afghana prima del prossimo Ferragosto”.
Perdite che il Cremlino tace per nascondere l’esito catastrofico cui sta andando incontro nel fango attorno a Kiev, Mariupol, Kerson e in tutte le città che dovevano cadere e invece resistono. “Non sempre riescono. Parliamo dei generali? Nella seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica, non la Russia di oggi, ne ha persi 412 con una media di uno ogni tre giorni. Sul campo di questo conflitto sono stati uccisi il comandante generale della settima divisione Andrei Sukhovetsky, poi il primo vice comandante della 41esima Armata interforze russa Vitaly Gerasimov e si ha notizia di altri due. Ebbene, quattro generali significa una media di uno e mezzo al giorno, il doppio: vorrà pur dire qualcosa”.
Buone notizie sul fronte ucraino, ma non meno drammatiche. Mosca in ultimo ha ammesso di ricorrere a soldati di leva, come da giorni denunciano le stesse madri russe, spesso senza neppure sapere che venivano mandati al fronte. Poche o tante che siano, insomma, parliamo di ragazzi. “E’ un altro aspetto terribile di questa guerra”, concorda Rossi. Formalmente, la Russia non potrebbe impiegare personale con addestramento insufficiente. “Dopo aver fatto un anno di leva sono poco più che fucilieri cui non puoi mettere in mano mitragliatore e armi di precisione. I comandanti ucraini, che li aspettano al varco, ripetono ‘ci mandano carne fresca‘. Alla fine, la sconfitta dei russi, è tutta qui”.
Logico chiedersi perché mai lo abbiano fatto. E la ragione, a quanto pare, è cinica come la guerra. “Le operazioni in Afghanistan e Siria – spiega Rossi – venivano condotte da piccoli battaglioni scelti e questo non succedeva. L’Ucraina è diversa, una fat-lady dal territorio largo ed esteso. Ora, la Russia storicamente ha una capacità militare di difesa unica, ma la sua capacità di proiezione esterna è stata ridotta dalla riforma delle Forze Armate di Sergei Shoigu, che ha snellito i contingenti per dargli efficienza. Per operazioni come questa servono dunque ben altri numeri e così si sono reclutate le leve, ragazzi che dovrebbero stare in fureria”. L’esperto spiega che anche questo però non basterà a Putin. “Per prendere una città che resiste in modo organizzato ed equipaggiato serve un rapporto di soldati di 10 a 1”.
L’esempio calzante è Sarajevo. “L’assedio è durato tre anni ed è costato più di 10mila morti. Per prendere una città grande e armata come Kiev devi metterne in conto 100mila. Se poi, come sembra, i soldati e i civili che la difendono sono 50mila, allora hai bisogno di mezzo milione di uomini, ma in tutta l’Ucraina Putin ne ha dispiegati 190mila appena”. E infatti incursori e milizie russe stanno da giorni alle porte delle città. “Certo, Putin le fa bombardare dall’alto pensando di piegarle, ma più butta giù edifici e più diventa impossibile penetrare, tra le macerie ci si difende meglio. Invito a guardare il caso di Konotop, un villaggione nella parte nord orientale vicino al confine con la Russia. E’ grande come Sesto San Giovanni, ma da giorni le truppe occupanti e non riescono a entrare perché rischiano di perdere 5mila uomini in pochi giorni. Ma se hai paura di entrare lì, figurati a Kiev. Da analista non faccio profezie, ma dico che se gli ucraini resistono due-tre settimane, la Russia è sconfitta”.
Perché tanti soldati russi falcidiati? “Mi sembra evidente che Putin abbia sbagliato i suoi conti. Il piano Shoigu-Gerasimov era di una semplicità estrema. Tutto ruotava attorno all’aeroporto di Antonov. Le forze russe si sono concentrate su quello, hanno iniziato a pompare mezzi e uomini verso Kiev pensando che il governo sarebbe scappato, gli oblast li avrebbero seguiti. A tutti i lati sarebbero spuntate le truppe per un conflitto che poteva durare 15 giorni ma si sarebbe risolto nei fatti in quattro”. E invece? “Hanno mandato un contingente di 34 elicotteri e ciascuno portava almeno 20 soldati dei migliori, gli Spetsnaz. Ma Kiev a quel punto ha mobilitato il 24esimo battaglione di reazione rapida che ha chiesto di lanciare missili, così in due giorni di lanci e battaglia a terra più di mille uomini sono rimasti lì. E gli altri non sono andati lontano, ma si rimpallano attorno alle città che resistono. Come la pallina di un flipper”.
