di Luigi Manfra*

I giornali sono pieni di notizie sull’enorme aumento dei prezzi dell’energia, che si riflette sulle bollette che consumatori e imprese sono costretti a pagare. Gli aumenti sono così rilevanti che il governo ha stanziato diversi miliardi per contenerli, almeno in parte. Le cause di questo fenomeno sono di natura finanziaria, perché il prezzo internazionale del gas naturale sta salendo sulla spinta della speculazione che moltiplica gli effetti dell’incremento che nel 2021 ha avuto la domanda globale. In altri termini, l’aumento del Pil, insieme ai ritardi nelle consegne e all’aumento dei noli marittimi, ha soltanto avviato l’aumento dei prezzi, mentre la speculazione finanziaria ha fatto il resto.

Il mercato dell’energia e delle altre materie prime, al pari del mercato azionario, è caratterizzato dai futures, vale a dire da promesse di acquisto futuro al prezzo corrente di mercato con il quale si ottiene il diritto di acquistare o vendere un’attività in una data successiva per un prezzo fissato al momento della stipula. Ovviamente il compratore prevede un aumento del prezzo, e, quindi si aspetta un profitto, mentre, viceversa, chi vende spera in una sua diminuzione.

L’attività di trading sui futures è una transazione privata a somma zero, nella quale al guadagno di un soggetto corrisponde simmetricamente la perdita per l’altro contraente. In definitiva un’operazione neutrale che non ha conseguenze economiche dirette sui soggetti terzi. Quando, però, la speculazione al rialzo prevale, come è avvenuto negli ultimi mesi, si verifica un effetto anche sui mercati, dove i prezzi delle attività coinvolte nell’operazione aumentano, danneggiando sia i produttori che i consumatori. La profonda dipendenza del mercato dell’energia dalla speculazione è l’effetto di una modifica radicale nella natura dei contratti di vendita. Questi nel passato erano prevalentemente a lungo termine a prezzo prefissato, ma, a partire dalla crisi finanziaria del 2008, si è continuamente accresciuto il numero delle transazioni che avvengono al prezzo spot, cioè giornaliero, il cui valore si determina sul Ttf, Title Transfer Facility, mercato olandese di riferimento europeo. Questo mutamento è dipeso dalla lunga stagnazione di quegli anni che, riducendo la domanda di gas, ha reso più conveniente il prezzo spot rispetto a quello dei contratti a lungo termine. Ma, dall’inizio del 2021, la forte crescita dell’economia ha rapidamente mutato la situazione, determinando una continua crescita del prezzo spot che ha modificato le aspettative degli operatori, innescando crescenti operazioni al rialzo sul mercato Ttf dei futures.

Gli ultimi dati del Ministero della Transizione Ecologica relativi al 2020 evidenziano come il 43% del gas che importa l’Italia arriva dalla Russia, mentre il secondo fornitore è l’Algeria con il 22,8%. In termini assoluti, da Mosca nel 2020 sono arrivati 28,7 miliardi di metri cubi di gas naturale, su un totale di 71 miliardi di metri cubi. La produzione nazionale, invece, è in continua flessione e attualmente incide per il quattro per cento dei consumi finali interni. La maggior parte del gas viene importato in Italia da tre società, Eni, Enel ed Edison. Si stima che l’Eni, il maggiore acquirente, abbia importato nel 2021 circa il 47,6% del totale, pari a 33,8 miliardi di metri cubi, il 31,6% dei quali effettuato tramite acquisti sul mercato spot, cioè a prezzi alti, mentre il restante 68,4%, pari a circa 23,1 miliardi di metri cubi, è stato acquistato a prezzi dei contratti pluriennali molto più bassi stipulati con la Russia, l’Algeria e gli altri paesi fornitori.

Tutti i grossisti che riforniscono gli utenti finali, comprano da Eni o da altri grandi importatori, al prezzo del mercato spot di Rotterdam (Ttf). Dunque, l’Eni incassa da parecchi mesi l’enorme differenza tra i prezzi del gas sul mercato spot Ttf, pari a 180 euro a Mwh, e i prezzi ben più bassi dei contratti a lungo termine, pari a 40 euro, per almeno i due terzi delle vendite totali. La misura in Mwh, usata internazionalmente, corrisponde ai 91,37 metri cubi di gas necessari a produrla. L’esistenza di superprofitti, di cui parlano tutti i media, è testimoniata dalla crescita che hanno avuto i profitti dell’Eni nel 2021, pari a 4,7 miliardi di euro, contro una perdita di 8,2 miliardi dell’anno precedente.

Questo enorme aumento è il frutto del metodo utilizzato dall’ente regolatore del mercato, Erera, per stabilire il “marginal price” del gas. In altri termini, tutte le offerte accettate in una determinata fascia oraria, necessarie a saturare la domanda di elettricità, avvengono al prezzo dell’impianto con costi marginali più alti, che così è in grado di recuperare i costi effettuati per la produzione. I fornitori, che invece producono a costi più bassi, ottengono ricavi che, dato l’elevato prezzo del gas, sono diventati via via molto elevati.

*Già docente di Politica economica presso l’Università Sapienza di Roma, si occupa di economia internazionale, soprattutto in relazione al Mediterraneo

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