Il silenzio è d’oro, ma non sempre. Anatolij Tymoshchuk sul silenzio ci ha costruito una carriera calcistica, ad esempio, la più fulgida di tutta l’Ucraina. Già, anche più di Andrij Shevchenko. Centrocampista roccioso, forte fisicamente ma tutt’altro che scarso, silenzioso come detto ma leader. Pochi fronzoli, tanto sacrificio: palloni sradicati a partire da Volyn, la squadra della sua terra natia al confine con la Bielorussia e poi, soprattutto, nello Shaktar. Nove anni a Donetsk, dal 1998 al 2007: anni in cui la squadra cresce e fa concorrenza alla ben più blasonata Dinamo Kiev, anni di campionati vinti e partecipazioni alla coppe europee che attirano l’attenzione sui pezzi migliori. Anatolij è tra questi: piace al Milan, piace in Premier, e anche altrove. Perché non ci sono solo palloni sradicati: buon tiro, capacità d’inserimento, intelligenza tattica e duttilità. Ma lui resta a Donetsk per nove anni. E ovviamente va in Nazionale: partecipa all’ottimo Mondiale del 2006 che si ferma con l’Italia ai quarti di finale e della squadra diventa capitano.
Da capitano dell’Ucraina arriva prima allo Zenit San Pietroburgo, vincendo la Coppa Uefa, poi al Bayern Monaco, dove alza anche la Champions. Quattro anni in Germania: vittorie, sì, ma anche qualche incomprensione coi suoi allenatori. È un centrocampista Tymoshchuk, ma i suoi allenatori – Van Gaal prima e Heynckess – poi lo mettono ovunque, in particolare difensore centrale. Quando arriva Guardiola torna allo Zenit prima di chiudere la carriera con una parentesi in Kazakistan. Ventidue trofei di club vinti, 144 presenze nella nazionale Ucraina: nessuno come lui, e infatti “Tymo” è a tutti gli effetti una leggenda.
Anzi, era. Perché il silenzio, come detto, non sempre è d’oro. E se di solito Tymoshchuk è uno che si è fatto sempre trovare lì dove doveva essere, fosse a centrocampo o in zona gol per una spizzata di testa o una botta da fuori, oggi la sua assenza e il suo silenzio sono parsi assordanti. Già, perché mentre il mondo si schiera con l’Ucraina, mentre le leggende ucraine da Shevchenko a Volkov sono intervenute con appelli o addirittura tornando in patria a combattere, da Tymo è arrivato solo silenzio di fronte all’invasione russa. Ed è un silenzio che non è stato affatto apprezzato. Oggi Tymoshchuk è in Russia, ancora allo Zenit San Pietroburgo come vice allenatore di Semak e non si è mai esposto per condannare l’invasione russa.
La Federcalcio ucraina è intervenuta in maniera durissima, ipotizzando addirittura di cancellarlo, di fatto, dalla storia calcistica del paese togliendogli tutto: titoli, coppe, record e anche il patentino da allenatore perché “il suo comportamento danneggia l’immagine del calcio ucraino”. Nella nota della federazione si legge: “Dall’inizio dell’aggressione militare russa contro l’Ucraina, Tymoshchuk, l’ex capitano della nazionale ucraina, non solo non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche al riguardo, ma non ha nemmeno interrotto la sua collaborazione con il club dell’aggressore. In un momento in cui un altro ex club dell’ucraino, l’FC Bayern Monaco, pubblica dichiarazioni e tiene azioni a sostegno dell’Ucraina, Tymoshchuk continua a rimanere in silenzio e a lavorare per il club dell’aggressore”. E ancora: “Con questa scelta consapevole, Tymoshchuk danneggia l’immagine del calcio ucraino e viola la clausola 1.4. Parte 1 dell’art. 4 del Codice Etico e Fair Play UAF”. Non solo: contro l’ex centrocampista si sono schierati anche ex compagni di nazionale come Oleksander Aliyev, intervenuto in maniera durissima, e giovani calciatori come l’atalantino Malinovskyi che ha dichiarato che per lui Tymoschuk non è più una leggenda. Ma il silenzio dell’ex calciatore prosegue.