Articolo Precedente
Putin ha mostrato finalmente il suo vero volto: niente sarà come prima in Europa e nel mondo
Articolo Successivo
Guerra Russia-Ucraina, la città di Ochtyrka rasa al suolo: il video dopo i bombardamenti
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Mondo
Una portacontainer contro una petroliera che rifornisce la flotta Usa: timori di disastro ambientale nel Regno Unito. Oltre 30 feriti
Mondo
“Kiev pronta a chiedere tregua parziale”. A Riad nuovi colloqui. Zelensky: “Niente pace? Colpa di Mosca”. Merz: per l’Ue scudo nucleare di Parigi e Londra
Lavoro & Precari
Stipendi degli statali, in busta paga meno soldi di un anno fa: ecco perché e quando si risolverà
Roma, 10 mar. - (Adnkronos) - Presente in Italia dal 2003, Hisense ha chiuso lo scorso anno con risultati eccellenti nel nostro mercato con un fatturato di 3,1 miliardi di euro e una crescita annua del 33%. Il settore TV ha terminato con una quota di mercato in volume del 12,5%, pari a un incremento di 3,1 punti percentuali rispetto all’anno precedente, e quota di mercato in valore dell’11,9% (+3,5 punti percentuali), entrambi i migliori risultati del settore.
A gennaio 2025, peraltro, la quota di mercato in volume ha superato il 15%, posizionando Hisense al secondo posto nel settore. Anche nel segmento premium, il brand cinese ha registrato ottimi risultati: nel 2024, la quota di mercato in valore dei prodotti di fascia medio-alta ha raggiunto l’8,4%, con un aumento di 4,1 punti percentuali, il più alto del settore. Nel segmento dei TV di grandi dimensioni (98 pollici e oltre), la quota di mercato in volume ha raggiunto il 37,8%, classificandosi al primo posto nel settore, con un ulteriore incremento al 40,4% nel gennaio 2025. Anche il settore frigoriferi ha registrato una crescita costante, con una quota di mercato del 6,7% nel 2024, salendo al quarto posto nel settore, con un continuo miglioramento della struttura dei prodotti.
Per quanto riguarda l'espansione della rete distributiva, i prodotti Hisense sono presenti in oltre 1.200 negozi in Italia, con una copertura dell’84%. Nel 2024 sono stati aggiunti oltre 500 nuovi punti vendita con marchio Hisense, inclusi negozi flagship. Nei principali canali di vendita come Mediaworld e Unieuro, il fatturato delle TV Hisense è aumentato del 46% su base annua, con una crescita del 95% nel segmento di fascia medio-alta; il fatturato dei frigoriferi è aumentato del 27%, con una crescita del 43% nel segmento premium. Inoltre, nel 2024 il gruppo ha inaugurato il suo centro europeo di ricerca e sviluppo HVAC (riscaldamento, ventilazione e condizionamento) a Milano, con attività di ricerca che coprono prodotti residenziali, commerciali leggeri, VRF (sistemi di climatizzazione a flusso variabile) e pompe di calore, rafforzando ulteriormente la sua capacità tecnologica nel mercato italiano.
Il gruppo Hisense ha peraltro partecipato di recente alle 'Due Sessioni 2025' - che si sono tenute a marzo - ovvero il più importante evento del calendario politico cinese. Il presidente del gruppo, Jia Shaoqian, delegato dell’Assemblea Nazionale del Popolo, è intervenuto per sottolineare l'importanza di rafforzare il ruolo delle imprese come protagoniste dell’innovazione tecnologica. Jia ha anche sostenuto l'esigenza di una profonda integrazione tra innovazione tecnologica e innovazione industriale proponendo di istituire un meccanismo di valutazione differenziata per i laboratori aziendali, così da incentivare l’uscita dei risultati scientifici dai laboratori per essere applicati nelle linee di produzione attraverso innovazioni normative.
