Quando scoppiò l’emergenza Covid alcune “anime belle” dichiararono che non bisognava ricorrere alla similitudine della guerra. Secondo costoro non si poteva dire che quella contro il virus era una guerra e che noi dovevamo comportarci come soldati di fronte a un nemico comune. “Anime belle”, appunto, persone che – stando al significato che Hegel attribuiva a quella espressione – mascheravano la cruda e oggettiva dinamica dei fatti con un idealismo astratto, con un riferimento a quel mondo delle idee del tutto avulso dalla realtà concreta. In genere, mi permetto di aggiungere, si tratta di individui col culo nel burro.

Peccato che rifiutarsi di nominare la parola “guerra” non impedisca in alcun modo il verificarsi della stessa. Lo abbiamo sempre constatato lungo il corso della storia – dove non c’è mai stato un decennio senza almeno un grande conflitto – e purtroppo ci troviamo a verificarlo anche oggi. L’istinto bellico è consustanziale alla natura umana. Se manifestare per la pace non ha mai impedito o fermato alcuna guerra, non essere preparati al conflitto bellico (mentalmente, culturalmente e militarmente) ha provocato morti e distruzioni presso quei popoli inclini all’illusione che bastasse infilare la testa sotto la sabbia. Un po’ come i bambini, che pensano sia sufficiente nascondere la testa sotto il cuscino per far sparire i mostri.

Proprio oggi, con la puntualità implacabile di un orologio svizzero, la storia ci mette di fronte a una nuova guerra. Neanche siamo usciti dall’emergenza Covid che già dobbiamo assistere allo spettacolo raccapricciante e devastante dei missili, delle persone uccise, di leader mondiali che sembrano giocare spietatamente con le sorti dell’umanità. Di fronte a questo tragico scenario una civiltà di anime belle riesce a compiere il secondo errore fatale. Dopo essersi illusa di eliminare l’ipotesi della guerra con la forza del pensiero, infatti, la medesima società prova a interpretare tale guerra con le categorie della morale, cercando di individuare e separare nettamente il bene e il male, i torti e le ragioni. Come se la politica, in questo caso internazionale, fosse una classe di bambini dell’asilo, con la maestra che alla lavagna tira una riga col gesso per separare i buoni dai cattivi. Purtroppo, e lo dico senza alcuna ironia, la storia non funziona così.

Non voler utilizzare la similitudine della guerra per combattere il Covid ha prodotto fin troppi “disertori”, pronti a contestare le misure governative volte a contenere l’emergenza, ma anche disposti a questionare sulla bontà, sull’efficacia e sull’opportunità di questa o quell’altra misura specifica (la mascherina, il green pass, le limitazioni alla socialità etc.). Per non parlare dei complottisti di varia natura, titolari di una delle peggiori forme di autolesionismo che una società sana possa permettersi. Il risultato sono stati due anni con morti, imprese chiuse, famiglie in difficoltà economica, giovani in crescente crisi psicologica. Mentre ancora oggi il numero dei contagi torna a crescere in maniera preoccupante.

Un fenomeno simile sta accadendo con la guerra fra Putin e l’Occidente, perché di questo si tratta, anche se per ora a farne le spese è soltanto il popolo ucraino. Molte persone – compresi stimati intellettuali (ma ne abbiamo visti anche fra i no-vax) – nel momento stesso in cui il Presidente russo smuove missili ed eserciti contro un popolo più debole dichiarano di non volersi schierare in nome delle colpe storiche di cui si sono macchiati gli Usa e l’Occidente. Vi sono queste colpe? Certamente, nello stesso modo in cui vi sono stati errori, opportunismi e poteri che hanno lucrato rispetto all’emergenza sanitaria.

Il fatto è che quando sei in guerra – che si tratti di un virus biologico o di un nemico armato – perdere di vista la parte a cui si appartiene (l’umanità, nel caso del Covid; l’Occidente liberale e democratico nel caso del conflitto con la Russia) equivale a mettersi nelle condizioni migliori per perderla, quella guerra, o comunque per uscirne con un numero più alto di vittime. Poche altre cose come la guerra insegnano che arriva un momento in cui occorre mettere da parte le sottigliezze, gli idealismi irrealistici e perfino le disquisizioni intellettuali. Perché ci sono vite da salvare e un sistema, il nostro dell’Occidente – comunque democratico rispetto a quello autoritario e liberticida di Putin – da salvaguardare.

Ecco perché occorre schierarsi in questa guerra. Dobbiamo farlo noi cittadini e intellettuali, certamente, mettendo da parte tutta una serie di sottigliezze e distinguo, ma devono farlo anche i nostri governanti. Non soltanto con gli eserciti, ma anche con l’attuazione di politiche di emergenza volte ad affrontare di petto la crisi economica e i prezzi ormai insostenibili per milioni di persone. Perché continuare a tutelare i poteri finanziari che speculano anche sulla guerra – riducendo larga parte della popolazione alla disperazione economica – sarebbe un altro dei modi per perderla, quella guerra. O quantomeno per lasciare sul campo ulteriori vittime.

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