“Anche guerra e pandemia generano assuefazione: il compito di un giornalista è quello di tenere fari accesi su storie che altrimenti sarebbero dimenticate. Questo libro nasce per questo, ma soprattutto dalla voglia di fare il punto su un’inchiesta a cui ho dedicato molti anni della mia carriera". Parte stasera dal teatro Parenti di Milano il tour di presentazione. Che passerà anche da Taranto il 19 marzo: "Spero che ci saranno tanti ragazzi"
Per questo è un racconto corale, una miscela sapiente di inchiesta e riflessioni, capace di spiegare una storia complicata attraverso le piccole storie di tanti protagonisti. Non è un libro per cuori deboli: è sale sulle ferite mai rimarginate, racconto vero, non romanzato. Che a volte fa davvero male perché apre gli occhi di chi non conosce o finge di non conoscere. Obbliga chi, come me, si è abituato a tutto questo dolore. E pensa di non sentire più niente. E invece sente ancora, tutto il dolore di una terra narcotizzata dal ricatto “salute-lavoro” che dieci anni dopo il sequestro dell’area a caldo della fabbrica è ancora lì, intatto e apparentemente infrangibile.
Dopo quasi un decennio di azioni giudiziarie e civili e di reazioni politiche, la sensazione per chi si occupa da tempo di Ilva è che storie, tragedie e menzogne sulla fabbrica non interessino più a un’Italia rapita da nuove narrazioni come la pandemia e la guerra, quindi perché un libro? “Anche guerra e pandemia – spiega l’autrice – generano assuefazione: il compito di un giornalista è quello di tenere fari accesi su storie che altrimenti sarebbero dimenticate. Questo libro nasce per questo, ma soprattutto dalla voglia di fare il punto su un’inchiesta a cui ho dedicato molti anni della mia carriera. E poi io son convinta che la vicenda Ilva sia un pezzo della storia d’Italia: racchiude contraddizioni e distorsioni tra il potere politico e quello economico. L’idea è quella di portare la vicenda fuori dai confini di Taranto e presentare questo caso come un caso internazionale che riguarda tutti. È il simbolo della sfida per la transizione ecologica ed energetica. Dopo anni di articoli e reportage televisivi, il libro era ‘ultimo strumento che avevo per raggiungere un pubblico più vasto”.
Nelle 452 pagine del libro ci sono storie conosciute – come quella di Lorenzo Zaratta, morto a 5 anni di tumore al cervello o quella di Alessandro Morricella ucciso da una fiammata mentre lavorava sull’Altoforno – e altre che sono veri e propri scoop. Come l’intervista a Patrizia Todisco, la magistrata che sequestrò gli impianti a luglio 2012 e che per la prima volta si concede a un microfono: non esprime giudizi o commenti, ma analizza gli effetti del bilanciamento di principi che portò la Corte Costituzionale a non cancella uno dei primi decreti “Salva Ilva”.
“Quella decisione della corte – commenta Petrini – è stata senza dubbio il colpo di grazia: ha suggellato la strada scelta all’epoca dalla Stato e cioè che quella fabbrica era strategica e andava salvata a ogni costo. Ma attenzione non solo per l’ambiente o per la salute, anche per i diritti dei lavoratori: Stefano Rodotà lo spiegò bene in una delle sue ultime lezioni affermando che ‘ci sono momento in cui i diritti sono un lusso e oggi se ne misura la compatibilità con la logica dell’economia’. Credo che il cuore della vicenda sia tutto in queste parole”.
L’intervista alla Todisco, quella a un “sorpreso” ministro Roberto Cingolani, sono bei colpi giornalistici, ma non spostano il cuore dell’autrice che resta ai capitoli in cui si ricordano le storie di Morricella e di Francesco Zaccaria, il gruista che a novembre 2012 fu scagliato in mare da un tornado che si abbatté su Taranto: “No, non bisogna chiamarle morti bianche, non c’è niente di bianco in una morte sul lavoro. Me l’ha insegnato Amedeo Zaccaria, papà di Francesco. E quello che cerco di fare ricostruendo minuziosamente questi casi è dimostrare che le responsabilità ci sono e in alcuni casi raddoppiano perché qualcuno ha provato a nasconderle. Il mio cuore è in quelle storie perché vengo da una famiglia operaia, conosco la fatica, sono cresciuta nel culto delle ‘tute blu’: è stato fare i conti con un amore violato. E poi le morti di Alessandro e Francesco sono scomode, in quel momento disturbano il tentativo dello Stato di riparare i danni generati da tanti anni di occhi chiusi. Se poi considerate che sono passati quasi sette anni e per Morricella non c’è ancora alcuna sentenza…”
Oggi Valentina Petrini comincia un tour per l’Italia per presentare quelle storie ricostruite con la collaborazione dell’amico e collega Marco Carta: la prima tappa è quella di Milano, al teatro Parenti (10 marzo, ore 18) con Diodato, cantautore anche lui tarantino, e si concluderà a Festival internazionale del Giornalismo a Perugia l’8 aprile. Sul palco ci sarà Pierfrancesco Nacca, attore tarantino a cui è affidato il reading di alcuni passaggi del libro. Un viaggio che – chiaramente – passerà nella sua Taranto il 19 marzo: “Non mi aspetto niente, ma spero ci siano tanti giovani. Da tempo affido a loro tante speranze. Per crisi climatica, transizioni ecologica ed energica punto su di loro: spero sappiano colmare gli errori del passato e anche della mia generare. Quindi mi piacerebbe essere nel teatro Fusco, alzare lo sguardo e incrociare quello di tanti ragazzi”.
La foto in alto è di Barbara Ledda