Per Jia Shaoqian la creazione di una nuova produttività non può prescindere né dall’innovazione originale né dall’industrializzazione: di qui la necessità di connettere in modo efficace il laboratorio alla produzione come fa appunto Hisense. Un esempio, la tecnologia di visualizzazione avanzata RGB-Mini LED, che dopo essere rimasta confinata ai laboratori a causa di limiti tecnici, è stata perfezionata da Hisense che ne ha quindi promosso la prima produzione di massa al mondo, rafforzando la posizione della Cina nel settore dei display di nuova generazione.
Rimini, 10 mar- (Adnkronos) - "La nostra strategia si basa su un modello di partnership win-win, di lungo periodo e a investimenti zero per i nostri clienti. Per fare questo creiamo alleanze con tutti i principali operatori di settore, come sviluppatori, Esco, studi di progettazione, advisor che sono partner fondamentali in tutti i territori in cui operiamo. Per questo il nostro motto è 'Energy. Solutions. Together'". Così Federico Longo, Head of Sales Marketing di Elevion Group - Italia, all'Adnkronos, in occasione della partecipazione a Key 2025 (5-7 marzo, Fiera di Rimini).
Elevion è un gruppo attivo in Europa per la realizzazione di soluzioni integrate per la decarbonizzazione e l’efficienza energetica. Dalla sua fondazione nel 2020, si è consolidato in diversi mercati europei (compresi i Paesi Bassi, la Germania, l'Austria, l'Italia, Polonia, Romania e Ungheria) dove opera attraverso oltre 60 società indipendenti altamente specializzate, ma con la solidità finanziaria di un gruppo internazionale: con oltre 4500 dipendenti, 6000 progetti e 500 MW di nuovi impianti fotovoltaici costruiti ogni anno in tutta Europa, 2000 MWp di fotovoltaico in O&M, e 1,2 miliardi di ricavi realizzati nel 2024.
"Operiamo in Italia con un approccio B2B e ci rivolgiamo alle industrie energivore - in particolare dell’agroalimentare, del packaging, dell’acciaio e delle cartiere - ma anche al settore terziario, ospedali, grandi centri sportivi, enti fieristici e centri commerciali. Realizziamo soluzioni integrate e su misura in base alle esigenze specifiche del cliente, combinando le migliori tecnologie disponibili sul mercato come trigenerazione e pompe di calore, fino alla produzione di energia sostenibile, dal biometano al fotovoltaico con batterie", spiega.
"Partiamo dalla consapevolezza che fare efficienza energetica e decarbonizzazione è un processo complesso che richiede l’integrazione di competenze e capacità diversificate - dice - Come gruppo, abbiamo progettato la nostra struttura per gestire da un'unica posizione tutta la portata e le complessità richieste da seri sforzi di decarbonizzazione e soddisfare nel tempo tutte le complessità e le esigenze del processo tecnico".
"Per noi, una transizione energetica giusta è una transizione sostenibile, che genera vantaggi per tutti i soggetti coinvolti. Ciò vuol dire aiutare i nostri clienti e partner a concentrarsi sul loro core business, mentre noi ci occupiamo di garantire una gestione efficiente dell’energia. Per questo investiamo nei progetti dei nostri clienti, che non devono intervenire con capitali propri, possono beneficiare di un controllo adeguato dei costi per l’energia e rimanere competitivi sul mercato", conclude.
Rimini, 10 mar- (Adnkronos) - "La nostra strategia si basa su un modello di partnership win-win, di lungo periodo e a investimenti zero per i nostri clienti. Per fare questo creiamo alleanze con tutti i principali operatori di settore, come sviluppatori, Esco, studi di progettazione, advisor che sono partner fondamentali in tutti i territori in cui operiamo. Per questo il nostro motto è 'Energy. Solutions. Together'". Così Federico Longo, Head of Sales Marketing di Elevion Group - Italia, all'Adnkronos, in occasione della partecipazione a Key 2025 (5-7 marzo, Fiera di Rimini).
