Le parole sulla guerra "necessaria per arginare le lobby gay" hanno fatto saltare i piani di un secondo incontro con papa Francesco, dopo quello del 2016 nel territorio neutro di L’Avana: le sue affermazioni "rischiano di accendere ancora di più gli animi e non risolvere la crisi in maniera pacifica", la condanna del Segretario di Stato Parolin. Kirill, peraltro, ha fatto marcia indietro dalla linea pacifista sull'Ucraina manifestata proprio a Cuba insieme a Francesco
Il conflitto in Ucraina rischia di diventare rapidamente anche una guerra religiosa. Sia all’interno del mondo ortodosso, già molto dilaniato, sia all’esterno con il dialogo ecumenico, in particolare con la Chiesa cattolica, minato alle fondamenta dopo la benedizione del Patriarca di Mosca Kirill all’operazione militare del presidente russo Vladimir Putin. Affermazioni, in Vaticano e non solo, ritenute shock soprattutto per il riferimento alla guerra necessaria per arginare le lobby gay in Occidente. Una posizione che ha fatto subito saltare la pianificazione di un secondo incontro, dopo quello del 2016 nel territorio neutro di L’Avana, tra il Papa e Kirill. Faccia a faccia a cui si stava lavorando da anni e che sembrava finalmente a un passo dalla sua concretizzazione entro il 2022.
Netta la presa di distanza del Vaticano. Per il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, “le parole di Kirill non favoriscono e non promuovono un’intesa, anzi rischiano di accendere ancora di più gli animi e di andare verso una escalation e di non risolvere la crisi in maniera pacifica”. Chiusura anche su un possibile nuovo incontro tra il Papa e il Patriarca. “La questione – ha spiegato il porporato – è molto complicata anche dalla tensione che esisteva tra le Chiese, quindi al momento non c’è stata possibilità”. All’inizio delle ostilità, invece, Kirill aveva sposato in pieno la linea pacifista di Francesco. Posizione, però, abbandonata rapidamente per tenere in vita una sorta di collateralismo tra la Chiesa ortodossa russa e il Cremlino. Un rapporto d’acciaio che la condanna del conflitto in Ucraina avrebbe inevitabilmente mandato in frantumi. Ma Kirill avrebbe potuto lavorare in stretta sinergia con Bergoglio a Mosca nella delicatissima mediazione per la fine delle ostilità in cui è impegnata la Santa Sede.
Una posizione, quella del Patriarca, completamente diversa da quanto aveva sottoscritto nella dichiarazione comune firmata con Francesco a Cuba. “Deploriamo – si legge nel testo – lo scontro in Ucraina che ha già causato molte vittime, innumerevoli ferite ad abitanti pacifici e gettato la società in una grave crisi economica ed umanitaria. Invitiamo tutte le parti del conflitto alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per costruire la pace. Invitiamo le nostre Chiese in Ucraina a lavorare per pervenire all’armonia sociale, ad astenersi dal partecipare allo scontro e a non sostenere un ulteriore sviluppo del conflitto. Auspichiamo che lo scisma tra i fedeli ortodossi in Ucraina possa essere superato sulla base delle norme canoniche esistenti, che tutti i cristiani ortodossi dell’Ucraina vivano nella pace e nell’armonia, e che le comunità cattoliche del Paese vi contribuiscano, in modo da far vedere sempre di più la nostra fratellanza cristiana”. Alla vigilia del conflitto, inoltre, il mondo ortodosso russo è entrato in rotta con la Chiesa sorella di Kiev. Quest’ultima ha deciso lo scisma da quella di Mosca, mettendo in discussione anche la data del Natale: da celebrare il 25 dicembre e non più il 7 gennaio come è sempre avvenuto in tutti i Paesi ex sovietici.
Il Vaticano, intanto, si sta muovendo su due binari paralleli. Il primo riguarda la mediazione per la fine del conflitto. “La Santa Sede – ha spiegato il Papa – è disposta a fare di tutto, a mettersi al servizio per questa pace”. Il secondo è l’aiuto umanitario. “Rivolgo il mio accorato appello – ha affermato Francesco – perché si assicurino davvero i corridoi umanitari, e sia garantito e facilitato l’accesso degli aiuti alle zone assediate, per offrire il vitale soccorso ai nostri fratelli e sorelle oppressi dalle bombe e dalla paura. Ringrazio tutti coloro che stanno accogliendo i profughi. Soprattutto imploro che cessino gli attacchi armati e prevalga il negoziato, e prevalga pure il buon senso. E si torni a rispettare il diritto internazionale”. Parole accompagnate dalle missioni umanitarie, a nome del Pontefice, compiute nei luoghi del conflitto da due porporati: l’elemosiniere apostolico, Konrad Krajewski, e il prefetto ad interim del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, Michael Czerny. “Questa presenza dei due cardinali lì – ha precisato Francesco – è la presenza non solo del Papa, ma di tutto il popolo cristiano che vuole avvicinarsi e dire: la guerra è una pazzia! Fermatevi, per favore! Guardate questa crudeltà”.
