Missione compiuta: a 6 anni di distanza dal dieselgate, il gruppo Volkswgen è riuscito a “dimenticare” lo scandalo anche nella regione in cui gli è costato più caro. “Dopo diversi anni il marchio Volkswagen – ha sottolineato Herbert Diess, il Ceo del colosso tedesco – è tornato alla redditività in Nord America”. Il risultato è stato ottenuto in tutti e tre i mercati: Stati Uniti, Canada e Messico. A livello globale, il gruppo ha archiviato l’ultimo esercizio con ricavi quasi sovrapponibili a quelli del 2019, ossia poco più di 250 miliardi, appena l’1% in meno a due anni fa, quando aveva però consegnato 11 milioni di veicoli, contro gli 8,6 dello scorso anno.
L’utile operativo è stato di 20 miliardi di euro, contro i 19,3 di due anni fa e i 10,6% del 2020. Oltre la metà dei profitti (10,5 miliardi) sono stati garantiti da due soli marchi: Porsche e Audi. La casa di Zuffenhausen ha superato le 300.000 unità targate e raggiunto un nuovo record storico di vendite contabilizzando 5 miliardi di utile con un Ebit da capogiro del 16,5%. Il suo impatto sui guadagni del gruppo è stato ridimensionato: dopo che nel 2020 aveva inciso per quasi il 40%, lo scorso anno si è attestato su un valore “normale” del 25%. La casa dei Quattro Anelli (1,6 milioni di auto commercializzate) ha riportato l’Ebit oltre il 10% con quasi 5,55 miliardi di utile. Con l’annunciata quotazione in Borsa di Porsche (l’obiettivo è di portarla all’indice di Francoforte entro la fine dell’anno), il peso specifico di Audi (che controlla le italiane Lamborghini, Ducati e Italdesign) è destinato ad aumentare all’interno del gruppo, il cui margine operativo è stato dell’8% nel 2021.
Sia Diess, la cui retribuzione per lo scorso esercizio si aggira attorno ai 10,3 milioni di euro, sia il responsabile finnziario Arno Arnlitz non hanno nascosto le preoccupazioni per la guerra in Ucraina e anche le positive stime per il 2022 sono condizionate alla durata e alle ripercussioni del conflitto. Il gruppo ha raccolto e messo a disposizione fondi e mezzi per la diaspora dal paese invaso dai soldati dell’esercito di Vladimir Putin, ma sta anche continuando a riconoscere l’80% del salario ai propri occupati in Russia. Un’operazione che dovrebbe evitare le pesanti accuse da parte della Procura di Mosca che indaga sulla liceità della chiusura degli stabilimenti e sulla possibile lesione dei diritti dei lavoratori che potrebbero condurre alla nazionalizzazione.
Bentley, come Porsche e Lamborghini, ha contabilizzato un nuovo record storico di vendite grazie al quale è passata da un utile di 20 milioni ad uno di poco inferiore ai 390 con un Ebit più che decuplicato del 13,7% (era dell’1%). Anche l’andamento dei marchi generalisti è stato positivo, perfino per Seat, che è però rimasta ancora in territorio negativo: -2,4% di Ebit (era -3,7% un anno fa) e “rosso” di 233 milioni, più di cento in meno rispetto al 2020. Skoda ha brillato con il suo margine del 6,1% (1,1 miliardi di utile), mentre il brand Volkswagen ha raggiunto il 3,3% contro lo 0,6% dello scorso esercizio con un profitto schizzato da 454 milioni a 2,5 miliardi.
Diess ha sottolineato il raddoppio dei volumi di veicoli elettrici, che hanno superato quota 450.000, 93.000 dei quali sono stati consegnati in Cina. La gamma a zero emissioni ha inciso per il 5,1% sui volumi totali e dovrebbe salire al 7-8% nell’anno in corso. In Europa un’elettrica su quattro consegnata ai clienti era del gruppo.
Nel Regno di Mezzo il gruppo ha una quota del 16% e, hanno fatto sapere i due top manager, avrebbe potuto consegnare anche più auto se non ci fosse stata la carenza di semiconduttori. Considerate la “complessa” situazione europea, il gruppo sta attualmente dirottando la componentistica proprio verso la Cina, dove la domanda è elevata, ma dove i risultati sono sotto le aspettative. Non a caso nei mesi scorsi era stato silurato il capo delle operazioni nel paese con una “rivoluzione” dirigenziale che porta Ralf Brandstätter in Cina, una responsabilità che all’interno del Consiglio di Amministrazione era finora in capo allo stesso Diess.