Elevion è un gruppo attivo in Europa per la realizzazione di soluzioni integrate per la decarbonizzazione e l’efficienza energetica. Dalla sua fondazione nel 2020, si è consolidato in diversi mercati europei (compresi i Paesi Bassi, la Germania, l'Austria, l'Italia, Polonia, Romania e Ungheria) dove opera attraverso oltre 60 società indipendenti altamente specializzate, ma con la solidità finanziaria di un gruppo internazionale: con oltre 4500 dipendenti, 6000 progetti e 500 MW di nuovi impianti fotovoltaici costruiti ogni anno in tutta Europa, 2000 MWp di fotovoltaico in O&M, e 1,2 miliardi di ricavi realizzati nel 2024.
"Operiamo in Italia con un approccio B2B e ci rivolgiamo alle industrie energivore - in particolare dell’agroalimentare, del packaging, dell’acciaio e delle cartiere - ma anche al settore terziario, ospedali, grandi centri sportivi, enti fieristici e centri commerciali. Realizziamo soluzioni integrate e su misura in base alle esigenze specifiche del cliente, combinando le migliori tecnologie disponibili sul mercato come trigenerazione e pompe di calore, fino alla produzione di energia sostenibile, dal biometano al fotovoltaico con batterie", spiega.
"Partiamo dalla consapevolezza che fare efficienza energetica e decarbonizzazione è un processo complesso che richiede l’integrazione di competenze e capacità diversificate - dice - Come gruppo, abbiamo progettato la nostra struttura per gestire da un'unica posizione tutta la portata e le complessità richieste da seri sforzi di decarbonizzazione e soddisfare nel tempo tutte le complessità e le esigenze del processo tecnico".
"Per noi, una transizione energetica giusta è una transizione sostenibile, che genera vantaggi per tutti i soggetti coinvolti. Ciò vuol dire aiutare i nostri clienti e partner a concentrarsi sul loro core business, mentre noi ci occupiamo di garantire una gestione efficiente dell’energia. Per questo investiamo nei progetti dei nostri clienti, che non devono intervenire con capitali propri, possono beneficiare di un controllo adeguato dei costi per l’energia e rimanere competitivi sul mercato", conclude.
Roma, 10 mar. (Adnkronos/Labitalia) - La formazione universitaria come motore di sviluppo per il territorio. In Campania, una regione che negli ultimi anni ha registrato una crescita economica significativa, ma che continua a confrontarsi con il fenomeno della fuga di talenti, l’orientamento alle professioni del futuro assume un ruolo strategico. Questo il tema al centro dell’evento 'Muoversi nelle professioni e sul territorio', dedicato alle lauree magistrali Luiss e in programma giovedì 13 marzo alle 16 presso la Sala D’Amato dell’Unione Industriale Napoli.
Un recente studio Deloitte evidenzia come, nell’ultimo decennio, la Campania abbia registrato una crescita del Pil pro-capite superiore alla media italiana. Tuttavia, nel 2023 il tasso di occupazione dei laureati si attestava al 70,8%, oltre 10 punti percentuali al di sotto della media nazionale. Un divario che spinge molti giovani a cercare opportunità altrove, alimentando un costante esodo di talenti. Dal 2013 al 2022, secondo l’Istat, la regione ha perso 46.000 laureati tra i 25 e i 34 anni, con un impatto significativo in termini di impoverimento del tessuto economico, sociale e culturale. Per affrontare questa sfida, diventa essenziale il dialogo tra istituzioni, imprese e università. Queste ultime sono chiamate ad agire da ponte tra le aspettative dei giovani e le esigenze del mercato, contribuendo poi a restituire al territorio professionisti con competenze richieste dal mondo del lavoro che cambia.
Di queste tematiche si parlerà nel corso dell’appuntamento promosso dalla Luiss, Muoversi nelle professioni e sul territorio, al quale prenderanno parte manager ed esperti di importanti realtà: Tommaso Bianchini, chief revenue officer della Ssc Napoli; Giancarlo Fimiani, vicepresidente alla valorizzazione del capitale umano, innovazione, ricerca & sviluppo e università presso l’Unione Industriali Napoli; Simone Neri, dirigente del servizio studi, documentazione giuridica e parlamentare presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Linda Langella, head of talent and development di Avio.
