Se due settimane fa fosse caduto un meteorite di media grandezza nel centro dell’Ucraina probabilmente avrebbe fatto meno morti e meno danni permanenti di quanti ne ha fatti Putin con la sua decisione di attaccare violentemente il Paese, il suo popolo e le sue infrastrutture, con tutta la violenza e la perfidia del suo esercito.

Il crescendo “wagneriano” della violenza che si è abbattuta all’improvviso su un intero popolo che si credeva libero della propria autodeterminazione, che pure esisteva realmente a poca distanza dai propri confini, ha fatto immediatamente emergere la reale immensa differenza tra la libertà concessa e rispettata sostanzialmente da ogni Stato democratico e il soffocante (fino alla morte!) autoritarismo di chi sogna ancora gli imperi conquistati con la forza e la negazione di ogni libertà personale e politica.

Di colpo, in sole due settimane, causato dalla semplice decisione di un singolo capo di Stato di una grande potenza, il mondo civile è piombato indietro di un secolo, quando due dittature, una di “destra” e l’altra di “sinistra”, con uguale ferocia e proiezione dominante, tentarono di prevalere su tutto e su tutti soffocando ogni sentimento di autonomia e libertà.

Ora che le “provocazioni” liberiste del giovane presidente ucraino hanno scatenato in Putin la reazione contraria, abilmente nascosta per trent’anni contro ogni ribellione nociva al suo totale dominio, “il dado è tratto”, la sua decisione non poteva più essere rimandata. Zelensky, quel piccolo, fastidioso comico, nominato a sorpresa capo del popolo ucraino, era diventato troppo in fretta un serio pericolo per la rinascita della grande “Madre Russia”.

Certamente invidioso dell’incredibile successo economico raggiunto in soli vent’anni dalla Cina, attualmente guidata dal suo “gemello” politico asiatico Xi Jinping, Putin è tentato ora di imitarlo, ma per farlo deve innanzitutto consolidare i confini del suo stesso impero e ogni ostacolo deve immediatamente essere rimosso prima che il contagio si diffonda. La contemporanea fulminea diffusione del Covid-19 anche in Russia, deve aver dato a Putin un senso di urgenza anche sul piano politico.

Con un attacco a sorpresa, già attuato con pieno successo 6 anni fa in Crimea, avrebbe risolto il problema rapidamente e fatto capire a tutti che con la Russia (e soprattutto con lui al potere) certe idee non hanno futuro.

Le minacce ora non bastavano più. Se Zelensky non si fosse ribellato, un piccolo bagno di sangue e la presenza di qualche centinaio di carri armati lungo le strade dell’Ucraina avrebbero risolto ogni problema. Morto Zelensky, o messo in prigione a meditare seriamente sulle sue illusioni, Putin avrebbe mostrato a tutti che i “muscoli” della grande Madre Russia erano più forti che mai e che certe ribellioni “liberiste” non potevano essere tollerate.

I carri armati sono sempre stati, da un secolo a questa parte, un orgoglio e una forza inarrestabile della tradizione militare russa, probabilmente sarebbe bastato farli sfilare dentro i confini ucraini per far ripiegare su più miti consigli i rivoltosi. Ma in caso di necessità, l’ordine di abbattere ogni resistenza era già stato dato!

Le cose però non sono andate esattamente così. La resistenza è stata molto più decisa e importante di quanto si immaginava Putin e anche quando l’assalto ha cominciato a mietere vittime civili a centinaia, forse migliaia, tra la popolazione, la carneficina aumentava la voglia e la forza di reagire dei ribelli anziché la resa. La minaccia di usare la “Bomba” è servita a tener fuori dalla disputa le potenze estere, ma non a frenare la voglia di libertà degli assaliti, che pure dovevano sopportare misure estreme di sopportazione, dovute alla fame e al freddo glaciale dell’inverno oltre che al macello causato dagli obici e dai cannoni putiniani che intanto lasciavano macerie ovunque passavano, senza rispetto nemmeno per chiese e ospedali.

Tanta determinazione di conquista e sottomissione ricorda di più l’avanzata senza pietà di Attila il barbaro che quella trionfale dell’esercito alleato contro Hitler. Ma comunque vada, ora che anche Putin si dichiara disposto a trattare, si apre una nuova fase, non solo per l’Europa, ma per il mondo intero. Putin però non recederà dalle sue pretese. Ma chi potrebbe oggi accettare le sue condizioni, dopo quelle migliaia di morti uccisi anche mentre stavano chiusi in casa o mentre cercavano scampo nella fuga dalla cieca violenza?

Probabilmente Putin cerca ora soltanto di prender tempo sperando nel fiaccamento di un popolo costretto alla fame. Ma comunque finisca questa fase, la prossima sarà una fase nella quale la “Grande Madre Russia” verrà isolata dal mondo civile finche Putin il genocida ne sarà il capo.

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