Una doverosa premessa. Da deputato e scienziato sono vaccinato con tre dosi, la mia famiglia è vaccinata, ho invitato tutti, specialmente se persone a rischio, a vaccinarsi e su queste pagine ho smentito per anni bufale pseudoscientifiche sui vaccini. Il green pass non è però una misura scientifica ma politica, sulla cui efficacia in questo momento si può e si deve aprire un dibattito.

A distanza di due anni dove la curva pandemica è puntualmente scesa all’inizio dell’estate e risalita in inverno, possiamo dire che l’epidemia abbia da noi un andamento stagionale.

Attenzione: “andamento stagionale” non significa “sparisce d’estate” perché con l’emergere di nuove varianti sempre più trasmissibili è possibile avere anche ondate estive, ma che sono state di intensità decisamente inferiore rispetto a quelle invernali. Riconoscere l’andamento stagionale, che alcuni esperti improvvisati hanno apertamente negato, significa poter capire che cosa ci attende nel medio periodo, con una tregua nella bella stagione. Però, è d’inverno che il livello di attenzione deve essere alzato e dove misuriamo la reale efficacia delle nostre misure.

La vaccinazione è importante, ma la curva non si piega “grazie al green pass e ai vaccini” ma piuttosto grazie a fattori esterni che possiamo controllare fino a un certo punto. Addossare colpe ai cittadini che non hanno, come parlare di “estate scellerata” è errato perché non c’è prova che il nostro comportamento collettivo d’estate possa avere un ruolo significativo nella ripresa invernale. Probabilmente, questo avverrebbe anche se si partisse da una ipotetica situazione di “Covid zero” perché in Europa (soprattutto adesso) è impossibile sigillare le frontiere.

Sicuramente il Covid può colpire a tutte le età, tuttavia le persone giovani lo sono in misura nettamente minore rispetto agli anziani. A oggi, i decessi di persone sotto i 40 anni sono 440 su oltre 150.000 (lo 0.27% del totale) e quelli sotto i 20 anni solo 37 (lo 0.025%). Solo nell’anno 2020, quello con forti limitazioni alla circolazione, sono deceduti 37 minori di 14 anni in incidenti stradali. Bisogna chiedersi se alla luce di questi dati davvero vogliamo insistere con pesanti restrizioni soprattutto per i giovani, perché il Covid non è mai diventato una malattia grave per loro.

Anche la strategia “Covid Zero” non sembra più reggere. La più contagiosa ma meno patogenica variante Omicron si è diffusa anche in paesi che erano riusciti fino a questo punto a evitare le ondate precedenti come il Giappone (che ha raggiunto i 61.000 casi in media negli ultimi sette giorni), la Nuova Zelanda (21.000 casi), Hong Kong (43.000 casi), l’Australia (25.000 casi). L’unico paese nel quale al momento parrebbe ancora funzionare un modello “Covid Zero” è la Cina, dove però i diritti civili sono decisamente più compressi rispetto all’Europa. Alcuni paesi europei (Danimarca e Regno Unito) da settimane hanno di fatto tolto qualsiasi restrizione. Il numero di positivi è rimasto relativamente alto ma i casi gravi hanno continuato a scendere. Il Regno Unito (67 milioni di abitanti) ha al momento in cui scrivo 275 ricoverati in terapia intensiva.

La Danimarca (5.8 milioni di abitanti) 37. Sono numeri che rapportati agli abitanti persino inferiori rispetto a quelli italiani (563 ricoverati in terapia intensiva).
Il governo danese ha smentito una serie di fake news sulla propria strategia di contenimento, che si basa sulla responsabilità dei cittadini. Queste fake news sono state diffuse non dai “terrapiattisti” ma da quelli che dovrebbero essere scienziati e che invece si sono dati all’allarmismo in cerca di un’effimera visibilità mediatica. Togliere le restrizioni imposte dallo Stato centrale non significa dire “il Covid è sparito”. Significa piuttosto stringere un patto con i cittadini e fidarsi di loro. Significa comprendere che a questo punto strumenti ideati prima della variante omicron adesso non sono più adeguati.

Ha quindi senso continuare oggi, a marzo 2022, con delle restrizioni che hanno pochi uguali in altri paesi del mondo? Ad esempio, impedendo a una persona non vaccinata di lavorare nella sua azienda agricola da sola su un trattore in mezzo a un campo? L’Italia è uno dei pochi paesi al mondo che nega persino il diritto al lavoro per alcune categorie di persone non vaccinate. Possiamo criticare e non approvare la loro scelta, ma occorre chiedersi se oggi queste restrizioni siano davvero idonee e giustificate per proteggere la salute pubblica. E questo lo dovrebbe spiegare chi sostiene che esista una base scientifica per il green pass, non certo chi ha più che legittimi dubbi sull’utilità di mantenere questa misura.

L’Italia ha già vaccinato circa 50 milioni di persone. La maggior parte di quelle che mancano non si possono vaccinare per età o esenzioni. Il numero di prime dosi giornaliere (oramai stabilmente sotto le 4.000 unità e in costante calo) indica però che ben difficilmente si potranno convincere a vaccinarsi coloro che avrebbero potuto e ancora non lo hanno fatto, green pass o meno.

Il fenomeno dell’esitazione vaccinale è complesso. Il professor Corbellini, una persona che studia questi aspetti da anni, lo aveva spiegato bene a settembre. I veri e propri “no-vax” sono (forse) mezzo milione in Italia. Sostanzialmente quattro gatti in un paese di 60 milioni di abitanti. Anche se hanno idee che la maggior parte di noi non condivide, diventa opinabile pensare che un Parlamento che finalmente discuta la legge sul diritto di poter decidere di morire debba poi imporre ai cittadini come vivere, in assenza di cogenti motivi. È oramai insostenibile pensare che la ripresa invernale della pandemia sia stata causata dai cosiddetti “no-vax”. Tra l’altro, dopo due anni la stragrande maggioranza di queste persone il Covid lo hanno inevitabilmente già incontrato e ha la protezione della malattia naturale. Prima di continuare a puntare così forte solo sul vaccino, bisogna chiedersi quale evidenza abbiamo che con le nuove varianti sia più efficace e duratura la protezione di un vaccino progettato per il ceppo originario di Wuhan rispetto a quella della malattia naturale.

Gli errori in buona fede del passato sono giustificabili perché nessuno aveva un libretto di istruzioni per gestire una pandemia. Però, tutte le misure politiche hanno costi e benefici. I costi sociali di un milione di persone di fatto escluse dal lavoro e il tenere in piedi un complesso sistema di controlli ne ha di notevoli, soprattutto durante un’emergenza mondiale come la crisi Ucraina. C’è la necessità, oggi più che mai, di preservare le garanzie previste dalla nostra Costituzione, in termini di diritti e libertà, che senza lo stato emergenza non potranno più essere soggette a deroga. Vogliamo veramente continuare a rinunciare a questi valori fondamentali e fondanti il nostro ordinamento giuridico ed al patto sociale? Siamo in grado di dimostrare, arrivati a questo punto, significativi benefici tali da giustificare il mantenimento del green pass?

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