HU, nome d’arte di Federica Ferracuti, ha partecipato al Festival di Sanremo di quest’anno, in gara assieme a Highsnob con il brano “Abbi cura di te”, classificata al 20esimo posto. Canta, scrive, suona, produce e ha iniziato a studiare musica all’età di 12 anni. “Neon” segna il debutto di HU nella musica ed esce a giugno del 2020, poi il contratto con Warner Music e la partecipazione ad AmaSanremo (la gara per accedere alle categorie Nuove Proposte) con “Occhi Niagara”, ma non arriva in Finale. Dopo la laurea per la seconda volta al Conservatorio di Milano in composizione musicale, arriva la chiamata di Amadeus per partecipare tra i Big del Festival di quest’anno. “Numeri primi” è il primo album di HU.
Chi sono i numeri primi?
Sono le persone che hanno consapevolezza di essere unici e irripetibili. Mi ha sempre portato del bene questo mantra e credo mi abbia consentito di crescere profondamente come essere umano.
È difficile essere “unici” in questa società?
Siamo sempre alla ricerca di quello che non abbiamo e proiettiamo negli altri come vorremmo essere, di conseguenza proiettiamo la nostra immagine in qualcosa che non ci appartiene. Certo, è difficile capire cosa vogliamo davvero ed è molto più facile, invece, avvicinarsi a mondi e persone che osserviamo dall’esterno e pensiamo che ce l’abbiano fatta. Oggi ci sono così tanti esempi positivi che alla fine ci si dimentica della propria identità. Soprattuto sul versante musicale credo importante essere unici e non assomigliare a nessuno.
C’è tanto di Milano nelle tue canzoni. Cosa rappresenta per te?
Provengo da un posto molto piccolo nelle Marche, Fermo, a Milano sono arrivata per fare il Conservatorio. Dopo tanti sacrifici ce l’ho fatta. Milano è quella che io chiamo ‘la scoperta di Internet’: ti piovono addosso un sacco di informazioni, qualche volta si fanno dei sbagli, ma piano piano col tempo si impara a filtrare ciò che vedi per capire cosa si vuole davvero. Ho imparato dalle mie delusioni, dalle promesse mai rispettate, dalle tante persone che mi hanno ‘attraversato’ in questo percorso e mi hanno fatto del male però, alla fine, ho cercato quello che cercavo. Oggi sono serena e faccio quello che mi piace. In altre città non avrei mai trovato questa consapevolezza.
Canti “ma tu t’immagini se il mondo finisse adesso?” e c’è una guerra in atto. Era inevitabile che qualcosa del genere accadesse?
L’ho scritta ad ottobre quando la situazione era già tesa. Ho voluto citare un concetto preso dal libro ‘La Coscienza di Zeno’ di Italo Svevo per trasmettere l’idea che l’essere umano alla fine si sarebbe auto-distrutto. L’uomo è governato soprattutto dal potere, dal successo e dai soldi per questo scatena le guerre. Ho preso ispirazione pure dal finale del film ‘Fight Club’ quando viene ristabilito un contatto umano, non dovendo più scegliere un soprammobile che lo ‘definisca come individuo’.
Sei polistrumentista come lo è anche Francesca Michielin con la quale hai collaborato per “Guai”. Cosa ti ha colpito di lei?
Ci siamo conosciute contesto strano al Conservatorio e poi mi ha supportato molto quando ho fatto Sanremo Giovani. Ci siamo sentite e tenute in contatto, in giorno ci siamo ritrovate insieme a casa mia sessione struttura e non per incidere ‘Guai’, ma solo per fare musica insieme. Un giorno mi sono ritrovata con questa canzone che aveva un ritornello particolare. Era un brano che avrei solo potuto chiudere con una artista poliedrica e una persona meravigliosa com’è Francesca, quindi gliel’ho sottoposto e lei generosamente ha contribuito a chiuderlo. Oggi va di moda la caccia al feat, ma con lei è stato tutto naturale.
C’è il coming out in “Mamma”. Cosa ha rappresentato per te?
L’accettazione della propria sessualità non è solo dichiararlo agli altri ma è prima frutto di un percorso di accettazione di sé stessi. Fare coming out è un percorso di consapevolezza e non è una cosa che si fa perché deve finire sulla carta d’identità. Io ci ho messo molto tempo perché ho attraversato una infanzia difficile, venivo spesso presa in giro a scuola, non avevo nessuno con cui parlare dei miei pensieri e delle mie difficoltà. Insomma non è stata una passeggiata, poi io di natura sono irrequieta e fragile. Poi ho trovato la forza di dire la verità prima a me stessa e poi di dirlo agli altri.
La Legge Zan è stata affossata e si parla poco dei diritti per la comunità LGBTQ+. Un argomento che non va più di moda?
Voglio essere sincera su questo argomento. Sui social quotidianamente spuntano dei trend e, spesso, sono di natura politica. Così tutti iniziano a parlare di un argomento e, spesso, sono persone che non sanno assolutamente di nulla del tema di cui stanno parlando, io detesto questa cosa. Ci sono anche colleghi che prima di mettere avanti musica, si lanciano in battaglie politiche a favore del trend social del momento. Non l’ho mai condivisa questa scelta.
Tu come agisci?
Oggi mi faccio avanti in prima persona e lo faccio dopo che ho lavorato tanto con la musica per allargare il pubblico che mi ascolta. Poi sono entrata in contatto con tante realtà e ho ascoltato molto gli altri. Oggi so che posso parlare di determinate cose perché è importante come si comunicano certi argomenti. Le parole sono importanti e non solo per riempire i trend. La guerra ha oscurato tutti gli altri argomenti, lo comprendo. Però non dobbiamo mollare la presa, spero si torni a parlare di diritti. In tanti non capiscono le cose finché non lo vivono. Io sono stata fortunata perché i miei genitori, pur avendo 60 anni, sono stati sempre molto aperti e non bigotti. Ma se penso a tanti altri della loro età che non comprendono il senso delle battaglie che la comunità LGBTQ+ fa, non mi stupisco. Bisogna rimodulare il modo di esprimere i concetti in modo da arrivare a più persone possibili. Il target di comprensione è limitato, dobbiamo prendere atto di questa cosa e agire.