Insieme a loro, Enzo Peruffo, Dean della Graduate School Luiss, responsabile dello sviluppo dei percorsi magistrali dell’ateneo, che spiega: “La Luiss, grazie a un rapporto consolidato con il mondo delle imprese, lavora in prima linea per costruire Corsi di Laurea Magistrale strettamente legati alle reali necessità del mercato del lavoro. Pur avendo sede a Roma – aggiunge il professore – dedichiamo particolare attenzione alla Campania, non solo perché è la seconda regione di provenienza dei nostri studenti, ma anche per la vivacità del suo tessuto economico e imprenditoriale. Un territorio che si distingue in settori chiave come il turismo, l’agroalimentare e l’aerospazio, offrendo opportunità concrete ai neolaureati che vogliono costruire qui il proprio futuro”.
L’incontro sarà anche l’occasione per illustrare le caratteristiche dell’offerta formativa Luiss, in vista delle prove di ammissione per le lauree magistrali. La selezione è attualmente aperta, con possibilità di iscriversi entro il 2 aprile all’unica sessione di test.
Roma, 10 mar. (Adnkronos Salute) - E' stato presentato oggi in Italia il sistema smart di Medtronic, azienda leader di Healthcare Technology, per la gestione del diabete per le persone in terapia insulinica multi-iniettiva (Mdi). Questa soluzione innovativa risponde alla sfida del controllo costante della glicemia e dei livelli di insulina attiva. Consentire un corretto dosaggio di insulina, infatti, risulta essere il bisogno del 60% delle persone con diabete. Il sistema Smart Mdi - riporta una nota - integra i dati del sensore per il monitoraggio continuo del glucosio (Cgm) con quelli della penna intelligente, registrando simultaneamente i valori. Una App calcolerà e indicherà la dose esatta di insulina da somministrare. Questo sistema, grazie a queste funzioni, è in grado di consigliare i boli insulinici, sia in corrispondenza dei pasti, sia per correggere i valori glicemici.
In Italia, tra diabete di tipo 1 e tipo 2, circa 500mila persone seguono una terapia insulinica, con un impatto significativo sulla loro quotidianità. Secondo gli Annali Amd (2023), circa l'80% delle persone con diabete di tipo 1 utilizza ancora la terapia multi-iniettiva. Il 44% delle persone con diabete di tipo 2 e il 64% delle persone con il tipo 1 che utilizzano il supporto Cgm non raggiunge comunque un adeguato controllo glicemico, registrando valori di emoglobina glicata (HbA1c) superiori a 7. Il sistema Smart Mdi di Medtronic - si legge - rappresenta un'opzione innovativa per le persone che, per scelta o per mancanza di accesso alla tecnologia, non utilizzano un microinfusore, facilitando così un primo passo per un approccio personalizzato della gestione della terapia con un miglioramento dei risultati clinici.
"Ottenere un buon controllo della glicemia è fondamentale per prevenire la comparsa delle complicanze legate al diabete e per migliorare la qualità di vita delle persone che presentano questa condizione - afferma Dario Pitocco, professore associato di Endocrinologia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della Uosd di Diabetologia della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma - La terapia insulinica che prevede più somministrazioni al giorno richiede molta attenzione nella sua gestione. Attualmente la disponibilità di un sistema smart ha comportato un alleggerimento della pressione legata a questo tipo di terapia. Il sistema smart integra e connette i dati ricavabili dal monitoraggio in continuo della glicemia con sensore con la penna di insulina che si utilizza per la somministrazione, mediante un'applicazione presente sullo smartphone, che raccoglie i dati relativi alla terapia fornendo suggerimenti utili per la definizione del dosaggio di insulina".
Nello specifico - dettaglia la nota - il sistema Smart Mdi di Medtronic è composto da Simplera™, un sensore all-in-one con trasmettitore integrato, più piccolo di oltre la metà dei precedenti Cgm di Medtronic. Il sensore fornisce letture dei livelli del glucosio in tempo reale e comunica direttamente con l'applicazione per cellulare della penna intelligente InPen™, una penna per la somministrazione di insulina ad azione rapida riutilizzabile che monitora anche la temperatura dell'insulina. L'App InPen™ invia notifiche in caso di dosi dimenticate, segnala valori di glucosio elevati e calcola le necessarie correzioni. L'obiettivo è contrastare il rischio di incorrere in ipo o iperglicemie. Un ulteriore strumento a disposizione dei clinici per ottimizzare la terapia grazie a dati significativi.