La diplomazia vaticana si è attivata subito. Dalla visita a sorpresa del Papa all’ambasciata russa presso la Santa Sede alla telefonata del cardinale Parolin al ministro degli Esteri di Mosca, Sergej Lavrov. “Speriamo – ha affermato il porporato – che la visita del Santo Padre all’ambasciatore russo presso la Santa Sede, Alexander Avdeev, così personale e così forte, non tardi a portare frutti concreti a favore della popolazione ucraina. Siamo pronti ad aiutare in tutto quanto è possibile. L’alternativa al dialogo, come stiamo vedendo, è la guerra, la distruzione, la morte: un’alternativa inaccettabile”. Parolin ha, inoltre, chiarito che “nell’offrire la propria disponibilità a fare da mediatrice o a svolgere qualsiasi altra forma di facilitazione, la Santa Sede non persegue interessi propri, né impone modalità o condizioni. Unico presupposto imprescindibile di un suo eventuale intervento, che è legato al riconoscimento della libertà e della responsabilità delle parti, è che esse si manifestino decise a coinvolgerla, conoscendo la sua volontà a essere di aiuto per ogni buona causa. Quanto ci sta a cuore, in ogni caso, è che Russia e Ucraina mettano in atto colloqui seri e costruttivi per trovare una soluzione concordata”.
Un’attenzione che riguarda anche il dialogo ecumenico. “Sia le Chiese ortodosse dell’Ucraina, sia il Patriarcato di Mosca – ha aggiunto Parolin – sono istituzioni che hanno una grandissima rilevanza sociale. La loro voce è importante non solo per i fedeli che ad esse appartengono, ma anche per le autorità civili dei rispettivi Paesi. Esse possono pertanto offrire un validissimo contributo alla cessazione dell’attuale tragedia, cominciando a ricordare a tutti che, al di là di ogni differenza, l’altro è sempre un fratello da capire e amare, non un nemico da demonizzare ed eliminare. La Santa Sede considera pertanto utili e necessari gli appelli dei capi delle Chiese ortodosse a favore della pace e della difesa della vita umana. Trovo particolarmente bella e ispiratrice una recente intervista che l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina, ha rilasciato testimoniando la grande solidarietà che esiste in questi momenti drammatici non solo tra cattolici e ortodossi, ma tra tutti i membri delle confessioni e delle religioni presenti a Kiev. È un motivo di speranza e di luce in mezzo alle tenebre che attualmente avvolgono il Paese”.
Significativo è anche quanto affermato dall’arcivescovo di Mosca e presidente della Conferenza dei vescovi cattolici russi, monsignor Paolo Pezzi, che ha affidato le sue riflessioni a un libro appena pubblicato e scritto a quattro mani con il giornalista di Avvenire, Riccardo Maccioni. Nel testo che si intitola La piccola Chiesa nella grande Russia (Ares), il presule sottolinea che l’incontro tra il Papa e Kirill “ha aiutato soprattutto a superare, anche se non ci siamo ancora riusciti del tutto, quei muri di pregiudizio che ci accompagnano da secoli. Quell’incontro e la dichiarazione comune che ne è frutto sono stati utili a dare impulso a una testimonianza condivisa dell’essenziale della fede, dentro le realtà e le condizioni in cui viviamo. La base, però, non si sente molto coinvolta nel dialogo ecumenico, è abbastanza indifferente e diffidente. Ma questo vale in misura persino maggiore per la parte ortodossa”. Monsignor Pezzi è convinto che “quell’evento non ha lasciato tutto come prima, ma non ha portato neppure a un significativo avvicinamento. Parlerei di due tendenze: innanzitutto un certo autolesionismo interno alla Chiesa ortodossa per cui alcuni vescovi, non molti in verità, e un numero maggiore di sacerdoti si sono lamentati con il Patriarca per aver incontrato il Papa, producendo un certo malcontento, anche se soprattutto di tipo mediatico. Dall’altra parte ci sono state persone, presbiteri e semplici fedeli, che si sono sentite incoraggiate a conoscere le nostre Chiese, portando anche a scambi di visite. Credo che su base locale questo sia stato l’effetto più positivo dell’incontro tra il Papa e Kirill”. Il segnale eloquente di un cammino ancora molto in salita, ma che ora rischia di portare a un vicolo cieco.