Fin dal primo giorno di invasione Andriy Shevchenko ha dimostrato vicinanza all’Ucraina. Prima con dei video appello per fermare la guerra, poi partecipando anche a Che Tempo che Fa, chiedendo agli italiani di “aprire” i loro cuori accogliendo i profughi.

Oggi, con una lunga intervista al Corriere della Sera, il Pallone d’Oro torna a parlare del conflitto che, sottolinea, in realtà “è un’aggressione”. L’intervista inizia subito con una precisazione: “In ucraino ‘Kiev’ si scrive Kyiv. Kiev è la grafia russa”. Shevchenko sottilinea infatti di saper parlare russo, visto che glielo hanno insegnato a scuola, e che in Ucraina “si può parlare russo liberamente”: “Noi non siamo indiscriminatamente contro il popolo russo; siamo contro coloro che sostengono la guerra”.

L’ex attaccante del Milan quindi parla della sua famiglia, rimasta in Ucraina: “Per ora – dice – stanno bene. Li sento più volte al giorno. Mia madre Lubov e mia sorella sono in casa, a 25 minuti dal centro di Kyiv. Adesso le hanno raggiunte altri parenti, tra cui mia zia Lida, che ha passato quattro giorni chiusa in cantina. Abita vicino a un aeroporto, il suo quartiere è stato bombardato”. Alla domanda come mai i suoi familiari abbiano deciso di rimanere in Ucraina, l’ex calciatore non sembra avere dubbi: “Perché è la loro patria, la loro terra, la loro casa. Semmai avrei preferito raggiungerli io, perché avrebbero dovuto andarsene?”. Secondo Shevchenko non si può parlare di “conflitto” o di “operazione speciale”. Ciò che sta accadendo in Ucraina è “un’aggressione, un crimine contro i civili”. Il pensiero di partire, di andare in soccorso al suo popolo, ammette il Pallone d’Oro, c’è stato, “ma è impossibile”. “Hanno chiuso tutto subito, gli aeroporti sono stati bombardati per primi. Quindi ho deciso di difendere il mio Paese come posso”.

La sua voce, in effetti, è arrivata forte e chiara, fin dal primo giorno, senza nascondere la commozione per ciò che sta accadendo nel suo Paese. “La risposta dell’Italia è stata eccezionale – dice al quotidiano di Via Solferino – con GoFundMe abbiamo raccolto 343mila euro per la Croce Rossa e altri fondi sono stati raccolti dalla Fondazione Milan”. Poi altri progetti, con Giorgio Armani e anche con i sindaci di Firenze e Milano, soprattutto per aiutare le donne, i bambini e gli anziani che stanno fuggendo dall’Ucraina. Gli uomini, spiega, “non possono lasciare il Paese” anche se in prima linea ci ono comunque i soldati che “hanno avuto un regolare addestramento”.

L’ex attaccante, comunque, specifica che il popolo ucraino “vuole la pace” e che in questo momento si sta solo “battendo per la nostra libertà e i nostri diritti”. “Qualcuno pensa che dobbiamo arrenderci? – risponde – Arrenderci in questo momento significherebbe perdere la nostra libertà. Vogliamo avvicinarci all’Europa”. “Noi – dice ancora – non abbiamo attaccato nessuno, ci stiamo solo difendendo”. Alla domanda quindi se sia giusto dare armi all’Ucraina, Shevchenko risponde con chiarezza: “È giusto tutto quello che serve a difendere il nostro Paese dagli aggressori”. Comprese, quindi, “le sanzioni” che, sottolinea, “sono molto importanti per fare pressione e trovare una soluzione diplomatica”.

Tanti i ricordi del passato, compresi quelli legati all’Italia, come quando ad Agropoli “una famiglia mi ha regalato il mio primo paio di jeans”. Ma non solo. Tra i ricordi di Shevchenko anche l’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl quando l’ex calciatore aveva 9 anni: “Arrivarono pullman da tutta l’Urss per portare via i bambini. Io finii sul Mare d’Azov, a 1.500 chilometri da casa. In un campo estivo dove dormivamo in 7 per stanza”. “Com’erano i rapporti con i russi? – risponde ancora – Eravamo un unico Paese. Ora questa guerra sta cancellando tutto un passato comune: nella cultura, e anche nello sport”. Quindi nell’intervista il Pallone d’Oro ripercorre alcuni momenti della sua carriera, compresa l’amicizia con Costacurta, Albertini e Ambrosini. Al momento di ricordare il rigore decisivo nella finale di Champions, però, Schevchenko sottolinea: “È una storia straordinaria, ma in questo momento ho la testa da un’altra parte. Tutti i miei pensieri sono per il mio Paese. Chiedo all’Italia di fare di tutto per accogliere chi fugge, e per trovare una soluzione che metta fine al massacro. Prego per questo”. “Oggi – conclude – tocca a noi; ma non escludo che, se Putin non sarà fermato, domani possa toccare ad altri Paesi europei”.

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