Mentre si intensifica la guerra che da 19 giorni devasta l’Ucraina, la Nato avvia in Norvegia la sua più grande esercitazione dell’anno, con 30mila soldati, per dimostrare la sua capacità di venire in soccorso, se necessario, dei Paesi nordici. “Cold Response 2022”, così si chiama la maxi-operazione internazionale, coinvolgerà sul fronte Artico 200 aerei e 50 navi provenienti da 27 Paesi. L’esercitazione si svolge ogni due anni, durerà fino al 1° Aprile e vi prenderanno parte anche le Forze Armate italiane con l’incrociatore Giuseppe Garibaldi che porta a bordo una aliquota di fanti della Marina di San Marco e una componente di marines degli Stati Uniti, ed sede della Task Force Anfibia multinazionale (come forze opponente, parte del III Reggimento Alpini di Pinerolo).
L’esercitazione, puntualizza il sito dell’Alleanza, era pianificata da molto tempo, annunciata “più di otto mesi fa”, e ha un mero “scopo difensivo”, si legge anche nei dispacci delle varie forze interessate. L’invasione dell’Ucraina le attribuisce però particolare rilevanza, sia sul fronte dei sostenitori della causa russa, che riconducono l’invasione a un legittimo tentativo di difesa dei propri confini storicamente erosi dall’allargamento a Est della Nato, sia per quanti – al contrario – la trovano del tutto ingiustificata provando un profondo senso di impotenza di fronte alle drammatiche immagini che scorrono dal 24 febbraio, non accettando fino in fondo il rischio che ogni azione diretta della Nato possa precipitare il conflitto su scala mondiale (e nucleare), ragion per cui si arma l’Ucraina quanto si può, ma la si lascia sola davanti alla brutale aggressione di una potenza dalla capacità bellica soverchiante.
Sui siti delle forze coinvolte non c’è mai un riferimento al conflitto in corso, neppure incidentale o marginale. Nondimeno sui siti internazionali d’informazione, dal Times ad Al Jazeera, si sottolinea proprio il paradosso di questa situazione, che porta “il meglio dell’industria bellica occidentale” ad affacciarsi a poche centinaia di chilometri dal fronte dove Davide fronteggia il Golia che fa tremare il mondo. C’è chi sottolinea anche la pericolosità di questa “esibizione di muscoli”, che avviene a soli 196 km dal confine che separa Russia e Norvegia, non lontano dalla penisola di Kola che ospita la potente Flotta internazionale del Nord, un’enorme concentrazione di armi nucleari e innumerevoli installazioni militari.
Per evitare malintesi, la Norvegia ha informato la Russia dell’esercitazione, garantendo che manterrà una rispettosa distanza dalla Russia, la quale, tuttavia, ha tuttavia rifiutato l’invito a mandare propri osservatori. “Qualsiasi accumulo di capacità militari della NATO vicino ai confini della Russia non aiuta a rafforzare la sicurezza nella regione”, ha affermato l’ambasciata russa in Norvegia. In circostanze simili, in passato, Mosca aveva espresso il proprio disappunto, disturbando i segnali GPS o annunciando test missilistici, in modo da bloccare l’accesso ad alcuni spazi marittimi e aerei internazionali. Nel frattempo, le forze di difesa della Georgia hanno annunciato che condurranno esercitazioni militari congiunte con la NATO dal 20 al 25 marzo.
Anche le vicine Svezia e Finlandia, che sono ufficialmente partner militari non allineati, parteciperanno a Cold Response. Rispondendo così indirettamente alle minacce arrivate da Mosca in seguito alle telefonate solidali a Zelensky del presidente Sauli Niinistö e della premier svedese Magdalena Andersson. A ribadirle a Interfax è stato il direttore del secondo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo Sergei Belyayev: “È ovvio che la loro adesione all’Alleanza, che è in primo luogo un’organizzazione militare, comporterebbe conseguenze politiche e militari che richiederebbero la necessità di rivedere le relazioni con questi Paesi e adottare misure di ritorsione”.
