Il 15 marzo di 11 anni fa è cominciato in Siria uno dei più drammatici conflitti dal dopoguerra che, scomparso dal dibattito pubblico, continua a fare vittime. Pure la condizione dei rifugiati ospitati nei paesi confinanti, salvo alcune eccezioni, è forse peggiore ora rispetto a dieci anni fa. Con quasi 400 mila vittime la Siria – come ci ricordano le Nazioni Unite nell’ultimo Humanitarian Needs Overview, appena pubblicato – resta un’emergenza umanitaria complessa e dalle conseguenze a lungo termine, tra cui la distruzione diffusa delle infrastrutture civili, la contaminazione da ordigni esplosivi e il maggior numero di sfollati interni al mondo (6,9 milioni).
Con il crollo dell’economia siriana il 60% della popolazione, tra cui mezzo milione di bambini, è alla fame
Più di dieci anni di crisi hanno inflitto immense sofferenze alla popolazione civile che è stata vittima di massicce e sistematiche violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. Più recentemente l’accelerazione del deterioramento economico e gli impatti dei cambiamenti climatici sono diventati sempre più fattori chiave aggiuntivi dei bisogni, aggravando ulteriormente le vulnerabilità. Nel 2022 14,6 milioni di persone avranno bisogno di assistenza umanitaria, con un aumento di 1,2 milioni rispetto al 2021.
In particolare quello che preoccupa è l’aumento della malnutrizione, specialmente quella infantile: sono circa 553 mila i bambini cronicamente malnutriti, la metà in modo grave. In tutto il paese il 60% della popolazione, 12,4 milioni di persone, è alla fame. Anche in termini di sicurezza la situazione sta peggiorando: mentre l’accordo di cessate il fuoco di Idlib del marzo 2020 ha portato a una riduzione generale delle ostilità e degli sfollamenti su larga scala, le ostilità si sono intensificate nel corso del 2021 lungo le linee del fronte nel nord-ovest, nord-est e sud del paese aggiungendo ulteriori 1.874 vittime civili, 636 dei quali bambini (nei soli primi nove mesi).
Giordania e Libano ospitano più del 10% dei rifugiati dell’intero pianeta
“Anche nei paesi confinanti la situazione rimane difficile” – mi racconta Nickie Monga, la nostra direttrice in Giordania, in questi giorni in Italia per una serie di incontri istituzionali. “Come in Giordania e in Libano che, pur rappresentando solo l’1% dell’economia mondiale, ospitano più del 10% dei rifugiati dell’intero pianeta. Queste percentuali se riportate alla popolazione delle due nazioni danno l’idea dell’impatto che possono avere nella gestione della vita pubblica: i soli siriani in Giordania rappresentano il 10% della popolazione mentre in Libano il 22%.”
Il tema dell’accoglienza è sempre stato molto delicato sia per motivi storici che congiunturali, quali le condizioni economiche che stanno vivendo i due paesi: il Libano praticamente in default, la Giordania che con una popolazione under 30 del 70% registra una disoccupazione giovanile del 54%.
Garantire un reddito ai rifugiati in uno dei più grandi campi profughi al mondo
La Giordania, pur all’interno di un approccio che non prevede la permanenza dei siriani sul proprio territorio, ha provato a gestire l’impatto che tali flussi avrebbero avuto nell’economia e sul mercato del lavoro. Ha così trovato un accordo con la comunità internazionale, volto a sostenere i cittadini giordani e l’economia nel suo insieme, oltre che l’ospitalità di un così grande numero di rifugiati. Ciò riguarda anche tutti quei rifugiati che vivono nei campi, come ad esempio a Zaatari, il più grande del paese e il più grande al mondo per numero di siriani.
“Oxfam ha distribuito acqua pulita e costruito servizi igienico-sanitari in modo culturalmente appropriato anche ai bisogni dei più vulnerabili e rispettando esigenze di genere” – continua Nickie Monga – “ma il progetto più interessante riguarda la gestione dei rifiuti solidi urbani: raccogliamo la spazzatura, manteniamo le strade pulite e ricicliamo. Ogni giorno diamo lavoro a 600-800 rifugiati, abbiamo due strutture di riciclo che ci permettono di rivendere i materiali al mercato, ma soprattutto portiamo le persone fuori dal proprio rifugio, vincendo in alcuni casi pregiudizi o stereotipi”.
La comunità internazionale non può dimenticare milioni di profughi
Ora più che mai occorrerebbe un sostegno della comunità internazionale ai paesi confinanti che ospitano i rifugiati siriani. Ma prima di tutto serve la pace, che non è la semplice assenza di violenza ma anche protezione e un futuro dignitoso per chi torna in Siria. Purtroppo il contesto internazionale precipitato nella guerra in Ucraina non fa ben sperare. In questo momento le sanzioni sulla Russia stanno avendo un effetto dirompente sulla popolazione e hanno provocato l’interruzione delle importazioni di cibo e carburante, con la sterlina siriana che si sta svalutando a una velocità vertiginosa. Il Governo ha già iniziato il razionamento di grano, zucchero, riso e carburante, annunciando così tempi ancora durissimi per questa porzione di Medio Oriente.
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