C’è sempre un cielo, anche quando non si vede. Quando piove o nevica o quando nubi di polvere tossica oscurano il sole. Questa sicurezza, forse, è la speranza che attraversa le pagine dell’ultimo lavoro di Valentina Petrini, giornalista tarantina che per raccontare del firmamento sfregiato dai veleni dell’ex Ilva, si è affidata a pezzi diversi della sua unica anima. In “Il cielo oltre le polveri” (edito da Solferino Libri), ci sono donne diverse nella stessa persona: quella innamorata della città in cui è nata ed è cresciuta fino all’età universitaria, quella travolta dalla passione per la professione che l’ha tenuta lontana dagli affetti, quella preoccupata di una madre che teme per la vita di suo figlio, raccontando le sciagure di tanti sfortunati figli di Taranto.

Per questo è un racconto corale, una miscela sapiente di inchiesta e riflessioni, capace di spiegare una storia complicata attraverso le piccole storie di tanti protagonisti. Non è un libro per cuori deboli: è sale sulle ferite mai rimarginate, racconto vero, non romanzato. Che a volte fa davvero male perché apre gli occhi di chi non conosce o finge di non conoscere. Obbliga chi, come me, si è abituato a tutto questo dolore. E pensa di non sentire più niente. E invece sente ancora, tutto il dolore di una terra narcotizzata dal ricatto “salute-lavoro” che dieci anni dopo il sequestro dell’area a caldo della fabbrica è ancora lì, intatto e apparentemente infrangibile.

Dopo quasi un decennio di azioni giudiziarie e civili e di reazioni politiche, la sensazione per chi si occupa da tempo di Ilva è che storie, tragedie e menzogne sulla fabbrica non interessino più a un’Italia rapita da nuove narrazioni come la pandemia e la guerra, quindi perché un libro? “Anche guerra e pandemia – spiega l’autrice – generano assuefazione: il compito di un giornalista è quello di tenere fari accesi su storie che altrimenti sarebbero dimenticate. Questo libro nasce per questo, ma soprattutto dalla voglia di fare il punto su un’inchiesta a cui ho dedicato molti anni della mia carriera. E poi io son convinta che la vicenda Ilva sia un pezzo della storia d’Italia: racchiude contraddizioni e distorsioni tra il potere politico e quello economico. L’idea è quella di portare la vicenda fuori dai confini di Taranto e presentare questo caso come un caso internazionale che riguarda tutti. È il simbolo della sfida per la transizione ecologica ed energetica. Dopo anni di articoli e reportage televisivi, il libro era ‘ultimo strumento che avevo per raggiungere un pubblico più vasto”.

Nelle 452 pagine del libro ci sono storie conosciute – come quella di Lorenzo Zaratta, morto a 5 anni di tumore al cervello o quella di Alessandro Morricella ucciso da una fiammata mentre lavorava sull’Altoforno – e altre che sono veri e propri scoop. Come l’intervista a Patrizia Todisco, la magistrata che sequestrò gli impianti a luglio 2012 e che per la prima volta si concede a un microfono: non esprime giudizi o commenti, ma analizza gli effetti del bilanciamento di principi che portò la Corte Costituzionale a non cancella uno dei primi decreti “Salva Ilva”.

“Quella decisione della corte – commenta Petrini – è stata senza dubbio il colpo di grazia: ha suggellato la strada scelta all’epoca dalla Stato e cioè che quella fabbrica era strategica e andava salvata a ogni costo. Ma attenzione non solo per l’ambiente o per la salute, anche per i diritti dei lavoratori: Stefano Rodotà lo spiegò bene in una delle sue ultime lezioni affermando che ‘ci sono momento in cui i diritti sono un lusso e oggi se ne misura la compatibilità con la logica dell’economia’. Credo che il cuore della vicenda sia tutto in queste parole”.

L’intervista alla Todisco, quella a un “sorpreso” ministro Roberto Cingolani, sono bei colpi giornalistici, ma non spostano il cuore dell’autrice che resta ai capitoli in cui si ricordano le storie di Morricella e di Francesco Zaccaria, il gruista che a novembre 2012 fu scagliato in mare da un tornado che si abbatté su Taranto: “No, non bisogna chiamarle morti bianche, non c’è niente di bianco in una morte sul lavoro. Me l’ha insegnato Amedeo Zaccaria, papà di Francesco. E quello che cerco di fare ricostruendo minuziosamente questi casi è dimostrare che le responsabilità ci sono e in alcuni casi raddoppiano perché qualcuno ha provato a nasconderle. Il mio cuore è in quelle storie perché vengo da una famiglia operaia, conosco la fatica, sono cresciuta nel culto delle ‘tute blu’: è stato fare i conti con un amore violato. E poi le morti di Alessandro e Francesco sono scomode, in quel momento disturbano il tentativo dello Stato di riparare i danni generati da tanti anni di occhi chiusi. Se poi considerate che sono passati quasi sette anni e per Morricella non c’è ancora alcuna sentenza…”

Oggi Valentina Petrini comincia un tour per l’Italia per presentare quelle storie ricostruite con la collaborazione dell’amico e collega Marco Carta: la prima tappa è quella di Milano, al teatro Parenti (10 marzo, ore 18) con Diodato, cantautore anche lui tarantino, e si concluderà a Festival internazionale del Giornalismo a Perugia l’8 aprile. Sul palco ci sarà Pierfrancesco Nacca, attore tarantino a cui è affidato il reading di alcuni passaggi del libro. Un viaggio che – chiaramente – passerà nella sua Taranto il 19 marzo: “Non mi aspetto niente, ma spero ci siano tanti giovani. Da tempo affido a loro tante speranze. Per crisi climatica, transizioni ecologica ed energica punto su di loro: spero sappiano colmare gli errori del passato e anche della mia generare. Quindi mi piacerebbe essere nel teatro Fusco, alzare lo sguardo e incrociare quello di tanti ragazzi”.

La foto in alto è di Barbara Ledda

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