Che lo scenario di esercitazioni e quello dove le armi sparano davvero siano concatenati lo rivela il ridimensionamento del numero di soldati mobilitati: inizialmente era stato fissato a 40mila unità, ma le emergenze sanitarie e geopolitiche, con importanti distaccamenti inviati sul fianco orientale della Nato, hanno portato a ridurli. Idem per i mezzi impegnati. La portaerei statunitense Harry Truman e la sua scorta, ad esempio, sono rimaste nel Mar Egeo, da dove contribuiranno alla sorveglianza del cielo tenendosi non troppo lontano dall’Ucraina.
E’ una provocazione che ci si poteva risparmiare? “Guardi, per operazioni come questa la pianificazione è perlomeno triennale, lo so perché ho partecipato a tante. Lo dico con una battuta: non siamo così bravi a reagire a un fatto come l’invasione dell’Ucraina”, risponde l’ex capo di Stato Maggiore della Difesa italiana Vincenzo Camporini che per cinque anni, dopo essere andato in pensione, è stato senior mentor programme della Nato proprio per questo tipo di esercitazioni. Per l’ex generale dunque l’operazione non ha proprio nulla a che fare con la guerra in corso. “Del resto risponde alla necessità di prontezza e capacità di deterrenza delle forze della Nato di cui l’Ucraina, piaccia dispiaccia, non fa parte. Svezia e Finlandia sono un caso diverso: è vero che non ne fanno parte e sono neutrali, ma da prima della Guerra Fredda hanno avviato un rapporto di cooperazione con la Nato, non a caso la Finlandia ha gli F18 e presto gli F35. Fa specie invece che dal momento in cui esiste in questi Paesi una corrente di pensiero che vorrebbe incrementare questo rapporto fino all’adesione, un altro li minacci per condizionare decisioni che rientrano nella piena sovranità del paese. La Russia lo vuole dall’Ucraina e ora lo vuole imporre a Svezia e Finlandia, mi sembra un po’ troppo”.
Mondo
Ucraina, la Nato mostra i muscoli in Norvegia. Partita oggi l’esercitazione con 30mila soldati, 200 aerei e 50 navi
L'operazione, annunciata otto mesi fa, proprio mentre l'Ucraina - schiacciata dalla forza bellica di Mosca - chiede aiuto. Il generale Camporini: "Non è una provocazione ma normale attività di verifica della prontezza e capacità di deterrenza delle forze Nato"
Mentre si intensifica la guerra che da 19 giorni devasta l’Ucraina, la Nato avvia in Norvegia la sua più grande esercitazione dell’anno, con 30mila soldati, per dimostrare la sua capacità di venire in soccorso, se necessario, dei Paesi nordici. “Cold Response 2022”, così si chiama la maxi-operazione internazionale, coinvolgerà sul fronte Artico 200 aerei e 50 navi provenienti da 27 Paesi. L’esercitazione si svolge ogni due anni, durerà fino al 1° Aprile e vi prenderanno parte anche le Forze Armate italiane con l’incrociatore Giuseppe Garibaldi che porta a bordo una aliquota di fanti della Marina di San Marco e una componente di marines degli Stati Uniti, ed sede della Task Force Anfibia multinazionale (come forze opponente, parte del III Reggimento Alpini di Pinerolo).
L’esercitazione, puntualizza il sito dell’Alleanza, era pianificata da molto tempo, annunciata “più di otto mesi fa”, e ha un mero “scopo difensivo”, si legge anche nei dispacci delle varie forze interessate. L’invasione dell’Ucraina le attribuisce però particolare rilevanza, sia sul fronte dei sostenitori della causa russa, che riconducono l’invasione a un legittimo tentativo di difesa dei propri confini storicamente erosi dall’allargamento a Est della Nato, sia per quanti – al contrario – la trovano del tutto ingiustificata provando un profondo senso di impotenza di fronte alle drammatiche immagini che scorrono dal 24 febbraio, non accettando fino in fondo il rischio che ogni azione diretta della Nato possa precipitare il conflitto su scala mondiale (e nucleare), ragion per cui si arma l’Ucraina quanto si può, ma la si lascia sola davanti alla brutale aggressione di una potenza dalla capacità bellica soverchiante.
