Nessun boom sul fronte dei nuovi vaccinati. I numeri delle regioni italiane sono ben lontani da quelli sperati. In Lombardia, a fronte di una prima tranche di 174mila dosi di Nuvaxovid, quelle somministrate ad oggi sono appena 2.238. E se entro il mese è atteso il nuovo lotto di due milioni di dosi, c'è il rischio che molte rimangano nel cassetto. Perché l'alternativa proteica a Pfizer e Moderna non pare convincere gli indecisi
Doveva convincere i No Vax o almeno una parte, quella reticente a vaccinarsi con i nuovi vaccini mRNA. Invece il Nuvaxovid dell’azienda americana Novavax, il vaccino “proteico” autorizzato nel dicembre scorso e disponibile da una dozzina di giorni in tutta Italia, sembra aver già deluso le speranze. L’idea era quella di fornire agli indecisi un’alternativa alle soluzioni finora disponibili. “Mi auguro che questo vaccino possa finalmente convincere i liguri che ancora non si sono vaccinati”, aveva detto Giovanni Toti, presidente della Liguria, terza regione in Italia per numero di non vaccinati nella fascia 50-59 anni. I dati raccolti oggi dalla Fondazione Gimbe mostrano però che la sfida non è stata vinta. In Liguria appena 576 persone si sono fatte vaccinare con Novavax. E nel resto d’Italia le cose non vanno diversamente. Alla mattina di oggi il totale segna 12.291 somministrazioni. “Purtroppo, sul fronte dei nuovi vaccinati nessun boom. La speranza che questo vaccino, basato su una tecnologia più tradizionale rispetto agli innovativi vaccini a mRNA, potesse convincere gli indecisi è stata disattesa”, è il commento ai dati di Nino Cartabellotta, presidente di Fondazione Gimbe. Che nell’ultimo report sulla pandemia e sulla campagna vaccinale, segnala un lieve aumento di nuovi casi.
E’ l’ultimo arrivato tra i vaccini oggi disponibili in Italia. Dove a fine febbraio è arrivata una prima fornitura di un milione di dosi, subito distribuite alle regioni pensando così di vincere l’indecisione di molti sulla vaccinazione. Tanto da spingere i governi regionali a interrogarsi sulla migliore strategia distributiva e il ministero della Salute a dichiarare l’auspicio che “tutti i cittadini siano messi nella possibilità di scegliere liberamente questa alternativa“. E l’alternativa è nella tecnologica utilizzata per questo vaccino, che utilizza proteine ricombinanti e per questo è diverso da quelli mRNA come Pfizer-BioNTech e Moderna e anche rispetto a quelli a vettore virale come Astrazeneca e Johnson&Johnson. Il Nuvaxovid utilizza gli antigeni, ovvero le proteine dell’agente patogeno per stimolare la reazione del nostro sistema immunitario. Una tecnica già utilizzata fin dagli anni 80 e tuttora impiegata nei vaccini contro l’epatite b, il papillomavirus e la meningite. Insomma, niente di nuovo e, questa la speranza, nulla di cui avere timore, con una buona efficacia che la sperimentazione ha indicato al 90 percento dopo la seconda dose.
Su Novavax contavano soprattutto le regioni dove la percentuale di non immunizzati è più alta che altrove, soprattutto nella fascia over 50, in cui vige ora l’obbligo vaccinale. A questo, dal 15 febbraio, è stato aggiunto quello del green pass rafforzato per tutti i lavoratori attivi in presenza. Ma l’efficacia di queste misure sulle nuove vaccinazioni ha iniziato a esaurirsi proprio nelle ultime due settimane precedenti all’arrivo di Novavax. Una ragione in più per confidare nel vaccino proteico e per ordinare un’altra fornitura di due milioni di dosi, da consegnare a marzo. E invece il rischio è che rimangano nel cassetto. La fascia degli over 50, e in particolare quella tra i 50 anni e i 69 anni, è sì quella che maggiormente ha approfittato dell’alternativa, ma i numeri rimangono esigui. E disattendono anche gli annunci delle prime ore, nelle regioni che hanno deciso di consentire la prenotazione del vaccino. Con 360 prenotazioni in sei ore in Liguria, 120 in Umbria prima ancora del via alle somministrazioni. E open day organizzati dalle aziende sanitarie come quella dell’Alto Adige, dove il primo di marzo il tasso di copertura vaccinale era ancora al 78% e tra gli under 18 anni non si raggiungeva il 46%.
Intanto, dopo cinque settimane si inverte la curva dei contagi e i casi mostrano una lieve salita. E’ quanto rileva il report indipendente della Fondazione Gimbe, che nella prima settimana di marzo, rispetto alla precedente, registra “un lieve aumento di nuovi casi (279.555 contro 275.376), ovvero un più 1,5% in 7 giorni“. I dati mostrano anche una diminuzione dei decessi (-19,3%). In calo anche gli attualmente positivi (1.011.521 contro 1.073.230), le persone in isolamento (1.002.153 contro 1.062.066), i ricoveri sintomatici (-16,1%) e le terapie intensive (-16,4%).