Il conflitto tra Russia e Ucraina colpisce anche l’arte. Senza colpa, come i civili che hanno perduto la vita a Sumy, a Mariupol e in tante altre città ucraine. Senza colpa, come le donne e i bambini che hanno detto addio alle loro vite, sommersi dalle macerie. Oppure che si sono miracolosamente salvati, ma nei bombardamenti hanno perso la loro innocenza. Nella guerra tra Davide contro Golia l’Europa rimane sostanzialmente a guardare. Prima decide e poi rafforza le sanzioni, ma non interviene direttamente. In attesa di vedere. Di rendersi conto. Posizione che non può definirsi giusta e neppure sbagliata. Posizione che non cambia quel che sta accadendo nella terra di Davide. Ma in compenso muta i nostri rapporti con Golia.
Già perché nel frattempo l’Italia è entrata nella lista dei Paesi ostili alla Russia, insieme agli Stati membri dell’Ue. E tra le risposte alle sanzioni che Mosca ha deciso c’é il ritorno in patria delle opere d’arte date in prestito. Così il museo Ermitage di San Pietroburgo ha chiesto la restituzione entro la fine del mese delle opere prestate per le mostre a Palazzo Reale di Milano e alle Gallerie d’Italia, oltre a quella alla Fondazione Fendi a Roma.
L’arte diventa una pedina, da muovere sullo scacchiere. Come il gas e il petrolio. Le valute e l’agroalimentare. Interessi economici che si muovono. Dalla Russia verso l’Europa, ma anche viceversa. E’ così che la Giovane donna con cappello piumato di Tiziano, esposta alla mostra di Palazzo Reale finisce quasi per confondersi con il vino del quale l’Italia è il maggiore esportatore in Russia.
In questo modo l’arte finisce per perdere, definitivamente, la sua neutralità. Le opere, la loro universalità, a prescindere da chi le possiede, fisicamente. Ed è un peccato. Anzi una rinuncia che si fa deliberatamente. Facendo prevalere il possesso, materiale, al valore, immateriale. Chi detiene l’opera ne gode. In maniera esclusiva. Chiuso nei suoi egoismi. Un po’ come accade a Virgil Oldman alias Geoffrey Rush, il battitore d’aste protagonista de La migliore offerta, film del 2013 con la regia di Tornatore. La sua straordinaria collezione di ritratti di donna, sono custoditi in una stanza segreta. A suo uso e consumo. Un museo, solo per lui.
La Russia brandisce l’arte come si trattasse di una clava. Che agita, mostrando i bicipiti. Contravvenendo anche agli impegni presi. Non solo con le singole istituzioni museali. E singoli Paesi, come l’Italia. “Esortiamo i governi a sviluppare e mantenere condizioni che pongano le basi affinché tutti gli attori culturali e creativi possano lavorare in un ambiente libero, inclusivo e sicuro, prevenendo ogni forma di discriminazione e lottando contro ogni tipo di discriminazione professionale e artistica nel settore culturale”. Così recita il decimo punto della Dichiarazione sottoscritta lo scorso luglio, a Roma, dai ministri del G20 della Cultura, compreso quello russo. Buoni propositi, a quanto sembra. Niente di più.
L’arte è libertà, indubitabilmente. Uno spazio neutro nel quale produzione e fruizione devono essere possibili. Senza costrizioni. Che neppure una guerra può giustificare. Chiedere la restituzione delle opere d’arte prestate è un gesto ingiustificabile. Proprio come bombardare ospedali pediatrici. Golia forse vincerà la guerra, ma ha già perso la faccia.