L’anticorpo monoclonale Sotrovimab, sempre più utilizzato nel mondo perché uno dei pochi che mantiene l’efficacia contro la variante Omicron di Sars Cov 2, potrebbe causare mutazioni nel virus. Il condizionale è d’obbligo perché si tratta di uno studio osservazionale su un ristretto numero di persone colpite dal virus e trattate con il farmaco durante l’ondata di contagi Delta. I ricercatori dell’Istituto per le malattie infettive dell’Università di Sidney in Australia hanno segnalato nei giorni scorsi in una lettera al New England Journal of Medicine – una delle riviste scientifiche più prestigiose – di aver osservato in pazienti trattati con l’anticorpo dei cambiamenti genetici nel patogeno che causa Covid-19, associati allo sviluppo di resistenza al farmaco stesso.
Si ritiene, spiegano gli autori, che sia “la prima volta che in clinica si scopre una resistenza a Sotrovimab. Sebbene si tratti di un evento raro, questo evidenzia il ruolo cruciale della sorveglianza”. Sotrovimab neutralizza il coronavirus principalmente bloccandone l’ingresso nella cellula ospite, legandosi a una particolare regione della proteina Spike del virus. Lo studio osservazionale condotto dai ricercatori australiani si è svolto durante l’epidemia in cui era dominante la variante Delta nel 2021, analizzando i primi 100 pazienti trattati.
Il follow-up post-trattamento è stato richiesto in 23 pazienti e, su otto di questi che avevano campioni respiratori rimanenti che potevano essere utilizzati nell’analisi genomica, quattro hanno sviluppato mutazioni resistenti. I dati hanno mostrato la persistenza di Sars Cov 2 vitale in questi pazienti dopo le infusioni e il rapido sviluppo di mutazioni del gene Spike associate in test in vitro a resistenza al farmaco.
“Abbiamo scoperto che il virus può sviluppare mutazioni all’interno del paziente diversi giorni dopo il trattamento con Sotrovimab, il che riduce l’efficacia di questo trattamento di oltre 100 volte”, ha spiegato l’autrice principale, Rebecca Rockett, del Sydney Institute for Infectious Diseases. Le mutazioni all’interno del sito bersaglio del farmaco sono state scoperte analizzando l’intera sequenza del genoma virale prima e dopo il trattamento. Queste mutazioni sono state rilevate in un “piccolo numero di pazienti“, 6-13 giorni dopo il trattamento. “I campioni di virus resistenti – ha segnalato l’autore senior della ricerca Vitali Sintchenko – potrebbero essere facilmente coltivati in laboratorio, un indicatore del fatto che gli individui che sviluppano resistenza possono trasmettere questo virus resistente ad altri”.