Sui siti delle forze coinvolte non c’è mai un riferimento al conflitto in corso, neppure incidentale o marginale. Nondimeno sui siti internazionali d’informazione, dal Times ad Al Jazeera, si sottolinea proprio il paradosso di questa situazione, che porta “il meglio dell’industria bellica occidentale” ad affacciarsi a poche centinaia di chilometri dal fronte dove Davide fronteggia il Golia che fa tremare il mondo. C’è chi sottolinea anche la pericolosità di questa “esibizione di muscoli”, che avviene a soli 196 km dal confine che separa Russia e Norvegia, non lontano dalla penisola di Kola che ospita la potente Flotta internazionale del Nord, un’enorme concentrazione di armi nucleari e innumerevoli installazioni militari.
Per evitare malintesi, la Norvegia ha informato la Russia dell’esercitazione, garantendo che manterrà una rispettosa distanza dalla Russia, la quale, tuttavia, ha tuttavia rifiutato l’invito a mandare propri osservatori. “Qualsiasi accumulo di capacità militari della NATO vicino ai confini della Russia non aiuta a rafforzare la sicurezza nella regione”, ha affermato l’ambasciata russa in Norvegia. In circostanze simili, in passato, Mosca aveva espresso il proprio disappunto, disturbando i segnali GPS o annunciando test missilistici, in modo da bloccare l’accesso ad alcuni spazi marittimi e aerei internazionali. Nel frattempo, le forze di difesa della Georgia hanno annunciato che condurranno esercitazioni militari congiunte con la NATO dal 20 al 25 marzo.
Anche le vicine Svezia e Finlandia, che sono ufficialmente partner militari non allineati, parteciperanno a Cold Response. Rispondendo così indirettamente alle minacce arrivate da Mosca in seguito alle telefonate solidali a Zelensky del presidente Sauli Niinistö e della premier svedese Magdalena Andersson. A ribadirle a Interfax è stato il direttore del secondo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo Sergei Belyayev: “È ovvio che la loro adesione all’Alleanza, che è in primo luogo un’organizzazione militare, comporterebbe conseguenze politiche e militari che richiederebbero la necessità di rivedere le relazioni con questi Paesi e adottare misure di ritorsione”.
Che lo scenario di esercitazioni e quello dove le armi sparano davvero siano concatenati lo rivela il ridimensionamento del numero di soldati mobilitati: inizialmente era stato fissato a 40mila unità, ma le emergenze sanitarie e geopolitiche, con importanti distaccamenti inviati sul fianco orientale della Nato, hanno portato a ridurli. Idem per i mezzi impegnati. La portaerei statunitense Harry Truman e la sua scorta, ad esempio, sono rimaste nel Mar Egeo, da dove contribuiranno alla sorveglianza del cielo tenendosi non troppo lontano dall’Ucraina.
E’ una provocazione che ci si poteva risparmiare? “Guardi, per operazioni come questa la pianificazione è perlomeno triennale, lo so perché ho partecipato a tante. Lo dico con una battuta: non siamo così bravi a reagire a un fatto come l’invasione dell’Ucraina”, risponde l’ex capo di Stato Maggiore della Difesa italiana Vincenzo Camporini che per cinque anni, dopo essere andato in pensione, è stato senior mentor programme della Nato proprio per questo tipo di esercitazioni. Per l’ex generale dunque l’operazione non ha proprio nulla a che fare con la guerra in corso. “Del resto risponde alla necessità di prontezza e capacità di deterrenza delle forze della Nato di cui l’Ucraina, piaccia dispiaccia, non fa parte. Svezia e Finlandia sono un caso diverso: è vero che non ne fanno parte e sono neutrali, ma da prima della Guerra Fredda hanno avviato un rapporto di cooperazione con la Nato, non a caso la Finlandia ha gli F18 e presto gli F35. Fa specie invece che dal momento in cui esiste in questi Paesi una corrente di pensiero che vorrebbe incrementare questo rapporto fino all’adesione, un altro li minacci per condizionare decisioni che rientrano nella piena sovranità del paese. La Russia lo vuole dall’Ucraina e ora lo vuole imporre a Svezia e Finlandia, mi sembra un po’ troppo”.