"Siamo impegnati a semplificare la vita delle persone con diabete attraverso una completa piattaforma di gestione. Fermo restando che il trattamento ottimale è dato dall'integrazione del Cgm con i microinfusori di insulina, come il MiniMed™ 780G, le penne intelligenti rappresentano un'alternativa efficace per ottimizzare i risultati clinici e ridurre il peso quotidiano per le persone con diabete di tipo 1, in modo che possano vivere la loro vita al meglio", conclude Luigi Morgese, Senior Business Director di Medtronic Diabete Italia, Grecia e Israele.
Milano, 10 mar. (Adnkronos Salute) - Quello che i cani non dicono, ma anche quello che gli esseri umani non capiscono. In assenza di un linguaggio 'comune' fra uomo e quattrozampe, la capacità di comunicare fra queste due specie che si fanno compagnia e convivono dall'antichità si basa sulla comprensione e sulla lettura del proprio animale domestico, e viceversa. Questo processo può sembrare fluido: dai un premio al tuo cane, lo guardi negli occhi, lui scodinzola lievemente, sembra dire di essere felice di avere quel premio, lo accetta e si allontana in un'altra stanza per goderselo. C'è connessione, almeno questo è quello che si pensa. Perché in realtà un nuovo studio dimostra che gli esseri umani hanno ancora molta strada da fare per comprendere le emozioni di un cane.
La ricerca, pubblicata sulla rivista 'Anthrozoos', è dell'Arizona State University (Asu) e rileva che spesso le persone possono fraintendere. Le ragioni sono molteplici e includono un'incomprensione delle espressioni canine dovuta a un pregiudizio nel proiettare le emozioni umane sui propri animali domestici. Insomma, la realtà potrebbe essere che non si riesce a percepire il vero significato delle emozioni di fido. I ricercatori dell'Asu Holly Molinaro e Clive Wynne hanno condotto una serie di esperimenti per verificare questi malintesi. Emerge che "le persone non guardano cosa sta facendo il cane, ma piuttosto guardano la situazione che circonda il cane e basano la loro percezione emotiva su quella", spiega Molinaro, scienziato esperto di benessere degli animali dell'Asu.
Nel dettaglio, la ricerca mostra che gli esseri umani in genere non hanno una buona comprensione dello stato emotivo del loro cane perché giudicano appunto le sue emozioni in base al contesto dell'evento a cui assistono. "I nostri cani cercano di comunicare con noi, ma noi umani sembriamo determinati a guardare tutto tranne l'animale in sé", aggiunge Wynne, professore di psicologia all'Asu che studia il comportamento dei cani e il legame tra uomo e cane. A peggiorare l'incomprensione c'è poi una proiezione umana dei propri sentimenti sul cane. Questa "antropomorfizzazione" dell'interazione, sottolineano gli esperti, offusca ulteriormente la capacità di capire quale possa essere realmente lo stato emotivo dell'animale, cosa sta cercando di dire.
In due esperimenti, Molinaro e Wynne hanno filmato un cane in quelle che ritenevano fossero situazioni positive (che rendevano felici) o negative (che rendevano meno felici). Le situazioni felici erano cose come offrire il guinzaglio o un premio, e gli scenari infelici includevano un castigo gentile o il tirare fuori l'odiato aspirapolvere. I video sono poi stati mostrati a un gruppo di persone con e senza il loro sfondo visivo, il contesto.
Nel secondo esperimento i ricercatori hanno proprio modificato i video in modo che il cane, filmato in un contesto felice, sembrasse immerso nella situazione infelice, e viceversa il cane filmato in una situazione infelice sembrasse ripreso nel contesto felice. In entrambi gli esperimenti, le persone hanno valutato quanto felici ed eccitati pensavano fossero i cani. La dimensione del campione per il primo esperimento era 383 e per il secondo esperimento era 485.
