Un politico, lontano parente di un mafioso certificato, componente della commissione Legalità della città. Una questione che sta dividendo la politica a Torino. È il caso di Domenico Garcea, consigliere comunale di Forza Italia, cugino (non di primo grado) di Onofrio Garcea, condannato in via definitiva per associazione mafiosa quale esponente di spicco della locale di ‘ndrangheta di Genova e poi condannato ancora, in primo e secondo grado, per voto di scambio politico-mafioso a favore dell’ex assessore regionale Roberto Rosso. Secondo gli atti, inoltre, Onofrio si sarebbe dato da fare per far eleggere Domenico al consiglio regionale nel 2019: obiettivo mancato. Il forzista, però, nel 2021 è stato eletto al consiglio comunale di Torino, è diventato vicepresidente dell’assemblea cittadina e da poco è anche componente della commissione Legalità. A sollevare la questione è stato l’ex deputato Pd ed ex componente della Commissione Antimafia, Davide Mattiello, che definisce inopportuna e “moralmente ripugnante” la nomina di Domenico Garcea nella commissione legalità.

Il consigliere comunale di Forza Italia non è mai stato indagato ma – precisa l’ex deputato Pd – dagli atti dell’inchiesta Fenice della Direzione distrettuale antimafia di Torino, quella che ha condotto in carcere prima e a processo poi l’ex assessore regionale FdI Roberto Rosso per voto di scambio politico-mafioso, emergono informazioni utili a inquadrare la questione. Era il 2019 e si correva per le elezioni regionali: gli investigatori monitorano le attività di Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, pagati da Rosso per avere il loro sostegno elettorale, e registrano anche il loro appoggio a Domenico Garcea, consigliere Forza Italia della circoscrizione 6 in cerca di un posto nel parlamentino piemontese. Sua sorella, Chiara, compagna di Onofrio, chiede lui di interessarsi delle sorti del fratello. Il 10 aprile 2019, ad esempio, la donna invita il compagno a distribuire i volantini e lui la tranquillizza dicendole che era ancora troppo presto: “Devi parlare alle persone… comunque io adesso non li do alle persone, sarebbe sprecato! Ecco! Hai capito?”. Secondo lui sarebbero stati in grado di prendere voti alle Vallette (quartiere periferico di Torino, ndr) e anche da altri amici: “Non abbiamo amici solamente li dove abiti tu, anzi dalle altre parti abbiamo molti più amici noi”.

Il 25 aprile i due uomini parlano al telefono e gli investigatori ascoltano. Il politico dice al parente: “Mi hanno dato ieri una macchina”. “Lasciala lì che magari che mi sposto per andare a vedere per te”, risponde l’altro. Per gli inquirenti sarebbe un riferimento alle attività della campagna elettorale. Per il Tribunale di Torino non si tratta di reati, ma di episodi “indicativi dei contatti avuti tra gli affiliati del sodalizio che ci occupa e la realtà politica delle aree territoriali di riferimento, in quanto, per un verso, espressione del peso dagli stessi rivestito nelle aree stesse e loro diffusamente riconosciuto e, per altro verso, funzionali all’implementazione del controllo del territorio, mediante l’ottenimento di ‘favori’ da parte dei soggetti che avevano goduto del sostegno elettorale”.

“Abbiamo imparato che il perimetro del penalmente rilevante non coincide con quello del politicamente inopportuno e non coincide con quello del moralmente ripugnante – sottolinea ora Mattiello –. Considerati gli stretti legami famigliari tra Onofrio, Chiara e Domenico Garcea a me pare inopportuno che proprio quest’ultimo sia stato chiamato a comporre la Commissione Legalità del Comune di Torino. Sarebbe quanto meno necessario che Domenico prendesse pubblicamente le distanze da questi fatti, condannandoli esplicitamente: ad un politico è legittimo chiedere la parola ed il politico ha sempre la responsabilità di scegliere tra reticenza e chiarezza”.

La scorsa estate, in piena corsa per le elezioni comunali, erano stati gli alleati nel centrodestra a sollevare perplessità su Domenico Garcea, ma il coordinatore di Forza Italia Paolo Zangrillo ne ha difeso la candidatura, andata poi a buon fine. In una lettera alla redazione torinese di Repubblica, il politico replicava: “Pensavo di aver già ampiamente chiarito la mia posizione e che fosse ben noto a tutti che nulla ho a che fare con Onofrio Garcea, arrestato con Roberto Rosso di Fratelli d’Italia, con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso. Non nego di avere uno zio che si chiama Onofrio, ma si tratta del fratello della buonanima di mio padre che è completamente incensurato”. Inoltre precisava che l’Onofrio Garcea balzato agli onori delle cronache è un suo “lontano cugino (il grado di parentela è ben il sesto)” sentito soltanto una volta per la scomparsa del padre: “Non sono mai stato chiamato come persona informata dei fatti da nessuna forza dell’ordine, non sono stato neppure mai indagato, risultando quindi incensurato. Peraltro la responsabilità penale è personale, non è possibile che ricada su parenti che nulla hanno a che spartire con sbagliati modelli di vita”.

Non tutto il centrosinistra si allinea alla battaglia di Mattiello: soltanto la Sinistra ecologista e il segretario metropolitano del Pd, Marcello Mazzù sollevano la questione, mentre un’altra esponente dem, Nadia Conticelli, non vuole accodarsi alla “caccia alle streghe”. Conticelli cita – a sproposito – Peppino Impastato: “Non si delinque per parentela, ma per scelta (Peppino Impastato insegna)”. La differenza è che Impastato la mafia la combatteva a viso aperto e aveva fatto della lotta allo strapotere mafioso la sua ragione di vita. Secondo Torino Oggi, si schierano al fianco di Garcea Fdi e la lista civica di Paolo Damilano, Torino Bellissima, mentre il capogruppo M5s Andrea Russi ricorda che nessuno – tranne il movimento a novembre – ha sollevato questioni prima e che “Domenico Garcea è stato eletto e ha la fedina penale pulita: sono certo che il consigliere stesso vorrà prendere le distanze dalla ‘ndrangheta in maniera netta e decisa”.

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