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Roma, 27 feb. (Adnkronos Salute) - Un nuovo modello di sviluppo di terapia genica per il trattamento delle malattie rare si fa strada in Italia. Entro fine anno a Modena nell’Ospedale Universitario sarà operativo il primo Clinical trial center (Ctc) italiano di fase 1 con un laboratorio Glp (Good Laboratory Practice) integrato, grazie al supporto del Centro nazionale di ricerca 'Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna' finanziato dal programma NextGeneration Eu (Pnrr Missione 4, Istruzione e Ricerca). La struttura faciliterà il passaggio dagli studi preclinici agli studi sull’uomo e convaliderà la sicurezza e la fattibilità delle terapie per malattie genetiche rare di pelle, sangue, occhi, malattie da accumulo, renali, neuromuscolari e neurometaboliche. L’unicità nel panorama italiano del Ctc - si legge in una nota - è l’avere al proprio interno un laboratorio Glp, essenziale per raccogliere dati di farmacocinetica e biomarcatori per lo sviluppo delle fasi successive dei trial clinici ed il miglioramento delle strategie terapeutiche. Inoltre, l’essere attiguo al laboratorio di riferimento dello Spoke 1 (Spoke 1 Flag-ship), che ospita una piattaforma avanzata di sequenziamento del Dna di ultima generazione, risulta indispensabile per le analisi molecolari e genomiche del Ctc.
Capofila del progetto è lo Spoke 1 del Centro nazionale di terapia genica e farmaci Rna guidato dall'Università di Modena e Reggio Emilia insieme all’Istituto Telethon di genetica e medicina, all’università degli Studi di Bari Aldo Moro, l’università di Bologna, di Cagliari, degli Studi di Milano, degli Studi di Napoli Federico II, di Padova, degli Studi di Siena, ed al Gruppo Chiesi Farmaceutici, che si sta occupando di sviluppare terapie geniche e terapie a base di Rna all'avanguardia per alcune malattie genetiche paradigmatiche, oggi non curabili.
A coordinare lo Spoke 1 sarà Antonello Pietrangelo, professore ordinario di Medicina interna, direttore del dipartimento di Medicina interna e del ‘Centro di Medicina Genomica e malattie rare’ dell’Azienda ospedaliero-universitaria policlinico di Modena. "I gruppi di studio impegnati nella ricerca - spiega Pietrangelo - stanno conducendo le proprie sperimentazioni attraverso l’utilizzo di una nuova generazione di vettori virali per trasportare geni correttivi nelle cellule, insieme a terapie basate su cellule staminali per rigenerare tessuti danneggiati e di Rna terapeutico ed editing genetico, per correggere mutazioni direttamente nel Dna. Tutto attraverso anche l’utilizzo di ‘nanomedicine’, essenziali per raggiungere con precisione i target terapeutici, di organoidi e modelli tridimensionali di tessuti umani per testare queste terapie innovative senza l’uso di animali".
Una volta che il Clinical trial center "sarà operativo - precisa il professore - potremo monitorare la sicurezza di queste terapie e garantire la conformità agli standard normativi, fondamentali per i primi studi sull'uomo, e raccogliere dati farmacocinetici, farmacodinamici e biomarcatori vitali per informare le fasi successive della sperimentazione e migliorare così le strategie terapeutiche".
Aggiunge Rosario Rizzuto, presidente del Centro nazionale di ricerca 'Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia Rna', professore ordinario di Patologia generale, direttore del dipartimento di Scienze biomediche dell'Università di Padova: "Questo nuovo modello di sviluppo di terapia genica che integra gli studi preclinici di fase 1 con quelli di efficacia e di tossicologia in un'unica struttura, apre a nuove prospettive di cura più accessibili e più veloci, per le malattie rare e altre patologie. Il Clinical trial center di Modena - continua Rizzuto - incarna a pieno gli obiettivi e le sfide del Centro nazionale di terapia genica e farmaci Rna. Una grande rete pubblico-privata che mette a sistema tutte le competenze accademiche, tecnologiche e regolatorie per facilitare lo sviluppo della terapia e dei farmaci dall'inizio alla fine. Un sistema virtuoso che aiuta a ridurre i costi di sviluppo e produzione di un farmaco, condividere e non disperdere i dati già raccolti, e detenerne il know-how", conclude.
