“Siamo tutti senza notizie su come stanno i nostri parenti. Chi dei miei amici è riuscito a scappare da Mariupol lo ha fatto nei primi due giorni. Mariupol adesso è come una scatola nera”. Natalia Turbovets abita a Massa, in Toscana. Si è trasferita in Italia nel 2012, dopo aver lavorato in Crimea per quattro anni e aver studiato all’Accademia della cultura di Kharkov. Ma, soprattutto, Natalia è nata a Mariupol, una delle città più colpite dai raid dell’esercito russo. E lì ha amici e parenti. “A Mariupol – racconta – ci sono nonna, mamma e mio cugino Taras. Lui abita a Kiev, ma era andato a trovare mia nonna prima che scoppiasse tutto ed è rimasto bloccato. Non c’è luce, cibo e riscaldamento”. In tutta la città si cerca “acqua perché non c’è niente da bere. Per fortuna ha nevicato, almeno hanno potuto bere sciogliendo la neve“. “E i negozi vengono derubati”, alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Oltre alla carenza di cibo, di gas ed elettricità, l’assedio russo impedisce anche di comunicare con l’esterno: “Non c’è internet o rete telefonica. I russi hanno colpito le antenne della città e credo che l’abbiamo fatto apposta per tenere disinformata la zona e per impedire l’invio di foto e video che documentino quello che sta succedendo”. “In tutta Mariupol – continua Natalia – ci sono solo un paio di punti dove il cellulare ancora leggermente prende e da dove possiamo ricevere informazioni. Solo i più giovani e coraggiosi vanno in questi punti, mandando più messaggi possibili, anche da parte di altre persone”.
Natalia ha potuto parlare con suo cugino l’ultima volta mercoledì 9 marzo, “il primo contatto dopo una settimana”. “È riuscito, non so come, a ricaricare il suo cellulare e mi ha raccontato che la situazione è drammatica“, spiega. Le voci di chi riesce ad avere un contatto con l’esterno servono proprio a testimoniare quello che sta accadendo: “Una bomba gli è caduta a una distanza di circa 300-400 metri. Ha rischiato molto per fare solo cinque chilometri a piedi e andare a vedere come stava mia mamma, che lavora in un ospedale. Grazie a lui adesso so che è viva e continuo a sperare”. Mariupol, però, è “completamente distrutta”, spiega Natalia. Oltre ai bombardamenti notturni, ci sono scontri che proseguono anche di giorno: “Quando parlavo con Taras sentivo rumori di spari ed esplosioni. A volte più lontani, a volte vicini. Ha rischiato tantissimo per fare questa telefonata”.
Tra gli amici di Natalia ancora a Mariupol c’è anche Yuriy, il marito di Marianna Podguraskaya, la ragazza divenuta simbolo dell’attacco all’ospedale pediatrico di Mariupol. “L’ospedale è proprio al centro della città. Marianna non l’abbiamo sentita e abbiamo saputo che è viva grazie alla foto che è apparsa su internet. Ora ha partorito una bambina e da quello che siamo riusciti a capire stanno bene tutti e due. Yuriy pensava di averla persa quando è caduta la bomba sull’ospedale”. Un’altra donna, anche lei incinta, è morta insieme al suo bambino in seguito alle ferite riportate nel bombardamento dell’ospedale.
A Kiev invece la situazione appare al momento leggermente meno drammatica. Lì abita lo zio di Natalia: “Almeno hanno ancora luce e gas. Poi non è circondata come Mariupol, qualche aiuto umanitario arriva e quindi cibo e acqua ci sono. Mio zio l’ho sentito e se la cava ma ovviamente i suoi pensieri sono rivolti a Mariupol dove ci sono suo figlio e sua madre”.