Televisione

Alessandro Cattelan a FQMagazine: “Netflix “più comodo” della tv generalista? No, metto entrambi tra le cose belle. Non credo di avere un ego maggiore di chi ogni giorni twitta e posta”

La nuova avventura professionale di Alessandro Cattelan passa attraverso la piattaforma Netflix, in attesa di tornare su Rai Uno per Eurovision Song Contest 2022. “Una Semplice Domanda” parte da un interrogativo: cos'è la felicità. Ma il viaggio del conduttore per trovare una risposta non è solo condiviso con personaggi famosi, ma anche ponendosi interrogativi personali e intimi

di Andrea Conti

Dopo la non fortunata esperienza in prima serata su Rai Uno con “Da Grande” e in attesa di tornarci a maggio per Eurovision Song Contest con Laura Pausini e Mika, Alessandro Cattelan cambia totalmente rotta. Il conduttore sbarca su una piattaforma in streaming a pagamento come Netflix per cimentarsi nella narrazione pura del docu-show “Una Semplice Domanda” in sei episodi, prodotto da Fremantle. Qui Cattelan è autore e protagonista. Tutto nasce da una semplice domanda, appunto, della figlia Nina: “Papà, come si fa a essere felici?”. Così il protagonista parte in viaggio, incontrando personaggi di rilievo del mondo dello sport (Roberto Baggio e Gianluca Vialli) e dello Spettacolo (Geppi Cucciari, Elio, Francesco Mandelli e Paolo Sorrentino). Da ognuno di loro Alessandro Cattelan cercherà di carpire quali possono essere i momenti di felicità nella vita di un essere umano. Ci sono anche delle innesti interessanti come “4 religioni”, parodia ma non troppo di “4 ristoranti” di Alessandro Borghese e una incursione a “X Factor” in Ungheria, ma nei panni inediti di cantante.

Noi di FqMagazine abbiamo visto, in anteprima, tre episodi di “Una Semplice Domanda” con Roberto Baggio (“lasciare il calcio è stata una liberazione”), il premio Oscar Paolo Sorrentino (“la religione cattolica è ben congegnata”) e un altro campione nella vita e nello sport come Gianluca Vialli (“non vale la pena perder tempo a far stronzate”). Ben scritto (Cattelan/Crocchiolo/Giunta/Restivo), ottima regia e fotografia (Bellone+Consonni) e montaggio (Giacardi/Gritti/Forgione). La narrazione, si diceva, sembra stimolare Cattelan più ancora della sola conduzione e qui si mostra in una veste inedita, più consapevole e a suo agio. L’espediente della chiacchierata con lo psicoterapeuta al bar evidenzia quali siano i dubbi, le paure e le perplessità di Cattelan: “La mia paura è forse quella che gli altri potrebbero giudicarmi”, ma anche “sono appeso al giudizio di gente che non ha mai passato 30 secondi insieme a me” e “se penso a me mi sento sempre da solo. Non mi sento mai in mezzo agli altri, eppure ci vivo”. E infine: “Non sappiamo goderci il percorso, più passa il tempo più facciamo di tutto per rendercelo un inferno. Mi hanno sempre detto che per fare qualcosa di buono devi metterci la faccia, ma forse non necessariamente la mia faccia. Lasciare un segno senza mai comparire”. Aspetti inediti e personali di Alessandro che mette in un angolo Cattelan, almeno per una volta.

Sei partito in viaggio incontrando personalità diverse per trovare una risposta da dare a tua figlia e qual è ad oggi?
Ho sempre diffidato molto da quelli che trovano una risposta alla felicità che possa andare bene per tutti e che possa sodisfare le esigenze di tutti perché mi sembrerebbe di avere a che fare con una sorta di manuale di auto-aiuto, cosa che questa serie non è. La felicità per me è rappresentata dai piccoli momenti inaspettati, anche quando sono attesi, che durano il giusto perché siano preziosi. Poi passano e la vita te ne offrirà altri di questi momenti.

La fede con Baggio, il tema della morte e la malattia con Vialli, il cinema con Sorrentino. Quale di queste storie ti ha toccato di più?
In realtà tutti perché sono tutte cose a cui io penso durante la mia vita e ne parlo con i miei amici e la mia famiglia. Sono argomenti che mi interessano, mi stuzzicano e su cui non ho alcun tipo di opinione chiara perché è un continuo interrogarsi.

Cosa ti ha lasciato ognuno di loro?
Baggio mi ha lasciato la conferma di una cosa che già da un po’ di anni nella testa, ossia l’importanza della riservatezza. In un momento in cui è tutto proiettato verso il fuori, non riusciamo più a tenere niente dentro di noi. Tutto quello che proviamo lo dobbiamo raccontare a qualcuno e condividerlo. Baggio mi ha insegnato l’importanza di riuscire a trovare uno spazio protetto e proprio. Sorrentino è brillante e con lui è bello parlare di qualunque cosa. L’intervento di Vialli è il picco emotivo della serie perché tocca un argomento che ci riguarda tutti, anche se tutti vogliamo far finta di no. Poterne parlare con una persona che ha raggiunto una consapevolezza, mentre ancora ne può raccontare è inusuale. Luca ha una intelligenza spiccata e questa sua esperienza l’ha amplificata con una saggezza importante.

Come ti trovi in questa veste decisamente più comoda rispetto ad una diretta su un canale generalista?
Non è più comodo. È stato un lavoro complesso, lungo, di gruppo è stato bello farlo e nel concetto di bello io metto anche i momenti difficili. Intendo anche la bellezza di qualcosa che ti ha fatto faticare, incazzare o messo in difficoltà. Per fortuna vedo che i primi feedback rispetto a questa serie sono positivi e di apprezzamento. Tutti noi che l’abbiamo scritto, realizzato e montato ci teniamo che venga capito. Quindi tutto questo vale anche per la mia esperienza sui canali generalisti, la metto tra le cose molto belle.

Nel docu-show dici: “Se riuscissimo a spogliarci dall’ego faremmo un primo passo verso la felicità?”. Che risposta ti sei dato?
Non ho risposte, mi ritengo già soddisfatto ad avere domande da pormi. Le risposte non le ho e il fatto di domandarselo, implica che ci sia questa felicità. Sarebbe tutto più facile se riuscissimo a spogliarci dell’orgoglio, dell’ego… Io lo chiedo a me, ma non credo di avere un ego maggiore di chi ogni giorno twitta, posta, di chi pensa che ogni giorno la sua opinione necessiti di essere espressa così costantemente. Anzi forse quelli hanno un ego ancora maggiore. Faccio sicuramente parte di un mondo che si incentra sull’ego, che si nutre dell’ego, forse anche in conseguenza del lavoro che faccio, ma non lo vedo diverso da chi ogni giorno twitta.

Quindi “i social media sono la tomba della felicità”, per citare una tua frase nel docu-show?
Complicano molto e ci auto-costringono a metterci sotto pressione e ad avere un faro su di noi e ad ascoltare le opinioni degli altri su di noi. È come se ognuno facesse politica, in qualche modo. Non importa se il bacino di follower è fatto da 12 milioni, 1 milione, 600mila o 50. Anche se hai 50 follower, ogni volta che esprimi una opinione, lo fai per avere il consenso di quei 50. Vivere sempre alla ricerca del consenso è una fatica enorme alla quale ci sottoponiamo, molto spesso senza che ce ne sia reale necessità. È un segno del tempo, non saprei dire se è giusto o sbagliato. Ho la sensazione che a volte ci complichiamo la vita, senza ce ne sia bisogno.

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