Ciò che i ricercatori hanno scoperto è che la percezione che le persone hanno dell'umore del cane si basa su tutti gli elementi presenti nei video, eccetto che sul cane stesso. "Le persone non guardano cosa sta facendo il cane, ma guardano la situazione circostante e basano la loro percezione emotiva su quella", conferma Molinaro. "Vedi un cane che riceve un premio, presumi che si senta bene. Vedi un cane che viene sgridato, presumi che si senta male. Queste supposizioni su come pensi che si senta il cane non hanno nulla a che fare con il comportamento del cane o con i segnali emotivi, il che è molto sorprendente".
Nello studio, continua Molinaro, "quando le persone hanno visto un video di un cane che apparentemente reagiva all'aspirapolvere, tutti hanno detto che il cane si sentiva male e agitato. Ma quando hanno visto il video del cane che faceva esattamente la stessa cosa, ma stavolta sembrava reagire alla vista del suo guinzaglio, tutti hanno riferito che il cane si sentiva felice e calmo. Le persone non giudicavano le emozioni di un cane in base al comportamento del cane, ma in base alla situazione in cui si trovava".
A complicare ulteriormente il processo di comunicazione è la proiezione delle emozioni delle persone sul cane. Molinaro precisa che, sebbene gli esseri umani e i cani abbiano condiviso un legame nel corso dei secoli, ciò non significa che la loro elaborazione emotiva, o persino le espressioni emotive, siano le stesse.
"Ho sempre trovato distorta l'idea che cani e umani debbano provare le stesse emozioni e priva di una vera prova scientifica a sostegno, quindi ho voluto vedere se ci sono fattori che potrebbero effettivamente influenzare la nostra percezione", riflette la scienziata. Studi simili sono stati condotti sulla percezione umana delle emozioni umane, ma non c'è stata la stessa attenzione per le emozioni animali, evidenzia. La nuova ricerca mostra dunque che un'influenza, almeno da parte di un fattore, "il contesto situazionale", c'è. Come può un buon padrone comprendere il vero stato emotivo del proprio animale domestico? "Il primo passo è semplicemente essere consapevoli che non siamo così bravi a leggere le emozioni dei cani", conclude Molinaro. "Dobbiamo essere più umili nella comprensione dei nostri cani". Capendo i "nostri pregiudizi, possiamo iniziare a guardare i nostri cuccioli sotto una nuova luce. La personalità di ogni cane, e quindi le sue espressioni emotive, sono uniche. Prestate dunque molta attenzione ai segnali e ai comportamenti".
Milano, 10 mar. (Adnkronos Salute) - Quello che i cani non dicono, ma anche quello che gli esseri umani non capiscono. In assenza di un linguaggio 'comune' fra uomo e quattrozampe, la capacità di comunicare fra queste due specie che si fanno compagnia e convivono dall'antichità si basa sulla comprensione e sulla lettura del proprio animale domestico, e viceversa. Questo processo può sembrare fluido: dai un premio al tuo cane, lo guardi negli occhi, lui scodinzola lievemente, sembra dire di essere felice di avere quel premio, lo accetta e si allontana in un'altra stanza per goderselo. C'è connessione, almeno questo è quello che si pensa. Perché in realtà un nuovo studio dimostra che gli esseri umani hanno ancora molta strada da fare per comprendere le emozioni di un cane.
La ricerca, pubblicata sulla rivista 'Anthrozoos', è dell'Arizona State University (Asu) e rileva che spesso le persone possono fraintendere. Le ragioni sono molteplici e includono un'incomprensione delle espressioni canine dovuta a un pregiudizio nel proiettare le emozioni umane sui propri animali domestici. Insomma, la realtà potrebbe essere che non si riesce a percepire il vero significato delle emozioni di fido. I ricercatori dell'Asu Holly Molinaro e Clive Wynne hanno condotto una serie di esperimenti per verificare questi malintesi. Emerge che "le persone non guardano cosa sta facendo il cane, ma piuttosto guardano la situazione che circonda il cane e basano la loro percezione emotiva su quella", spiega Molinaro, scienziato esperto di benessere degli animali dell'Asu.
