Le imprese di società straniere che si sono ritirate dalla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina potranno essere dichiarate fallite entro 3-6 mesi, con una proceduta accelerata. Lo ha annunciato stamane il ministro delle finanze russo, Anton Siluanov, secondo quanto riporta l’agenzia russa Tass. “Abbiamo previsto e sviluppato un meccanismo speciale: il fallimento accelerato che prevede l’amministrazione temporanea accelerata e la vendita delle società” che hanno deciso di abbandonare la Russia. “Il meccanismo sarà attuato entro un periodo da 3 a 6 mesi, a seconda della posizione dei proprietari di tali società”, ha detto il ministro. Il Cremlino dà dunque seguito alle minacce dei giorni scorsi in cui aveva espressamente fatto riferimento alla possibilità di nazionalizzare le divisioni di imprese straniere.
Dall’inizio del conflitto la lista delle multinazionali che hanno detto addio (o arrivederci) a Mosca si è allungata giorno dopo giorno. Da colossi petroliferi come Shell e British Petroleum a società di consulenza come Pwc o EY e banche come Goldman Sachs o Deutsche Bank a gruppi come Ikea. A fare più notizia è stata forse la decisione di Mc Donald’s di chiudere i suoi 850 punti vendita in Russia. Non è chiarissimo se continuando a pagare i dipendenti in attesa di un possibile ritorno. Poche tra le quasi 500 imprese italiane attualmente presenti in Russia hanno per ora manifestato l’intenzione di lasciare il paese. Secondo quando riportato dal quotidiano La Stampa recentemente si è svolto un incontro tra l’ambasciatore italiano Giorgio Starace (fratello dell’amministratore delegato di Enel Francesco) e gli imprenditori italiani durante il quale l’ambasciatore ha invitato le aziende ad aspettare e a non prendere decisioni affrettate.
“Ue e Italia hanno la stessa linea sulle sanzioni contro Putin, che devono indebolire l’economia russa, e inoltre abbiamo chiesto agli italiani di lasciare la Russia. Continuiamo sulla linea di sconsigliare agli italiani di rimanere” in Russia, ha puntualizzato però ieri il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Sinora ilgruppo assicurativo Generali ha annunciato un disimpegno dal paese così come Ferrero. Eni ha abbandonato il progetto per il gasdotto Blue Stream a cui lavorava con Gazprom. Unicredit che in Russia controlla Unicredit Bank non sembra intenzionate a lasciare la sua banca che copra circa l’1,4% del mercato locale.
Tra le contro-sanzioni a cui lavora Mosca c’è anche un utilizzo sempre più accentuato dello yuan cinese come riserva valutaria. “Lo yuan cinese è una valuta di riserva affidabile”, ha detto il ministro e “una parte delle riserve auree e valutarie è in questa valuta. Nelle relazioni commerciali con la Cina, utilizzeremo una quota delle riserve auree e valutarie denominate in yuan”, ha puntualizzato. “Lo yuan rimane attualmente una di queste fonti delle riserve valutarie del nostro Paese e lo utilizzeremo in tutti gli aspetti“, ha concluso Siluanov. Attualmente gli scambi tra Mosca e Pechino sono per lo più regolati in euro, in quello che è un tentativo dei dei due paesi di ridurre il dominio del dollaro come valuta di riferimento per i mercati internazionali. Il flusso commerciale tra i due paesi ammonta a circa 130 miliardi l’anno, un quarto rispetto a quelli tra Cina ed Ue e un quinto di quelli con gli Stati Uniti.
La banca centrale russa dispone di riserve valutarie per l’equivalente di circa 680 miliardi di dollari (620 miliardi di euro) di cui la metà è bloccata poiché sotto la disponibilità di banche centrali occidentali. Per il 32% di tratta di euro, per il 17% di dollari, per il 13% di yuan, per il 7% di sterline britanniche. Il resto sono oro (22%) ed altre valute. Nel frattempo verso Mosca continua ad affluire il fiume di dollari garantito dal pagamento di petrolio, gas e carbone, mai interrotto. Ogni giorno l’Europa paga alla Russia circa 800 milioni di dollari per il suo fabbisogno di materie prime energetiche.