"Alla fusione nucleare mancano dieci anni da sempre", afferma il direttore di Eurofusion Tony Donné che spiega come propagandare tempi brevi serva soprattutto ad attrarre capitali per le società private entrate nel settore. Eppure il presidente del Consiglio Mario Draghi sottoscrive questa visione irrealistica e dà il là ai giornali che tifano per il ritorno del nucleare in Italia
Inutile farsi illusioni, la fusione nucleare non ci toglierà le castagne dal fuoco né per quanto riguarda gli obiettivi di riduzione delle emissioni di Co2 né, tanto meno, come fattore di diversificazione degli approvvigionamenti energetici nell’ipotetico “sganciamento” dalla Russia e dal suo gas. Illusioni farebbe bene a non farsele neppure Mario Draghi che nel suo intervento in Parlamento dello scorso 7 marzo ha affermato “Per quanto riguarda il nucleare, l’impegno tecnico ed economico è concentrato sulla fusione a confinamento magnetico, che attualmente è l’unica via possibile per realizzare reattori commerciali in grado di fornire energia elettrica in modo economico e sostenibile. La strategia europea per l’energia da fusione è sviluppata dal Consorzio Eurofusion, che gestisce fondi Euratom pari a oltre 500 milioni di euro per il periodo tra il 2021 e il 2025. Questo consorzio prevede l’entrata in funzione del primo prototipo di reattore a fusione nel 2025-28“.
Eppure proprio il direttore del programma Eurofusion Tony Donné recentemente ha affermato “Alla fusione nucleare mancano dieci anni da sempre” spiegando come, realisticamente, i tempi siano molto più lunghi. Il progetto più serio e avanzato, a cui partecipano 35 paesi, è il reattore Iter nel Sud della Francia. Ha raccolto investimenti per oltre 22 miliardi di dollari e se, tutto andrà bene, si allaccerà alla rete nel 2035 quando riuscirà a fornire energia pari a quella di una piccola centrale a carbone (La costruzione del reattore è stata peraltro momentaneamente sospesa per la necessità di alcune verifiche sulla struttura in cemento armato).
Ma sul nucleare si è scatenato un vigoroso marketing dopo che aziende private hanno iniziato a gettarsi in un settore che prima era di pertinenza quasi esclusivamente pubblica. Alla ricerca del Sacro Graal dell’energia si sono lanciati colossi come Google o Goldman Sachs che finanziano alcune delle circa 60 aziende private che oggi conducono ricerche nel campo. La collaborazione pubblico- privato è un bene, funzionale ad avanzamenti più rapidi nella ricerca anche grazie alla molteplicità di approcci allo stesso problema. Ma introduce anche nel sistema altre logiche. “Parlare di tempi molto stretti serve ad attrarre capitali” ha spiegato ancora Donné alla rivista scientifica Nature. In gioco c’è anche Eni che detiene la quota di maggioranza della statunitense Commonwealth Fusion Systems, società che sinora ha raccolto finanziamenti per 550 milioni di dollari. L’ex amministratore delegato di Eni, oggi vicepresidente dalla banca Rothschild, Paolo Scaroni ha detto a La Stampa: “Chissà che i ripensamenti di altri paesi europei e quello che sta facendo la Francia possano riaprire una riflessione anche qui“.
Quello delle tempistiche è il primo equivoco su cui indugiano politici e giornali che spingono per il business nucleare. Il secondo è la voluta confusione tra fissione (quella attualmente in uso nelle centrali) e fusione nucleare. Tecnologie profondamente diverse, anche per quanto riguarda i rischi. La fusione genera energia dalla materia che “avanza” dopo l’unione di due atomi, la fissione, all’opposto, dalla loro divisione. La fusione non produce rifiuti radioattivi e il processo di generazione è facilmente arrestabile migliorando la sicurezza. Il problema è che la fusione avviene in un plasma che deve essere portato a temperature altissime, molto superiori a quelle che si trovano nel Sole, per intenderci. Come controllare questa sostanza incandescente? Innanzitutto con le forze magnetiche che però richiedono a loro volta molta energia. All’attuale stato delle tecnologie disponibili per gestire questo processo si utilizza una quantità di energia superiore a quella che viene prodotta. I titoli apparsi su molti quotidiani dopo le parole di Draghi hanno molto giocato su questo malinteso fusione-fissione: “Draghi sdogana il nucleare. L’annuncio del premier è una svolta” scriveva il Foglio dello scorso 10 marzo. “Spunta il piano per il nucleare” scriveva lo stesso giorno il Messaggero mentre Il Mattino (anch’esso di Caltagirone editori) “Draghi apre al nucleare”. La Notizia riportava un simile “Draghi vira sul nucleare”.