Roma, 28 feb (Adnkronos) - "Le malattie rare sono una priorità di sanità pubblica in tutta Europa e l’Italia si è dotata di un solido impianto normativo mediante l’istituzione della Rete Nazionale per le Malattie Rare e l’introduzione del Piano Nazionale per la tutela delle persone affette. Le norme vanno tuttavia attuate e tradotte in interventi concreti che garantiscano equità di accesso alle cure su tutto il territorio nazionale". Lo dice il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della giornata mondiale delle malattie rare.
"Negli ultimi anni sono stati raggiunti risultati straordinari grazie all’interazione tra genetica avanzata e intelligenza artificiale, rivoluzionando il modo con cui le patologie rare vengono diagnosticate, comprese e trattate. I progressi in questo campo sono il frutto di un incessante impegno collettivo in cui il coraggio dei pazienti e delle loro famiglie si intreccia con la determinazione della comunità medico–scientifica", prosegue il capo dello Stato.
"Purtroppo per molte malattie rare il percorso diagnostico è ancora lungo. Per questo motivo è fondamentale continuare a investire nella ricerca, nella formazione dei medici e nell’accesso a test genetici avanzati. La ricerca è speranza per il futuro di milioni di persone", conclude Mattarella.
Tutti in piazza per
Roma, 28 feb (Adnkronos) - "Le nostre istituzioni, a partire dal Quirinale, vengono attaccate da hacker ogni giorno, da quando la portavoce del Cremlino ha alzato il tiro contro il Presidente. E questo avviene da giorni. Nel totale silenzio della politica, tutta. Non basta la solidarietà, serve la denuncia". Lo scrive sui social il senatore del Pd Filippo Sensi.
Roma, 28 feb. (Adnkronos) - Proseguono gli attacchi hacker Ddos del gruppo 'NoName057' rivolta a obiettivi, ad esempio, nei settori della pubblica amministrazione locale, della magistratura e delle poste. Tra i target del gruppo attivista russofono, a quanto si apprende, i siti del Quirinale, del Csm e il portale romano del partito Fratelli d'Italia.
I siti sono tutti fruibili e al momento risultano non raggiungibili soltanto il sito del Csm e quelli di alcuni comuni. Come sempre l'Agenzia per la cybersicurezza è entrata in azione per allertare i target e fornire supporto.
Beirut, 28 feb. (Adnkronos) - Le Idf hanno reso noto di aver ucciso Mohammed Mahdi Ali Shahin, un agente di Hezbollah coinvolto nel traffico di armi al confine tra Siria e Libano e nella distribuzione di armi alle unità di Hezbollah. L'attacco con drone israeliano è stato effettuato nell'area di Hermel, in Libano, fa sapere l'esercito israeliano, secondo cui l'uomo ha agito "per istituire nuovamente Hezbollah" e quindi "ha palesemente violato l'accordo tra Israele e Libano, rappresentando una minaccia per lo Stato di Israele".
Roma, 27 feb. (Adnkronos) - “Oggi siamo a Roma perché la comunità portuale ha fortemente voluto dimostrare come il porto di Venezia sia un porto centrale per l'economia e per la portualità italiana. In particolare, oggi raccontiamo i progetti che ora sono sull'agenda di governo a Roma, sia per quanto riguarda il ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica sia per quanto riguarda il ministero delle Infrastrutture”. Con queste dichiarazioni, Fulvio Lino Di Blasio, presidente dell'Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico settentrionale Porti di Venezia e Chioggia, è intervenuto in occasione dell’evento ‘Sblocchiamo il futuro’ organizzato da L’Adsp veneta e la Venezia Port Community, il cui obiettivo è stato approfondire e condividere i progetti e gli investimenti che mirano a rafforzare le prospettive di sviluppo sostenibile per gli scali lagunari, ragionando anche sulle modalità più efficaci, sostenibili e tempestive per superare gli ostacoli all’orizzonte, essendo la portualità una grande risorsa per il Veneto, per il Nord Est e per l’Italia.