Nel dettaglio, la ricerca mostra che gli esseri umani in genere non hanno una buona comprensione dello stato emotivo del loro cane perché giudicano appunto le sue emozioni in base al contesto dell'evento a cui assistono. "I nostri cani cercano di comunicare con noi, ma noi umani sembriamo determinati a guardare tutto tranne l'animale in sé", aggiunge Wynne, professore di psicologia all'Asu che studia il comportamento dei cani e il legame tra uomo e cane. A peggiorare l'incomprensione c'è poi una proiezione umana dei propri sentimenti sul cane. Questa "antropomorfizzazione" dell'interazione, sottolineano gli esperti, offusca ulteriormente la capacità di capire quale possa essere realmente lo stato emotivo dell'animale, cosa sta cercando di dire.
In due esperimenti, Molinaro e Wynne hanno filmato un cane in quelle che ritenevano fossero situazioni positive (che rendevano felici) o negative (che rendevano meno felici). Le situazioni felici erano cose come offrire il guinzaglio o un premio, e gli scenari infelici includevano un castigo gentile o il tirare fuori l'odiato aspirapolvere. I video sono poi stati mostrati a un gruppo di persone con e senza il loro sfondo visivo, il contesto. Nel secondo esperimento i ricercatori hanno proprio modificato i video in modo che il cane, filmato in un contesto felice, sembrasse immerso nella situazione infelice, e viceversa il cane filmato in una situazione infelice sembrasse ripreso nel contesto felice. In entrambi gli esperimenti, le persone hanno valutato quanto felici ed eccitati pensavano fossero i cani. La dimensione del campione per il primo esperimento era 383 e per il secondo esperimento era 485.
Ciò che i ricercatori hanno scoperto è che la percezione che le persone hanno dell'umore del cane si basa su tutti gli elementi presenti nei video, eccetto che sul cane stesso. "Le persone non guardano cosa sta facendo il cane, ma guardano la situazione circostante e basano la loro percezione emotiva su quella", conferma Molinaro. "Vedi un cane che riceve un premio, presumi che si senta bene. Vedi un cane che viene sgridato, presumi che si senta male. Queste supposizioni su come pensi che si senta il cane non hanno nulla a che fare con il comportamento del cane o con i segnali emotivi, il che è molto sorprendente".
Nello studio, continua Molinaro, "quando le persone hanno visto un video di un cane che apparentemente reagiva all'aspirapolvere, tutti hanno detto che il cane si sentiva male e agitato. Ma quando hanno visto il video del cane che faceva esattamente la stessa cosa, ma stavolta sembrava reagire alla vista del suo guinzaglio, tutti hanno riferito che il cane si sentiva felice e calmo. Le persone non giudicavano le emozioni di un cane in base al comportamento del cane, ma in base alla situazione in cui si trovava".
A complicare ulteriormente il processo di comunicazione è la proiezione delle emozioni delle persone sul cane. Molinaro precisa che, sebbene gli esseri umani e i cani abbiano condiviso un legame nel corso dei secoli, ciò non significa che la loro elaborazione emotiva, o persino le espressioni emotive, siano le stesse. "Ho sempre trovato distorta l'idea che cani e umani debbano provare le stesse emozioni e priva di una vera prova scientifica a sostegno, quindi ho voluto vedere se ci sono fattori che potrebbero effettivamente influenzare la nostra percezione", riflette la scienziata. Studi simili sono stati condotti sulla percezione umana delle emozioni umane, ma non c'è stata la stessa attenzione per le emozioni animali, evidenzia. La nuova ricerca mostra dunque che un'influenza, almeno da parte di un fattore, "il contesto situazionale", c'è. Come può un buon padrone comprendere il vero stato emotivo del proprio animale domestico? "Il primo passo è semplicemente essere consapevoli che non siamo così bravi a leggere le emozioni dei cani", conclude Molinaro. "Dobbiamo essere più umili nella comprensione dei nostri cani". Capendo i "nostri pregiudizi, possiamo iniziare a guardare i nostri cuccioli sotto una nuova luce. La personalità di ogni cane, e quindi le sue espressioni emotive, sono uniche. Prestate dunque molta attenzione ai segnali e ai comportamenti".