“In particolare, come commissario di governo alle crociere sto mandando al ministero dell'Ambiente, per avviare, poi, l'analisi della Commissione Via-Vas, quattro progetti: due riguardano l'accessibilità nautica. Il porto di Venezia è all'interno della laguna e la navigazione è garantita attraverso canali che devono essere mantenuti e messi in sicurezza. Il primo canale è Malamocco-Marghera, che collega il mare aperto al porto di Marghera. Il secondo canale è il Vittorio Emanuele, che collega la parte di Marghera alla Stazione Marittima e che abiliterebbe il ritorno delle navi da crociera piccole e di lusso alla stazione marittima, fortemente inibita dopo l'agosto del 2021 al passaggio delle navi da crociera sopra le 25mila tonnellate - spiega Di Blasio, che continua illustrando il terzo progetto - Una nuova isola per il contenimento dei sedimenti, perché l'attività di dragaggio che effettuiamo all'interno del sistema portuale è fondamentale non solo per la città, ma anche per il porto, perché tutti i rii urbani devono essere dragati e i sedimenti poi allocati in base alla loro tipologia. Si tratta, quindi, di una nuova isola di sedimenti con una capacità di oltre 6 milioni di metri cubi”.
Il presidente dell'Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico settentrionale Porti di Venezia e Chioggia prosegue, poi, spiegando il quarto ed ultimo progetto: “La nuova stazione marittima, per quanto riguarda le crociere, sita a Marghera - sottolinea - Sono quattro progetti commissariali che stiamo inviando al ministero dell'Ambiente affinché possa partire la valutazione di impatto ambientale nazionale”.
“La scelta di fare la valutazione d'impatto ambientale nazionale è del commissario - conclude - Abbiamo scelto, con la grande consapevolezza di trovarci in un ambiente naturale molto delicato, la via della collaborazione con il ministero all'Ambiente. Inoltre, oggi presentiamo anche lo stato dell’arte di un altro progetto, di cui sono ulteriormente commissario straordinario, Montesyndial, una piattaforma intermodale che rappresenta un unicum nell'arco italiano del Nord est: 1600 metri di banchina e 90 ettari per una piattaforma di contenitori logistica e intermodale, cioè con il collegamento ferroviario. Abbiamo bandito i cantieri aperti per 190 milioni, con conclusione a giugno 2026, e ci servono altre risorse. La comunità portuale, pertanto, racconta come un porto vivo, su cui abbiamo crescenti richieste di insediamento da parte di operatori anche internazionali, abbia bisogno di queste risorse”.
Roma, 27 feb. (Adnkronos) - “Penso che il momento sia importante e critico, visti gli scenari internazionali. Le infrastrutture dei porti sono importantissime per la competitività delle aziende e dei territori stessi”. Così Leopoldo Destro, delegato per le tematiche di Trasporto, Logistica, Industria del turismo e Cultura di Confindustria, in occasione dell’evento ‘Sblocchiamo il futuro’ organizzato dall’Autorità di Sistema portuale (Adsp) veneta e la Venezia Port Community a Roma. Essendo la portualità una grande risorsa per il Veneto, per il Nord Est e per l’Italia, l’obiettivo primario dell’incontro è stato approfondire e condividere i progetti e gli investimenti che mirano a rafforzare le prospettive di sviluppo sostenibile per gli scali lagunari, ragionando anche sulle modalità più efficaci, sostenibili e tempestive per superare gli ostacoli all’orizzonte.
“Venezia è inserita in due dei nove corridoi Ten-T a livello europeo e ha quindi una centralità importante, strategica sia per le merci in entrata sia per le merci in uscita, con inoltre un retroporto senz'altro importante, collegato anche alla rete ferroviaria. Un aspetto, quest’ultimo, che vogliamo sottolineare - conclude Destro - perché l’intermodalità deve diventare sempre più importante. Importante anche il tema dei passeggeri e quindi del turismo, perché il porto Venezia ha valenza strategica anche per la parte turistica”.